Scrive di: Stephen Hawking
Ritratto di un astrofisico (1992)
Ritratto di un astrofisico (1992)
© Mario Biondi
Divieto di riproduzione integrale
e obbligo di citazione (per cortesia...)
L’Universo ci avvolge con il suo mistero, che è il nostro mistero. "Ha avuto un inizio? E in tal caso, che cosa c’era prima?" Sono le domande cui cerca di rispondere uno dei più straordinari bestseller di tutti i tempi, pubblicato qualche anno fa anche in Italia. Più di cinque milioni di copie in oltre venti lingue. Che cosa racconta? Non certo un’appassionante vicenda d’amore. Né un travolgente intreccio di mafia e politica. Nulla di tutto ciò. Narra la sfida di un Uomo al mistero dell’Universo. E lo fa con l’astruso linguaggio dell’astrofisica. Eppure è un libro ormai universalmente popolare: Dal Big Bang ai buchi neri. Ne è autore uno scienziato che molti definiscono l’Einstein del nostro tempo: l’inglese Stephen Hawking.
Una sensazionale vicenda umana e scientifica che comincia a Oxford l’8 gennaio del 1942 con la sua nascita. "Esattamente trecento anni dopo Galileo", ricorda lui con un pizzico di narcisismo. Ma, ironizza subito dopo, quel giorno di bambini ne sarebbero nati tanti: altri duecentomila. Tra tanti, però, il Destino aspettava lui, Stephen, figlio di Frank e Isobel. Persone a dir poco eccentriche. Talmente intelligenti, secondo alcuni, che la loro leggera balbuzie sarebbe dovuta al fatto che non riescono a stare dietro con le parole ai pensieri: pensano troppo in fretta. Gente di discreto snobismo, anche: in occasione dell’incoronazione della regina Elisabetta, evento che coinvolge emotivamente tutto il popolo della Gran Bretagna, il padre esorta i figlioletti a lasciar perdere, a spegnere la radio e a scendere nella quiete della spiaggia. Gente disinvolta: subito dopo la guerra, quando praticamente nessuno ha l’auto, acquistano un vecchissimo taxi londinese con cui viaggiano qua e là per il paese. Insomma: una famiglia sicuramente fuori dal comune.
In tale clima intellettuale e anticonformista si va formando il piccolo Stephen. Un ragazzino del tutto normale. Non particolarmente bravo a scuola. Ha una pessima zampa di gallina, tanto che gli viene imposto un libro di esercizi di calligrafia. Gli piace ballare le danze popolari irlandesi, ma è goffo. E’ animato da un vivace humour, non sempre delicatissimo. A un professore che trovano troppo severo, lui e i suoi compagni di classe fanno saltare per aria la seggiola con una diabolica mistura esplosiva. Gli amici di allora dicono: intelligente lo era senz’altro, ma di un’intelligenza particolare, indecifrabile, in apparenza pigra, o comunque finalizzata a imprese singolari. Come per esempio alla continua invenzione di complicatissimi giochi di società, quasi impenetrabili, misteriosi, dalle regole poco meno che incomprensibili, tali da dare luogo a sfide che potevano svilupparsi sull’arco di un’intera settimana. Non avevano capito che Stephen stava cominciando a vivere in un universo tutto suo. Di più: che un universo tutto suo aveva addirittura cominciato a elaborarselo su misura. Quando a tredici anni venne colpito da una serie di dolorose febbri ghiandolari, non ci fece caso nessuno. Dolori di crescita, si pensò.
Dolori da cui il ragazzo esce, come di norma accade, più adulto. Si deve cominciare a pensare all’università. Il padre, biologo, lo vorrebbe medico. Ma lui rifiuta: medicina e biologia gli sembrano scienze troppo opinabili. Mentre lui ambisce all’esattezza: vuole studiare matematica. Un compromesso viene raggiunto sulla facoltà di fisica presso l’università di Oxford, che consente al ragazzo di risiedere in quell’University College dove già era stato il padre. Ancora una volta quasi nessuno fa caso al fatto che al momento dell’esame di ammissione all’università, passato con l’assegnazione di una borsa di studio, Stephen ha soltanto diciassette anni. Le altre tre matricole di fisica che studiano e vivono con lui allo University College, e con cui deve fare gruppo per le esercitazioni, lo trovano simpatico. Molto pigro, però, anche se senza dubbio di balzana intelligenza. Visto che ha soltanto diciassette anni, lo aiutano a farla in barba alla legislazione britannica che gli vieterebbe di bere la birra. E lui beve, continua con le sue burle, balla, partecipa animatamente, in qualità di timoniere, allo sport del remo, tanto popolare nelle università d’Inghilterra. Uno studentello come tutti gli altri.
Finché un giorno, durante il secondo anno, al quartetto di studenti di fisica dello University College viene assegnato un tremendo esercizio che pone tredici quesiti apparentemente insolubili. Nel giro di una settimana gli altri tre trovano soltanto due risposte. Lui dorme, si alza tardi, sembra disinteressarsi al problema. Irritati da tanta neghittosità, i tre escono a fare una passeggiata per schiarirsi le idee. Al rientro sono ancora seccati. Allora, quante risposte hai finalmente trovato? gli chiedono, inveleniti. Mah, risponde lui, per adesso dieci, ma se mi date ancora un po’ di tempo... "In quel momento", dichiara uno dei tre, "capimmo che non solo non eravamo sulla stessa strada, ma neanche sullo stesso pianeta". Era sbocciato il nuovo Einstein.
Aule, sale, corridoi di Oxford sono il suo ambiente naturale. Li percorre con giovanile impeto, la testa perduta tra quegli incommensurabili, insondabili spazi del nostro Universo di cui ha cominciato a cercar di violare il mistero. Così, correndo con il naso e la mente all’aria, un giorno cade dalle scale. Sviene. Fatica a riprendere conoscenza. Sembra avere perso la memoria. Ma poi tutto pare normalizzarsi. Avendo deciso per prudenza di sottoporsi a un test psicofisico, lo supera brillantemente. Ogni cosa sembra nella norma, ma nel corso del terzo anno di studi le mani cominciano a dargli qualche problema. Ciò non gli impedisce di laurearsi a pieni voti a soli vent’anni.
L’accademia universitaria lo accoglie a braccia aperte nel proprio esclusivo mondo perché possa continuare i suoi studi sulla relatività generale e i buchi neri: sull’origine dell’Universo, insomma. Ma, per moltissimi, Universo e volontà di Dio si identificano. E’ lecito studiare le intenzioni di Dio? Hawking non si è imbarcato in un’impresa troppo grande? E in effetti, travestito da Destino, l’Universo sembra reagire, opporsi allo svelamento. In maniera arcana la vita di Stephen si avvia a scontrarsi con una sequela di complicazioni sempre più tremende. Le difficoltà nell’uso delle mani lo convincono a sottoporsi a nuovi esami. Gli tolgono un campione di muscolo, gli iniettano un fluido nella spina dorsale. La diagnosi è terribile: sclerosi amiotrofica laterale, una malattia che provoca la disintegrazione delle cellule nervose e con essa una morte rapida. Gli vengono concessi due anni e mezzo. Potrà, in così poco tempo, portare a termine la propria impresa, dare una risposta alla sterminata problematica scientifica ed esistenziale connessa con il mistero dell’Universo? "Di fronte alla possibilità di una morte precoce", dichiara, "ci si rende conto di quanto sia preziosa la vita."
Non cede. Al contrario si dedica all’impresa con ancor maggiore dedizione. E, come nelle più belle favole, in suo soccorso viene l’amore. Nel 1965 sposa Jane Wilde, donna capace di un’abnegazione assoluta, che per venticinque anni gli farà da moglie e da infermiera, minuto per minuto, dandogli anche tre figli. Intanto i risultati scientifici si susseguono. Per essi, nel 1975 gli viene assegnata in Vaticano la medaglia d’oro intitolata a Pio XII. Da tempo le sue membra contorte e atrofizzate non sono più in grado di sollevarsi dalla carrozzella: è il Pontefice che deve chinarsi su di lui per consegnargli il riconoscimento. "Non sono del tutto sicuro che, se lo avesse capito davvero, il papa avrebbe approvato ciò che Hawking aveva scoperto", commenta uno studioso. Gioverà ripeterlo: l’ansia di scoprire le origini dell’Universo è rischiosamente vicina al desiderio di svelare il volere di Dio. Eppure nella reggia di San Pietro Stephen Hawking ci torna più volte: nel 1986 viene addirittura ammesso all’Accademia Pontificia delle Scienze.
Intanto nel 1979 è stato nominato titolare della cattedra di matematica già occupata da Isaac Newton. La firma sull’atto di accettazione è l’ultima cosa che riesce a scrivere. Ormai i risultati delle proprie ricerche, e con essi le proprie emozioni di uomo, li può comunicare soltanto a voce. E’ unicamente servendosi della voce che continua instancabile, nonostante la fatica atroce, a insegnare a un drappello di fedelissimi studenti, pronti ad assisterlo istante per istante, in un rapporto che qualcuno ha definito di natura "religiosa". Il fatto si è che per lui il problema di divulgare le proprie scoperte, di metterle a disposizione non soltanto della ristrettissima accademia scientifica ma anche del grande pubblico è di cruciale importanza. E’ precisamente perciò che tra il 1982 e il 1984 nasce Dal Big Bang ai buchi neri. Un testo arduo, al limite della comprensibilità nonostante le generose intenzioni dell’autore. Eppure il largo pubblico reagisce con l’intelligenza di cui è capace se giustamente stimolato. Di fronte all’enormità del numero, che cosa conta che dei cinque milioni di copie vendute molte non siano certamente mai state lette?
Proprio per questo, proprio per chi non è riuscito a sormontare le difficoltà del suo saggio Hawking ha ora elaborato un duplice strumento, un libro collegato a un film in videocassetta, entrambi intitolati Come leggere Stephen Hawking: Dal Big Bang ai buchi neri. Vita, ricerche, idee. Due strumenti capaci di fondere intimamente la biografia dell’uomo con la profondità della scienza, i risultati scientifici di Stephen Hawking con la sua tormentata realtà di vivente. La sua battaglia contro il mistero dell’Universo e l’oscura volontà del Fato continua intanto senza tregua. Avrebbe dovuto durare non più di due anni e mezzo, è ormai combattuta da più di un quarto di secolo, colpo su colpo. L’anno scorso Stephen è stato investito da un auto, con ulteriori gravi conseguenze fisiche. Nel 1990, inoltre, il magico rapporto che lo legava alla moglie si è spezzato, concludendosi con un doloroso divorzio. Ma, soprattutto, da qualche anno Hawking non dispone più nemmeno della voce, deve comunicare servendosi di un sofisticatissimo computer che gli consente di esprimersi con sconvolgente lentezza: non più di quindici parole al minuto. Pure, comunica. E attraverso tale comunicazione i risultati della sua indagine scientifico-filosofica continuano ad avvicinare impercettibilmente l’umanità a una risposta definitiva, che significherà il trionfo della ragione. "Perché allora", conclude lo stesso Hawking, "conosceremo la mente di Dio." E, forse, sia consentito aggiungere, anche la nostra faticosa realtà di uomini.
(Amica, 1992)
Una sensazionale vicenda umana e scientifica che comincia a Oxford l’8 gennaio del 1942 con la sua nascita. "Esattamente trecento anni dopo Galileo", ricorda lui con un pizzico di narcisismo. Ma, ironizza subito dopo, quel giorno di bambini ne sarebbero nati tanti: altri duecentomila. Tra tanti, però, il Destino aspettava lui, Stephen, figlio di Frank e Isobel. Persone a dir poco eccentriche. Talmente intelligenti, secondo alcuni, che la loro leggera balbuzie sarebbe dovuta al fatto che non riescono a stare dietro con le parole ai pensieri: pensano troppo in fretta. Gente di discreto snobismo, anche: in occasione dell’incoronazione della regina Elisabetta, evento che coinvolge emotivamente tutto il popolo della Gran Bretagna, il padre esorta i figlioletti a lasciar perdere, a spegnere la radio e a scendere nella quiete della spiaggia. Gente disinvolta: subito dopo la guerra, quando praticamente nessuno ha l’auto, acquistano un vecchissimo taxi londinese con cui viaggiano qua e là per il paese. Insomma: una famiglia sicuramente fuori dal comune.
In tale clima intellettuale e anticonformista si va formando il piccolo Stephen. Un ragazzino del tutto normale. Non particolarmente bravo a scuola. Ha una pessima zampa di gallina, tanto che gli viene imposto un libro di esercizi di calligrafia. Gli piace ballare le danze popolari irlandesi, ma è goffo. E’ animato da un vivace humour, non sempre delicatissimo. A un professore che trovano troppo severo, lui e i suoi compagni di classe fanno saltare per aria la seggiola con una diabolica mistura esplosiva. Gli amici di allora dicono: intelligente lo era senz’altro, ma di un’intelligenza particolare, indecifrabile, in apparenza pigra, o comunque finalizzata a imprese singolari. Come per esempio alla continua invenzione di complicatissimi giochi di società, quasi impenetrabili, misteriosi, dalle regole poco meno che incomprensibili, tali da dare luogo a sfide che potevano svilupparsi sull’arco di un’intera settimana. Non avevano capito che Stephen stava cominciando a vivere in un universo tutto suo. Di più: che un universo tutto suo aveva addirittura cominciato a elaborarselo su misura. Quando a tredici anni venne colpito da una serie di dolorose febbri ghiandolari, non ci fece caso nessuno. Dolori di crescita, si pensò.
Dolori da cui il ragazzo esce, come di norma accade, più adulto. Si deve cominciare a pensare all’università. Il padre, biologo, lo vorrebbe medico. Ma lui rifiuta: medicina e biologia gli sembrano scienze troppo opinabili. Mentre lui ambisce all’esattezza: vuole studiare matematica. Un compromesso viene raggiunto sulla facoltà di fisica presso l’università di Oxford, che consente al ragazzo di risiedere in quell’University College dove già era stato il padre. Ancora una volta quasi nessuno fa caso al fatto che al momento dell’esame di ammissione all’università, passato con l’assegnazione di una borsa di studio, Stephen ha soltanto diciassette anni. Le altre tre matricole di fisica che studiano e vivono con lui allo University College, e con cui deve fare gruppo per le esercitazioni, lo trovano simpatico. Molto pigro, però, anche se senza dubbio di balzana intelligenza. Visto che ha soltanto diciassette anni, lo aiutano a farla in barba alla legislazione britannica che gli vieterebbe di bere la birra. E lui beve, continua con le sue burle, balla, partecipa animatamente, in qualità di timoniere, allo sport del remo, tanto popolare nelle università d’Inghilterra. Uno studentello come tutti gli altri.
Finché un giorno, durante il secondo anno, al quartetto di studenti di fisica dello University College viene assegnato un tremendo esercizio che pone tredici quesiti apparentemente insolubili. Nel giro di una settimana gli altri tre trovano soltanto due risposte. Lui dorme, si alza tardi, sembra disinteressarsi al problema. Irritati da tanta neghittosità, i tre escono a fare una passeggiata per schiarirsi le idee. Al rientro sono ancora seccati. Allora, quante risposte hai finalmente trovato? gli chiedono, inveleniti. Mah, risponde lui, per adesso dieci, ma se mi date ancora un po’ di tempo... "In quel momento", dichiara uno dei tre, "capimmo che non solo non eravamo sulla stessa strada, ma neanche sullo stesso pianeta". Era sbocciato il nuovo Einstein.
Aule, sale, corridoi di Oxford sono il suo ambiente naturale. Li percorre con giovanile impeto, la testa perduta tra quegli incommensurabili, insondabili spazi del nostro Universo di cui ha cominciato a cercar di violare il mistero. Così, correndo con il naso e la mente all’aria, un giorno cade dalle scale. Sviene. Fatica a riprendere conoscenza. Sembra avere perso la memoria. Ma poi tutto pare normalizzarsi. Avendo deciso per prudenza di sottoporsi a un test psicofisico, lo supera brillantemente. Ogni cosa sembra nella norma, ma nel corso del terzo anno di studi le mani cominciano a dargli qualche problema. Ciò non gli impedisce di laurearsi a pieni voti a soli vent’anni.
L’accademia universitaria lo accoglie a braccia aperte nel proprio esclusivo mondo perché possa continuare i suoi studi sulla relatività generale e i buchi neri: sull’origine dell’Universo, insomma. Ma, per moltissimi, Universo e volontà di Dio si identificano. E’ lecito studiare le intenzioni di Dio? Hawking non si è imbarcato in un’impresa troppo grande? E in effetti, travestito da Destino, l’Universo sembra reagire, opporsi allo svelamento. In maniera arcana la vita di Stephen si avvia a scontrarsi con una sequela di complicazioni sempre più tremende. Le difficoltà nell’uso delle mani lo convincono a sottoporsi a nuovi esami. Gli tolgono un campione di muscolo, gli iniettano un fluido nella spina dorsale. La diagnosi è terribile: sclerosi amiotrofica laterale, una malattia che provoca la disintegrazione delle cellule nervose e con essa una morte rapida. Gli vengono concessi due anni e mezzo. Potrà, in così poco tempo, portare a termine la propria impresa, dare una risposta alla sterminata problematica scientifica ed esistenziale connessa con il mistero dell’Universo? "Di fronte alla possibilità di una morte precoce", dichiara, "ci si rende conto di quanto sia preziosa la vita."
Non cede. Al contrario si dedica all’impresa con ancor maggiore dedizione. E, come nelle più belle favole, in suo soccorso viene l’amore. Nel 1965 sposa Jane Wilde, donna capace di un’abnegazione assoluta, che per venticinque anni gli farà da moglie e da infermiera, minuto per minuto, dandogli anche tre figli. Intanto i risultati scientifici si susseguono. Per essi, nel 1975 gli viene assegnata in Vaticano la medaglia d’oro intitolata a Pio XII. Da tempo le sue membra contorte e atrofizzate non sono più in grado di sollevarsi dalla carrozzella: è il Pontefice che deve chinarsi su di lui per consegnargli il riconoscimento. "Non sono del tutto sicuro che, se lo avesse capito davvero, il papa avrebbe approvato ciò che Hawking aveva scoperto", commenta uno studioso. Gioverà ripeterlo: l’ansia di scoprire le origini dell’Universo è rischiosamente vicina al desiderio di svelare il volere di Dio. Eppure nella reggia di San Pietro Stephen Hawking ci torna più volte: nel 1986 viene addirittura ammesso all’Accademia Pontificia delle Scienze.
Intanto nel 1979 è stato nominato titolare della cattedra di matematica già occupata da Isaac Newton. La firma sull’atto di accettazione è l’ultima cosa che riesce a scrivere. Ormai i risultati delle proprie ricerche, e con essi le proprie emozioni di uomo, li può comunicare soltanto a voce. E’ unicamente servendosi della voce che continua instancabile, nonostante la fatica atroce, a insegnare a un drappello di fedelissimi studenti, pronti ad assisterlo istante per istante, in un rapporto che qualcuno ha definito di natura "religiosa". Il fatto si è che per lui il problema di divulgare le proprie scoperte, di metterle a disposizione non soltanto della ristrettissima accademia scientifica ma anche del grande pubblico è di cruciale importanza. E’ precisamente perciò che tra il 1982 e il 1984 nasce Dal Big Bang ai buchi neri. Un testo arduo, al limite della comprensibilità nonostante le generose intenzioni dell’autore. Eppure il largo pubblico reagisce con l’intelligenza di cui è capace se giustamente stimolato. Di fronte all’enormità del numero, che cosa conta che dei cinque milioni di copie vendute molte non siano certamente mai state lette?
Proprio per questo, proprio per chi non è riuscito a sormontare le difficoltà del suo saggio Hawking ha ora elaborato un duplice strumento, un libro collegato a un film in videocassetta, entrambi intitolati Come leggere Stephen Hawking: Dal Big Bang ai buchi neri. Vita, ricerche, idee. Due strumenti capaci di fondere intimamente la biografia dell’uomo con la profondità della scienza, i risultati scientifici di Stephen Hawking con la sua tormentata realtà di vivente. La sua battaglia contro il mistero dell’Universo e l’oscura volontà del Fato continua intanto senza tregua. Avrebbe dovuto durare non più di due anni e mezzo, è ormai combattuta da più di un quarto di secolo, colpo su colpo. L’anno scorso Stephen è stato investito da un auto, con ulteriori gravi conseguenze fisiche. Nel 1990, inoltre, il magico rapporto che lo legava alla moglie si è spezzato, concludendosi con un doloroso divorzio. Ma, soprattutto, da qualche anno Hawking non dispone più nemmeno della voce, deve comunicare servendosi di un sofisticatissimo computer che gli consente di esprimersi con sconvolgente lentezza: non più di quindici parole al minuto. Pure, comunica. E attraverso tale comunicazione i risultati della sua indagine scientifico-filosofica continuano ad avvicinare impercettibilmente l’umanità a una risposta definitiva, che significherà il trionfo della ragione. "Perché allora", conclude lo stesso Hawking, "conosceremo la mente di Dio." E, forse, sia consentito aggiungere, anche la nostra faticosa realtà di uomini.
(Amica, 1992)