Scrive di: Mario Spagnol
La passione per l'avventura (di mare)
(un misto di ammirazione e malinconia)
1995 - 2020
La passione per l'avventura (di mare)
(un misto di ammirazione e malinconia)
1995 - 2020
© Mario Biondi
Divieto di riproduzione integrale
e obbligo di citazione (per cortesia...)
Mario Spagnol (1930 - 1999). Strano individuo. Personaggio non di rado insopportabile, ma grande editore, grandissimo, forse il massimo del suo tempo. Quando qualcuno dice che io sono “irritabile” (è diventata una mania), mi viene subito in mente lui. E come ci teneva al suo essere insopportabile… Per quanto mi concerne l’ho piantato in asso due volte, una prima come dipendente (1984) e una seconda come autore (1988). Ma era evidentemente scritto che dovessimo lavorare insieme, e in entrambi i casi mi ha voluto di nuovo con sé: 1995 come consulente e 1998 come autore. Io intanto non aspettavo altro. Senza di lui l’editoria italiana dell’ultimo quarto del ventesimo secolo sarebbe stata indubbiamente più provinciale. E con quanta ostinazione sono andato a cercarlo… Il nostro primo vero incontro, però, è stato del tutto casuale.
Con M. L. Astaldi in casa sua a Cortina
Tarda estate 1971, a Cortina, casa Astaldi, si celebrano gli annuali fasti dei “Problemi di Ulisse”, rivista coltissima che Maria Luisa Astaldi mecenatizzava e pubblicava presso la Sansoni. Io, ufficio stampa e p. r. della Casa editrice, sono comandato lì. Ci vado. Mi annoio praticamente subito dopo aver varcato l’accoglientissima soglia, tutte quelle altolocate dame vestite da tirolesina mi riempiono di una noia invincibile. Taglio la corda all’inglese e, non sapendo cosa fare, vado al cinema: “L’armata Brancaleone”. Già vecchio ma non ancora visto. Ottimo. Mi concilia il sonno, rientro in albergo.
Invece niente sonno. Seduti sui gradini dello scalone, reduci anche loro da casa Astaldi e immersi in accalorata discussione nientemeno che sull’esistenza di Dio ci sono Vittorio Gorresio, grande giornalista d’annata e scrittore, e Claudio Angelini, giovanissimo cronista Rai destinato a fulgida carriera, due che di Dio, contro o pro, sapevano tutto. E con loro, sempre seduti sui gradini, chi ci sono se non i due Spagnol, Elena e Mario? Lui: il mio idolo editoriale da quando ancora lavorava alla Feltrinelli e si vedeva ogni sera alla storica libreria di Via Manzoni. Mai riuscito a rivolgergli la parola. Ma Angelini mi conosce, gironzolava come cronista dalle parti dei tardi raduni del Gruppo ‘63, ci siamo conosciuti lì. Mi presenta all’augusto consesso e mi invita a fermarmi con loro.
Mi siedo su un gradino più in basso, con il cuore in gola. Il dibattito è con i fiocchi. I due contendenti sanno veramente tutto di Dio, ci si bilancia sul filo del rasoio tra paradiso e inferno. Spagnol rimane lì fino alla fine, un po’ perché è l’editore di Gorresio, che vende moltissimo, un po’ perché è veramente interessato, come del resto tutti noi. Inoltre è molto cordiale, e la signora è gentilissima. Quanto a me, nessuno potrebbe schiodarmi da lì. Comunque a un certo punto si va finalmente a dormire.
Forte di questo incontro e con il coraggio dei veri incoscienti, la prima volta che nella mia funzione di Capo ufficio stampa mi intrufolo nella sede storica della Rizzoli, in Via Civitavecchia 2 (non ancora Via Rizzoli), per andare a curare gli interessi della Sansoni presso gli amici Gigi Reggi a “Oggi”, Gianmaria Dossena all’ “Europeo” e altri, me ne servo come teste di cuoio per contrabbandarmi alla segreteria della Rizzoli Libri. Di cui Mario Spagnol è incontestato nocchiero.
Non si sa mai che io possa rientrare a Milano da Firenze e trovare lavoro lì. Ma soprattutto non ho ancora pubblicato niente e ho già due romanzi in forma di scartafaccio. Gli ho portato il primo, che si intitola “Il lupo bambino”. Lo porgo alla cortesissima segretaria con una lettera di accompagnamento e un biglietto da visita e chiedo udienza presso di Lui. Ero abituato alla Sansoni: l’ospitalissima gentilezza sicula dell’editore Federico Gentile era proverbiale, ma soprattutto eravamo in parecchio più di cento per produrre una ventina di novità all’anno: chiunque venisse a trovarci era più che benvenuto. Alla Rizzoli, però, la faccenda era un po’ diversa.
La segretaria è comunque davvero cortesissima: va di là a presentare le mie credenziali al Grande Capo. Il quale però si scusa moltissimo ma è “in riunione”: ha fatto rubricare il mio scartafaccio e riceverò senz’altro una risposta (che infatti ricevo, perfetta, qualche tempo più tardi: no grazie). Bye Bye.
“Era evidentemente destino che un giorno o l’altro lavorassimo insieme”, non poteva quindi che dirmi non appena, autunno 1979, entro nel suo ufficio alla Longanesi di cui ha appena preso in mano le redini. Mi ha convocato per informarmi personalmente che non sono destinato alla rottamazione, come, purtroppo, larghissima parte dei dipendenti della vecchia Longanesi, ma resterò lì. Ci rimango ancora quattro anni, poi, grande editore o non grande editore, scelgo la libertà. Soltanto come dipendente, però: insopportabile o no, lo stimo moltissimo e so che la stima è reciproca: il romanzo che sto già scrivendo non può che essere presentato a lui. Infatti diventerà “Gli occhi di una donna” e sarà il primo romanzo della Longanesi, oltre che il primo di uno scrittore milanese, a vedersi assegnare il Campiello…
Ma insieme a quella dell’editoria Mario Spagnol aveva un’altra passione. Nel dicembre del 1995 vi ho dedicato questa breve recensione, che ho ritrovato e che ripropongo qui.
«Non molti sanno che la “passion predominante” di Mario Spagnol, lericino, abile nocchiero dell’editoria, era il mare, e più specificamente il viaggio per mare. È una passione che risale senza dubbio alle origini marittime di Spagnol, alla sua terra di Liguria, e che si coniuga alla perfezione con l’altra sua passione, la fabbricazione del libro, connotandola di un particolarissimo interesse per l’editoria “di libri d’avventura”, da Salgari a W. Smith.
Ben noto ai lettori è invece il colto gusto antologico di Giampaolo Dossena, irriverente studioso di letteratura italiana e di giochi di società (oltre che di mille altre cose). La solidarietà tra i due, seppure non appariscente, è solida e risale ad anni ormai lontani, all’insegna della prima Feltrinelli. A quell’epoca eroica di grande sperimentazione editoriale (primi anni Sessanta) risale la bella antologia di “storie di mare”, da loro compilata a quattro mani — “Avventure e viaggi di Mare” —, che viene ripubblicata dalla ringiovanita Salani. Un vero e proprio “piccolo Ramusio”.
Storie di mare che si estendono da cronache autobiografiche o storico-biografiche di perigliose navigazioni di altri tempi — da Annone Cartaginese ai vichinghi, da Pietro Querini e Alvise di Ca’ da Mosto a Cristoforo Colombo, dai viaggi di Filippo Sassetti e Francesco Carletti alla filibusta —, giù giù fino alle attività corsare di Giuseppe Garibaldi e a un repertorio di testi di invenzione letteraria archetipici del racconto d’avventura, da Melville a Conrad, da Stevenson a Jack London.
Appassionanti vicende che è dilettevole ed educativo rileggere (e in qualche caso scoprire) in grigi momenti di temperie narrativa in cui — nella rinnovata e stucchevole lamentazione circa la presunta morte del romanzo — sempre più si cerca pretestuosamente di svalutare l’immaginazione narrativa. Proprio una bella riedizione, da suggerire con calore a chi ama il mare ma soprattutto a chi desidera mantenere ostinatamente accesa la fiaccola del “raccontare con invenzione”.»
Tarda estate 1971, a Cortina, casa Astaldi, si celebrano gli annuali fasti dei “Problemi di Ulisse”, rivista coltissima che Maria Luisa Astaldi mecenatizzava e pubblicava presso la Sansoni. Io, ufficio stampa e p. r. della Casa editrice, sono comandato lì. Ci vado. Mi annoio praticamente subito dopo aver varcato l’accoglientissima soglia, tutte quelle altolocate dame vestite da tirolesina mi riempiono di una noia invincibile. Taglio la corda all’inglese e, non sapendo cosa fare, vado al cinema: “L’armata Brancaleone”. Già vecchio ma non ancora visto. Ottimo. Mi concilia il sonno, rientro in albergo.
Invece niente sonno. Seduti sui gradini dello scalone, reduci anche loro da casa Astaldi e immersi in accalorata discussione nientemeno che sull’esistenza di Dio ci sono Vittorio Gorresio, grande giornalista d’annata e scrittore, e Claudio Angelini, giovanissimo cronista Rai destinato a fulgida carriera, due che di Dio, contro o pro, sapevano tutto. E con loro, sempre seduti sui gradini, chi ci sono se non i due Spagnol, Elena e Mario? Lui: il mio idolo editoriale da quando ancora lavorava alla Feltrinelli e si vedeva ogni sera alla storica libreria di Via Manzoni. Mai riuscito a rivolgergli la parola. Ma Angelini mi conosce, gironzolava come cronista dalle parti dei tardi raduni del Gruppo ‘63, ci siamo conosciuti lì. Mi presenta all’augusto consesso e mi invita a fermarmi con loro.
Mi siedo su un gradino più in basso, con il cuore in gola. Il dibattito è con i fiocchi. I due contendenti sanno veramente tutto di Dio, ci si bilancia sul filo del rasoio tra paradiso e inferno. Spagnol rimane lì fino alla fine, un po’ perché è l’editore di Gorresio, che vende moltissimo, un po’ perché è veramente interessato, come del resto tutti noi. Inoltre è molto cordiale, e la signora è gentilissima. Quanto a me, nessuno potrebbe schiodarmi da lì. Comunque a un certo punto si va finalmente a dormire.
Forte di questo incontro e con il coraggio dei veri incoscienti, la prima volta che nella mia funzione di Capo ufficio stampa mi intrufolo nella sede storica della Rizzoli, in Via Civitavecchia 2 (non ancora Via Rizzoli), per andare a curare gli interessi della Sansoni presso gli amici Gigi Reggi a “Oggi”, Gianmaria Dossena all’ “Europeo” e altri, me ne servo come teste di cuoio per contrabbandarmi alla segreteria della Rizzoli Libri. Di cui Mario Spagnol è incontestato nocchiero.
Non si sa mai che io possa rientrare a Milano da Firenze e trovare lavoro lì. Ma soprattutto non ho ancora pubblicato niente e ho già due romanzi in forma di scartafaccio. Gli ho portato il primo, che si intitola “Il lupo bambino”. Lo porgo alla cortesissima segretaria con una lettera di accompagnamento e un biglietto da visita e chiedo udienza presso di Lui. Ero abituato alla Sansoni: l’ospitalissima gentilezza sicula dell’editore Federico Gentile era proverbiale, ma soprattutto eravamo in parecchio più di cento per produrre una ventina di novità all’anno: chiunque venisse a trovarci era più che benvenuto. Alla Rizzoli, però, la faccenda era un po’ diversa.
La segretaria è comunque davvero cortesissima: va di là a presentare le mie credenziali al Grande Capo. Il quale però si scusa moltissimo ma è “in riunione”: ha fatto rubricare il mio scartafaccio e riceverò senz’altro una risposta (che infatti ricevo, perfetta, qualche tempo più tardi: no grazie). Bye Bye.
“Era evidentemente destino che un giorno o l’altro lavorassimo insieme”, non poteva quindi che dirmi non appena, autunno 1979, entro nel suo ufficio alla Longanesi di cui ha appena preso in mano le redini. Mi ha convocato per informarmi personalmente che non sono destinato alla rottamazione, come, purtroppo, larghissima parte dei dipendenti della vecchia Longanesi, ma resterò lì. Ci rimango ancora quattro anni, poi, grande editore o non grande editore, scelgo la libertà. Soltanto come dipendente, però: insopportabile o no, lo stimo moltissimo e so che la stima è reciproca: il romanzo che sto già scrivendo non può che essere presentato a lui. Infatti diventerà “Gli occhi di una donna” e sarà il primo romanzo della Longanesi, oltre che il primo di uno scrittore milanese, a vedersi assegnare il Campiello…
Ma insieme a quella dell’editoria Mario Spagnol aveva un’altra passione. Nel dicembre del 1995 vi ho dedicato questa breve recensione, che ho ritrovato e che ripropongo qui.
«Non molti sanno che la “passion predominante” di Mario Spagnol, lericino, abile nocchiero dell’editoria, era il mare, e più specificamente il viaggio per mare. È una passione che risale senza dubbio alle origini marittime di Spagnol, alla sua terra di Liguria, e che si coniuga alla perfezione con l’altra sua passione, la fabbricazione del libro, connotandola di un particolarissimo interesse per l’editoria “di libri d’avventura”, da Salgari a W. Smith.
Ben noto ai lettori è invece il colto gusto antologico di Giampaolo Dossena, irriverente studioso di letteratura italiana e di giochi di società (oltre che di mille altre cose). La solidarietà tra i due, seppure non appariscente, è solida e risale ad anni ormai lontani, all’insegna della prima Feltrinelli. A quell’epoca eroica di grande sperimentazione editoriale (primi anni Sessanta) risale la bella antologia di “storie di mare”, da loro compilata a quattro mani — “Avventure e viaggi di Mare” —, che viene ripubblicata dalla ringiovanita Salani. Un vero e proprio “piccolo Ramusio”.
Storie di mare che si estendono da cronache autobiografiche o storico-biografiche di perigliose navigazioni di altri tempi — da Annone Cartaginese ai vichinghi, da Pietro Querini e Alvise di Ca’ da Mosto a Cristoforo Colombo, dai viaggi di Filippo Sassetti e Francesco Carletti alla filibusta —, giù giù fino alle attività corsare di Giuseppe Garibaldi e a un repertorio di testi di invenzione letteraria archetipici del racconto d’avventura, da Melville a Conrad, da Stevenson a Jack London.
Appassionanti vicende che è dilettevole ed educativo rileggere (e in qualche caso scoprire) in grigi momenti di temperie narrativa in cui — nella rinnovata e stucchevole lamentazione circa la presunta morte del romanzo — sempre più si cerca pretestuosamente di svalutare l’immaginazione narrativa. Proprio una bella riedizione, da suggerire con calore a chi ama il mare ma soprattutto a chi desidera mantenere ostinatamente accesa la fiaccola del “raccontare con invenzione”.»