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Lo scrittore Mario Biondi visto da Mannelli
Lo scrittore Mario Biondi
  • Sito creato il 15/4/1995 dallo scrittore Mario Biondi © | Aggiornato | @ Contatti 0

Lo scrittore Mario Biondi

RACCONTA

Brigitte Nielsen
Brigitte Nielsen

Quel brutto anatroccolo… (1991)

© Mario Biondi
Divieto di riproduzione integrale
e obbligo di citazione (per cortesia...)

Quella del brutto anatroccolo è una fiaba danese, l’ha scritta Hans Christian Andersen. Non può dunque non averla avuta in mente una ragazzona di Copenaghen, di nomignolo Gitte, che per guadagnarsi l’argent de poche faceva la garzona di fornaio, sognando, un giorno, di arrivare chissà come a saltare in braccio a Sylvester Stallone. Era lunga e secca come una scopa, e si riteneva talmente brutta da vergognarsi a uscire con i coetanei. Il suo nome completo era Brigitte. Figlia dell’ingegner Sven Nielsen e dell’assistente bibliotecaria Hanne. Ma, come è noto, un giorno il brutto anatroccolo si trovò trasformato nel più magnifico dei cigni. E così è successo anche a Gitte. Le gambe, certo, non poteva segarsele: uno e ottanta era a tredici anni e uno e ottantadue è diventata poco dopo. Ma il resto si è aggiustato, riempito, ammorbidito, arrotondato a dovere e anche in parte esploso, producendo uno schianto di donna destinata a diventare un sex symbol dell’era bionico-muscolare. Di nome, appunto, Brigitte Nielsen.
La vicenda umana della più famosa tra le vichinghe del nostro tempo, degna erede della felliniana Anita Ekberg e del suo elogio del latte – cantato in un tripudio di ubertosi pettorali nei repressi anni Cinquanta-Sessanta –, comincia in pratica alla fine degli anni Settanta. La ex brutta anatroccola non si è resa conto di essere diventata una splendida sedicenne. Incontra un amico fotografo che le propone di fare qualche provino per la moda. Lei crede a uno scherzo, ma prudentemente accetta. Non si sa mai. Potrebbe essere il primo passo sulla famosa strada per arrivare in braccio a Sly Stallone. Detto fatto. Pochissimo tempo più tardi è in Italia, forca caudina obbligata per le fotomodelle. Ci sta parecchio tempo, le piace, trova l’amore, impara la nostra lingua, ma ciò a cui mira è l’America. Vi arriva, viene fotografata da Francesco Scavullo, da Helmut Newton, debutta nel cinema al fianco di Schwarzenegger. E’ irresistibilmente lanciata verso ciò cui più aspira nella vita: il successo. Sul suo altare sacrifica il primo matrimonio e il primo figlio. Appare in un altro film, Red Sonja, per il quale le viene assegnato l’Oscar della peggior recitazione. Ma lei non demorde. Il successo è lì, appena oltre l’angolo. Per ottenerlo è pronta a molto. Ormai è una donna adulta. Splendida. Volitiva. Proterva. Spietata.
O così almeno appare sullo schermo. Che paura. Quando il povero Apollo Creed stramazza sul ring, abbattuto dalla ferina furia sovietica di Ivan Drago (Rocky IV), lei lo degna con sdegnosa sufficienza di un solo, lievissimo inarcamento del labbro, che qualcuno potrebbe ritenere un esempio di pessima recitazione e qualcun’altro potrebbe invece scambiare per un algido sorriso. Una crudeltà di natura squisitamente ideologica. Mentre di natura rigorosamente scientifica è quella che le impone di usare a trecentosessanta gradi un intero arsenale di pistole, mitraglie e forse anche bazooka, tra un cachinno e l’altro di Eddie Murphy, nella seconda puntata di Poliziotto a Beverly Hills. Che donnina. Intanto, nei dintorni delle stesse alture di Beverly sta consumandosi quello che a tredici anni Gitte non considerava niente più che un sogno a occhi aperti: la vicenda d’amore proprio con Sylvester Stallone. Rapporto tormentato, tra pesi medio massimi, cui pare sia arrivata offrendosi a Rocky-Rambo completamente nuda sotto una pelliccia aperta (ma smentiscono entrambi). Come saranno veramente andate le cose, al di là della differenza di statura?
Quando l’ho chiesto allo stesso Sly, un paio di anni or sono, nella verdissima dimora milanese di uno dei moderni arbitri del gusto, Gianni Versace, lui ha alzato gli occhi al cielo. “Un’errore terribile”, ha poi mormorato, con quel suo celebre vocione baritonale che le televisioni americane cattive fanno imitare dal gatto Silvestro. E mi ha lasciato capire che preferiva cambiare discorso. Quindi abbiamo educatamente parlato d’altro. Peccato. Sarà stata vera la pruriginosa storia delle capriole con la fedele segretaria Kelly Sahnger? Il lettore purtroppo non lo saprà mai. Brigitte l’ha sempre sdegnosamente smentita, e in ogni caso il corpo è suo ed è libera di gestirselo come crede, ma intanto l’invadente mamma Jaqueline Stallone l’ha avuta vinta. Il matrimonio di Sly con la platinata gigantessa, ex brutta anatroccola di Copenaghen, è andato in frantumi. Entrambi, però, pur impegnati a difendere con i denti i rispettivi diritti materiali (si è parlato di milioni di dollari, da sei ad addirittura cento: per la rabbia lui avrebbe sfasciato niente meno che un tavolo di marmo) hanno evidentemente deciso di adottare la linea della signorilità. “Peccato che sia andata così”, ha dichiarato Brigitte: “Sylvester è un uomo buono e intelligente”. Chi lo conosce è prontissimo a confermare. Ma lei? Come sarà? Davvero spietata come appare sullo schermo? Oppure una ginnica bonacciona, come tende a presentarsi?
Intanto, salvo errori, la segretaria così odiata da mamma Stallone è ancora lì, a fare da prezzemolo ai rapporti di coppia che Brigitte continua a inanellare come gli esercizi di palestra che ha imparato a praticare soprattutto durante il connubio con Sly. Prima, dice lei, era soltanto un’accanita frequentatrice di piscine. Palestre e piscine, in ogni caso, modellano e rassodano certamente i muscoli, ma per le rotondità più morbide e sexy – dicasi seno – nulla possono: perciò la splendida Brigitte a un certo punto ha dovuto correre ai ripari, sottoponendosi ai ferri e ai siliconi del chirurgo plastico per evitare il rischio di uno smottamento. Risultato? Un’esuberante sovrabbondanza, non facilmente contenibile.
Ma del resto è tutta lei a essere poco contenibile. A cominciare dal florilegio di uomini (veri o attribuiti), che va dal monumentale Schwarzenegger al piramidale Mark Gastineau attraverso il supermuscolare Stallone, a un paio di Luca italiani (Rossi e Barbareschi), e, chissà, forse persino a Pippo Baudo (ai tempi di Festival), più il primo marito danese e i recentissimi Sebastian Copeland e Mohamed el Jamani. Maschi d’Europa, d’America e d’Asia: all’appello sembrerebbero mancare soltanto Africa e Oceania. Sembra incapace di frenarsi, il magnifico cigno: gliene capitano di tutti i colori. Ha clamorosamente annunciato in pubblico di avere il male del secolo all’utero, è stata smentita, ha ribadito che era vero, è ingrassata, è dimagrita, è tornata a ingrassare, è ridimagrita, ha dichiarato di avere abortito, ha svelato i segreti del suo pettone, si è fatta tatuare sulle natiche (e poi cancellare) il nome dell’amato bene, una volta è addirittura stata presa in ostaggio dai terroristi. Non passano sei mesi che non si legga qualche novità piccante o clamorosa sul suo conto. Se non è personalmente lei a diffonderla, sono altri. In termini in genere non esattamente dolci. C’è chi sostiene che siano tutte invenzioni, a puro scopo pubblicitario. Imperturbabile, Gitte non se ne dà per intesa, continuando a soffiare a pieni polmoni la fanfara, purché non si cessi di parlare di lei. Chi si ferma, sembra dire, è perduto. Di passi, da quando è partita da Copenaghen adolescente, ne ha fatti molti, ma ai suoi occhi irrequieti la trasformazione da anatroccolo in cigno non appare evidentemente completa. Che cosa saprà inventare, ancora?Quella del brutto anatroccolo è una fiaba danese, l’ha scritta Hans Christian Andersen. Non può dunque non averla avuta in mente una ragazzona di Copenaghen, di nomignolo Gitte, che per guadagnarsi l’argent de poche faceva la garzona di fornaio, sognando, un giorno, di arrivare chissà come a saltare in braccio a Sylvester Stallone. Era lunga e secca come una scopa, e si riteneva talmente brutta da vergognarsi a uscire con i coetanei. Il suo nome completo era Brigitte. Figlia dell’ingegner Sven Nielsen e dell’assistente bibliotecaria Hanne. Ma, come è noto, un giorno il brutto anatroccolo si trovò trasformato nel più magnifico dei cigni. E così è successo anche a Gitte. Le gambe, certo, non poteva segarsele: uno e ottanta era a tredici anni e uno e ottantadue è diventata poco dopo. Ma il resto si è aggiustato, riempito, ammorbidito, arrotondato a dovere e anche in parte esploso, producendo uno schianto di donna destinata a diventare un sex symbol dell’era bionico-muscolare. Di nome, appunto, Brigitte Nielsen.
La vicenda umana della più famosa tra le vichinghe del nostro tempo, degna erede della felliniana Anita Ekberg e del suo elogio del latte – cantato in un tripudio di ubertosi pettorali nei repressi anni Cinquanta-Sessanta –, comincia in pratica alla fine degli anni Settanta. La ex brutta anatroccola non si è resa conto di essere diventata una splendida sedicenne. Incontra un amico fotografo che le propone di fare qualche provino per la moda. Lei crede a uno scherzo, ma prudentemente accetta. Non si sa mai. Potrebbe essere il primo passo sulla famosa strada per arrivare in braccio a Sly Stallone. Detto fatto. Pochissimo tempo più tardi è in Italia, forca caudina obbligata per le fotomodelle. Ci sta parecchio tempo, le piace, trova l’amore, impara la nostra lingua, ma ciò a cui mira è l’America. Vi arriva, viene fotografata da Francesco Scavullo, da Helmut Newton, debutta nel cinema al fianco di Schwarzenegger. E’ irresistibilmente lanciata verso ciò cui più aspira nella vita: il successo. Sul suo altare sacrifica il primo matrimonio e il primo figlio. Appare in un altro film, Red Sonja, per il quale le viene assegnato l’Oscar della peggior recitazione. Ma lei non demorde. Il successo è lì, appena oltre l’angolo. Per ottenerlo è pronta a molto. Ormai è una donna adulta. Splendida. Volitiva. Proterva. Spietata.
O così almeno appare sullo schermo. Che paura. Quando il povero Apollo Creed stramazza sul ring, abbattuto dalla ferina furia sovietica di Ivan Drago (Rocky IV), lei lo degna con sdegnosa sufficienza di un solo, lievissimo inarcamento del labbro, che qualcuno potrebbe ritenere un esempio di pessima recitazione e qualcun’altro potrebbe invece scambiare per un algido sorriso. Una crudeltà di natura squisitamente ideologica. Mentre di natura rigorosamente scientifica è quella che le impone di usare a trecentosessanta gradi un intero arsenale di pistole, mitraglie e forse anche bazooka, tra un cachinno e l’altro di Eddie Murphy, nella seconda puntata di Poliziotto a Beverly Hills. Che donnina. Intanto, nei dintorni delle stesse alture di Beverly sta consumandosi quello che a tredici anni Gitte non considerava niente più che un sogno a occhi aperti: la vicenda d’amore proprio con Sylvester Stallone. Rapporto tormentato, tra pesi medio massimi, cui pare sia arrivata offrendosi a Rocky-Rambo completamente nuda sotto una pelliccia aperta (ma smentiscono entrambi). Come saranno veramente andate le cose, al di là della differenza di statura?
Quando l’ho chiesto allo stesso Sly, un paio di anni or sono, nella verdissima dimora milanese di uno dei moderni arbitri del gusto, Gianni Versace, lui ha alzato gli occhi al cielo. “Un’errore terribile”, ha poi mormorato, con quel suo celebre vocione baritonale che le televisioni americane cattive fanno imitare dal gatto Silvestro. E mi ha lasciato capire che preferiva cambiare discorso. Quindi abbiamo educatamente parlato d’altro. Peccato. Sarà stata vera la pruriginosa storia delle capriole con la fedele segretaria Kelly Sahnger? Il lettore purtroppo non lo saprà mai. Brigitte l’ha sempre sdegnosamente smentita, e in ogni caso il corpo è suo ed è libera di gestirselo come crede, ma intanto l’invadente mamma Jaqueline Stallone l’ha avuta vinta. Il matrimonio di Sly con la platinata gigantessa, ex brutta anatroccola di Copenaghen, è andato in frantumi. Entrambi, però, pur impegnati a difendere con i denti i rispettivi diritti materiali (si è parlato di milioni di dollari, da sei ad addirittura cento: per la rabbia lui avrebbe sfasciato niente meno che un tavolo di marmo) hanno evidentemente deciso di adottare la linea della signorilità. “Peccato che sia andata così”, ha dichiarato Brigitte: “Sylvester è un uomo buono e intelligente”. Chi lo conosce è prontissimo a confermare. Ma lei? Come sarà? Davvero spietata come appare sullo schermo? Oppure una ginnica bonacciona, come tende a presentarsi?
Intanto, salvo errori, la segretaria così odiata da mamma Stallone è ancora lì, a fare da prezzemolo ai rapporti di coppia che Brigitte continua a inanellare come gli esercizi di palestra che ha imparato a praticare soprattutto durante il connubio con Sly. Prima, dice lei, era soltanto un’accanita frequentatrice di piscine. Palestre e piscine, in ogni caso, modellano e rassodano certamente i muscoli, ma per le rotondità più morbide e sexy – dicasi seno – nulla possono: perciò la splendida Brigitte a un certo punto ha dovuto correre ai ripari, sottoponendosi ai ferri e ai siliconi del chirurgo plastico per evitare il rischio di uno smottamento. Risultato? Un’esuberante sovrabbondanza, non facilmente contenibile.
Ma del resto è tutta lei a essere poco contenibile. A cominciare dal florilegio di uomini (veri o attribuiti), che va dal monumentale Schwarzenegger al piramidale Mark Gastineau attraverso il supermuscolare Stallone, a un paio di Luca italiani (Rossi e Barbareschi), e, chissà, forse persino a Pippo Baudo (ai tempi di Festival), più il primo marito danese e i recentissimi Sebastian Copeland e Mohamed el Jamani. Maschi d’Europa, d’America e d’Asia: all’appello sembrerebbero mancare soltanto Africa e Oceania. Sembra incapace di frenarsi, il magnifico cigno: gliene capitano di tutti i colori. Ha clamorosamente annunciato in pubblico di avere il male del secolo all’utero, è stata smentita, ha ribadito che era vero, è ingrassata, è dimagrita, è tornata a ingrassare, è ridimagrita, ha dichiarato di avere abortito, ha svelato i segreti del suo pettone, si è fatta tatuare sulle natiche (e poi cancellare) il nome dell’amato bene, una volta è addirittura stata presa in ostaggio dai terroristi. Non passano sei mesi che non si legga qualche novità piccante o clamorosa sul suo conto. Se non è personalmente lei a diffonderla, sono altri. In termini in genere non esattamente dolci. C’è chi sostiene che siano tutte invenzioni, a puro scopo pubblicitario. Imperturbabile, Gitte non se ne dà per intesa, continuando a soffiare a pieni polmoni la fanfara, purché non si cessi di parlare di lei. Chi si ferma, sembra dire, è perduto. Di passi, da quando è partita da Copenaghen adolescente, ne ha fatti molti, ma ai suoi occhi irrequieti la trasformazione da anatroccolo in cigno non appare evidentemente completa. Che cosa saprà inventare, ancora?

Per Max, novembre 1991
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