Scrive di: Banana Yoshimoto
Recensione: “Sonno profondo” (1994)
Recensione: “Sonno profondo” (1994)
© Mario Biondi
Divieto di riproduzione integrale
e obbligo di citazione (per cortesia...)
Serpeggia, tra i giovani di oggi, un disagio che sembra travalicare ogni confine di nazionalità, lingua, cultura, ideologia. Una sorta di riedizione, in apparenza superficiale ma in realtà sfuggente e inquietante, di quello che fu il cosiddetto «esistenzialismo», (o l’«alienazione» di Antonioni). Anche questo disagio, partendo dalla sua versione letteraria americana, si è cercato di incasellarlo in una definizione, con grande sdegno per altro dei giovani talenti (o non-talenti) interessati: «minimalismo».
Esponente a pieno titolo di questo presunto «minimalismo» internazionale è la ventinovenne Banana Yoshimoto, scrittrice giapponese baciata in fronte dal più lusinghiero dei successi fin dall’esordio con il romanzo Kitchen (aveva 23 anni). Degli otto libri che da allora ha pubblicato (con milioni di copie vendute, traduzioni, trasposizioni cinematografiche, diluvi di premi, bagni di folla tra gli ammiratori), in Italia ne sono arrivati tre: Kitchen, N.P. e, da qualche mese, Sonno profondo.
Romanzi i primi due, composto di tre racconti il terzo. Evanescenti vidende giovanili, romantiche solitudini, professioni precarie, personaggi problematici (con corollario di suicidi), morti che si manifestano dall’aldilà, un gusto sottilmente ambiguo per il travestitismo, manciatine di incesto, il tutto trattato con mano lieve e aspirazioni poetiche che fanno venire in mente un certo calligrafismo grafico giapponese, non di rado stucchevole.
I tre racconti di Sonno profondo (risalgono all’89, ovvero agli esordi, e sono tipici delle tematiche indicate, oltre che centrati su una giovane donna in cui l’autrice dichiara più o meno di riconoscersi) hanno come tema conduttore la notte. In un poscritto, Yoshimoto dichiara che «se… qualcuno… leggendoli dovesse trarne un po’ di serenità» per lei «sarebbe il massimo». Non risulta tuttavia facile capire (nella nostra cultura) da dove dovrebbe derivare tale serenità. Vicende e personaggi sembrerebbero infatti piuttosto concepiti per sfogare (e ingenerare nel lettore) un’inquietudine di natura appunto «esistenziale».
Banana Yoshimoto, Sonno profondo, Feltrinelli
(Per Letture, maggio 1994)
Esponente a pieno titolo di questo presunto «minimalismo» internazionale è la ventinovenne Banana Yoshimoto, scrittrice giapponese baciata in fronte dal più lusinghiero dei successi fin dall’esordio con il romanzo Kitchen (aveva 23 anni). Degli otto libri che da allora ha pubblicato (con milioni di copie vendute, traduzioni, trasposizioni cinematografiche, diluvi di premi, bagni di folla tra gli ammiratori), in Italia ne sono arrivati tre: Kitchen, N.P. e, da qualche mese, Sonno profondo.
Romanzi i primi due, composto di tre racconti il terzo. Evanescenti vidende giovanili, romantiche solitudini, professioni precarie, personaggi problematici (con corollario di suicidi), morti che si manifestano dall’aldilà, un gusto sottilmente ambiguo per il travestitismo, manciatine di incesto, il tutto trattato con mano lieve e aspirazioni poetiche che fanno venire in mente un certo calligrafismo grafico giapponese, non di rado stucchevole.
I tre racconti di Sonno profondo (risalgono all’89, ovvero agli esordi, e sono tipici delle tematiche indicate, oltre che centrati su una giovane donna in cui l’autrice dichiara più o meno di riconoscersi) hanno come tema conduttore la notte. In un poscritto, Yoshimoto dichiara che «se… qualcuno… leggendoli dovesse trarne un po’ di serenità» per lei «sarebbe il massimo». Non risulta tuttavia facile capire (nella nostra cultura) da dove dovrebbe derivare tale serenità. Vicende e personaggi sembrerebbero infatti piuttosto concepiti per sfogare (e ingenerare nel lettore) un’inquietudine di natura appunto «esistenziale».
Banana Yoshimoto, Sonno profondo, Feltrinelli
(Per Letture, maggio 1994)