Il lupo bambino
Marsilio 1975
Marsilio 1975
Il romanzo è del 1960, ma è stato pubblicato soltanto nel 1975. Questa è la presentazione scritta in quel secondo momento da Gastone Sclavi, caro amico e compianto leader sindacale, che non conosceva la lunga gestazione del libro.
L'invidia del '68: si potrebbe riassumere così la ricostruzione, fatta oggi, della crisi del 1960 come fu vissuta dai giovani studenti di allora.
In un momento in cui la classe operaia recupera nella lotta antifascista e nella battaglia sindacale la fiducia nella propria forza ed esprime nei giovani delle giornate di luglio del 1960 quello che era maturato nella crisi profonda degli anni 50, i giovani «intellettuali» si trovano di colpo al centro di una vicenda che li coinvolge, ma non li trova come protagonisti. Soprattutto questa generazione vive ancora la crisi della propria origine «borghese» come un fatto privato, violento spesso ma privo di una dimensione politica autonoma. L'alternativa è subito fra la sublimazione tutta «razionale» nella milizia delle organizzazioni di classe e la vicenda privata e solitaria di una crisi culturale e sentimentale senza sbocchi. I giovani operai delle piazze di Genova o di Reggio Emilia sono l'altra faccia di un colossale sviluppo industriale che ha cambiato le fondamenta dei rapporti sociali in Italia durante gli anni 50. Sono quello che il capitale ha prodotto contro se stesso e sono anche la prima espressione di uno scontro duro che si è sviluppato in questi anni e che esploderà poi all'interno del movimento operaio italiano.
I giovani «intellettuali» sono ancora di fronte alle alternative che laceravano la generazione della resistenza. Sono, con nuovi riferimenti culturali e ideali, ancora nella stretta indicata e vissuta da Pavese, per intenderci.
I primi sintomi di una alternativa ci sono, certamente, già in quegli anni... ma l'alternativa viene fuori solo nel '68 e di qui l'invidia. Nel '68 si trova, al di là di tutto quello che si è detto e scritto sui contenuti, un modo collettivo di gestire la crisi di questi strati sempre più vasti di studenti (intellettuali e borghesi per modo di dire).
È per questo che sembra giusto oggi, come fa Mario Biondi in questo romanzo, ripensare criticamente alle esperienze dei giovani studenti e intellettuali all'inizio degli anni Sessanta, riconoscendo in un rigoroso esame di coscienza i limiti di quell'esperienza e l'importanza di quella lezione.
L'invidia del '68: si potrebbe riassumere così la ricostruzione, fatta oggi, della crisi del 1960 come fu vissuta dai giovani studenti di allora.
In un momento in cui la classe operaia recupera nella lotta antifascista e nella battaglia sindacale la fiducia nella propria forza ed esprime nei giovani delle giornate di luglio del 1960 quello che era maturato nella crisi profonda degli anni 50, i giovani «intellettuali» si trovano di colpo al centro di una vicenda che li coinvolge, ma non li trova come protagonisti. Soprattutto questa generazione vive ancora la crisi della propria origine «borghese» come un fatto privato, violento spesso ma privo di una dimensione politica autonoma. L'alternativa è subito fra la sublimazione tutta «razionale» nella milizia delle organizzazioni di classe e la vicenda privata e solitaria di una crisi culturale e sentimentale senza sbocchi. I giovani operai delle piazze di Genova o di Reggio Emilia sono l'altra faccia di un colossale sviluppo industriale che ha cambiato le fondamenta dei rapporti sociali in Italia durante gli anni 50. Sono quello che il capitale ha prodotto contro se stesso e sono anche la prima espressione di uno scontro duro che si è sviluppato in questi anni e che esploderà poi all'interno del movimento operaio italiano.
I giovani «intellettuali» sono ancora di fronte alle alternative che laceravano la generazione della resistenza. Sono, con nuovi riferimenti culturali e ideali, ancora nella stretta indicata e vissuta da Pavese, per intenderci.
I primi sintomi di una alternativa ci sono, certamente, già in quegli anni... ma l'alternativa viene fuori solo nel '68 e di qui l'invidia. Nel '68 si trova, al di là di tutto quello che si è detto e scritto sui contenuti, un modo collettivo di gestire la crisi di questi strati sempre più vasti di studenti (intellettuali e borghesi per modo di dire).
È per questo che sembra giusto oggi, come fa Mario Biondi in questo romanzo, ripensare criticamente alle esperienze dei giovani studenti e intellettuali all'inizio degli anni Sessanta, riconoscendo in un rigoroso esame di coscienza i limiti di quell'esperienza e l'importanza di quella lezione.