I vent'anni, culmine delle certezze ingenue e totalizzanti dell'adolescenza, sono la fine del giorno: con essi arriva il momento delle responsabilità di fronte alla "vita", alla "società", comincia la sera delle incertezze. Per chi era ventenne nei primi anni Sessanta, la sera è cominciata lì. "Non permetterò a nessuno di dire che è l'età più bella della vita", scriveva Paul Nizan, maestro dei ventenni "difficili" di quegli anni. Le date contano, il passato è storia e memoria. Ed è l'occhio della malinconia quello che cerca faticosamente di ricostruire, nella memoria, il senso del passato del protagonista, un ventenne (uno dei tanti) che alla fine degli anni Cinquanta ha coltivato giovanilisticamente e ingenuamente i suoi sogni di rivoluzione totale, e dopo il 1960, arrivato il momento della "prassi", dell'assunzione delle responsabilità, si trova di fronte la "sera". La nuova logica politica e tecnocratica di compromesso, seguita alla rivolta del luglio 1960, gli è estranea, ma anche il messianismo settario dei primi fermenti ultrasinistri lo respinge. Un doppio rifiuto istintuale e contraddittorio, malinconico e indifferente, ma al tempo stesso rivelativo e catartico. Crisi di ideologia che diventa crisi di rapporti, di affetti, di fronte a un sistema speculativo che ancora prima del territorio e del potere lottizza anime e sentimenti. Emblema di tutto ciò è la storia di Calalunga, una piccola località intatta del Sud d'Italia (una delle tante) che la speculazione sta per travolgere con le sue lottizzazioni e le colate di cemento. Racconto inserito nel racconto, la storia di Calalunga diventa la storia di una presa di coscienza, in una fuga che si conclude nel cuore del Sahara algerino, dove la sabbia "purifica tutto", dove l'orizzonte sterminato dà un nuovo senso alla memoria. Protagonista del racconto è l'inquietudine, l'illusione, l'impotenza: il luogo dove nascono e muoiono tutti i sogni innocenti dei ventenni.