RACCONTA
John Grisham
I. Ritratto (1994)
II. Recensione: “L’uomo della pioggia” (1995)
I. Ritratto (1994)
II. Recensione: “L’uomo della pioggia” (1995)
© Mario Biondi
Divieto di riproduzione integrale
e obbligo di citazione (per cortesia...)
Domanda: Chi ha bisogno dell’assistenza di un avvocato? Risposta: Una persona che si trova nei pasticci. E che cos’è a rendere appassionante la trama di un romanzo o di un film? Le peripezie di una persona che si trova nei pasticci. E’ l’elementare ma ferreo assunto su cui si basa la cosiddetta "narrativa di avvocati", sia essa in forma di libro o di film, dai tempi dell’ingualcibile Perry Mason, sempre impegnato ad aggiustare torti dal suo banco di avvocato, giù giù fino all’attuale maestro indiscusso del cosiddetto legal thriller, il più pirotecnico e ricco degli inventori di storie che fanno stare il lettore (o lo spettatore) con il fiato sospeso e la pelle accapponata dal primo momento fino all’ultimo. Chi è costui? Alt, un attimo di fiato sospeso, come si conviene trattando un simile argomento. Prima diamo un po’ di numeri.
Numeri piccoli, per cominciare. Quattro romanzi in poco più di tre anni, dal ’91 al ’94, più un quinto scritto in precedenza senza nessun successo e poi recuperato con debordante gioia delle masse lettrici. Tre film già usciti, un quarto finito e un quinto in via di realizzazione, tutti basati sui citati cinque libri. Traduzioni in trentuno lingue. (Ne sarà rimasta fuori qualcuna? Che so, l’algonchino, il samoiedo?) Poi vengono i numeri grossi. Molto grossi. Immensi, colossali. Sessanta milioni di copie vendute. In cifre: 60.000.000! Quanti metri saranno, messe tutte in fila? Trattandosi di libroni belli corposi, diciamo 250 milioni di centimetri. Pari a 2,5 milioni di metri. 2500 chilometri. Più che da Roma a Mosca. Ma, soprattutto, quanto vorrà dire in termini di soldi? Così, tanto per continuare con i numeri grossi. Abbiamo detto 60 milioni di copie. Vogliamo dargli mediamente 1500 lire di diritti a copia, tra edizioni rilegate, tascabili, club del libro e connesse diavolerie? Diamogliele, diamogliele, sono persino poche. In lire italiane fanno 90 miliardi. Messi insieme in poco più di tre anni. Ci saranno tante persone, a questo mondo, capaci di produrre denaro, completamente da sole, a un ritmo così indiavolato? E non è finita.
Ci sono anche i diritti cinematografici. Un miliardo per la cessione del primo romanzo. Due per il secondo. Quasi quattro per il terzo. Quasi sei per il quarto. Pare che, venuto a saperlo, un altro mostro dell’incasso fantasmagorico, il celebrato Michael Crichton di Jurassic Park eccetera, abbia rischiato di strozzarsi. Lui prendeva meno. Comunque, tornando al nostro Autore: 1 più 2 più quasi 4 più quasi 6 fa — stiamo stretti — altri 12 miliardi, da aggiungere ai già calcolati 90. Per un totale di 102, arrotondabili a 100. Cento miliardi in poco più di tre anni. È una valutazione corretta. Infatti la rivista Forbes ha stimato pari a 25 milioni di dollari (una quarantina di miliardi) i suoi guadagni soltanto per il ’92-’93.
Chi è dunque questo mostro umano, capace di trasformare in un doblone sonante ogni singolo contatto di un suo polpastrello con un tasto di computer? Signori, 39 anni, formatosi nella terra di Elvis Presley (ovvero il Tennessee, nel profondo Sud degli States, dalle parti di Memphis), una moglie e due figlioletti, un chilometrico conto in banca e la ferma intenzione di allungarlo ancora di più, seppure con meno assillo (il pane ormai difficilmente verrà a mancare in famiglia), ecco a voi John Grisham. Autore, nell’ordine, di Il momento di uccidere, Il socio, Il rapporto Pelican, Il cliente, L’appello. Alzi la mano chi non ne ha letto almeno uno, chi non ha visto almeno uno dei film che ne sono stati tratti, diretti da personaggi come Alan Pakula, Sidney Pollack, Joel Schumacher, recitati da superstar come Tom Cruise, Julia Roberts (ha addirittura preteso che le venisse affidata la parte), Susan Sarandon.
La ricetta di un così sfolgorante successo? Semplice e al tempo stesso sottile. Procediamo per approssimazioni successive. Una volta gli incalliti maestri dei gialli hard boiled dicevano (ma lo scriveva anche un gigante della narrazione come il Premio Nobel I. B. Singer): «Il lettore deve sempre essere ansioso di sapere che cosa succede la pagina dopo». Quindi obbligarlo ad andare avanti a leggere, rendergli impossibile posare il libro. Mettergli in una pagina una bella donna che possibilmente faccia vedere almeno le calze di seta con la riga nera, nella successiva un detective fusto, poi una pistola che spara, poi un morto ammazzato... E così via, fino allo scioglimento finale. Una regoletta che Grisham usa con consumata maestria. Senza eccedere nella calze con la riga nera (tra i suoi lettori vuole anche i ragazzini e le nonne), sostituendo magari la pistola con un bel candelotto di gelignite (è più spettacolare: ricordate come salta per aria la roulotte della povera mamma del ragazzino cliente dell’avvocatessa Sarandon?), non disdegnando di mettere femminilissime avvocatesse o aspiranti avvocatesse (le citate Sarandon e Roberts) al posto del detective fusto (alle lettrici piace immedesimarsi). Ma, soprattutto, usando sempre come chiave di volta della vicenda, come pietra filosofale dello svelamento finale, un avvocato, donna o uomo. Impegnato fino ai denti, se non a rischio della vita, per difendere un innocente dalla brutalità dei tempi moderni: malavita, mafia, potere costituito. Eh, sì, i poliziotti di Grisham sono sempre un po’ mascalzoni, disposti a calpestare persino i bambini pur di fare carriera (politica). Il lettore (o lo spettatore) — a cui la parte dell’innocente bistrattato non dispiace mai, perché tutti siamo convinti di essere stati vittime di almeno un sopruso da parte di un prepotente, privato o pubblico — cade senza fallo nella trappola, si sente mancare il fiato, accapponare la pelle. Dopo seicento pagine di libro o due ore abbondanti di film è lì con la boccuccia aperta che ne vorrebbe ancora un po’.
Prendete il finale di Il cliente. Quando il jet si leva alto sopra l’acqua, in una galeotta striscia dorata di sole, per portare in salvo appunto gli innocenti, sottraendoli alla mafia e agli intrighi dell’aspirante governatore, chi sarà così duro di cuore da non avere una lacrimuccia appesa alle ciglia, da non sperare nell’intimo che la storia del ragazzino terribile e dell’avvocatessa squinternata non finisca lì, che si rivedano, nonostante tutto... Ecco l’ultimo ingrediente, il lievito che fa letteralmente esplodere l’impasto del rapporto autore-lettore (o spettatore). Sappiamo perfettamente che il ragazzino e l’avvocatessa, per il loro bene, non si vedranno mai più. Ma chissà che nel prossimo libro, o film, non ricompaiano... La speranza è l’ultima a morire. Così, non appena il nuovo libro o film comparirà all’orizzonte, saremo lì, davanti al banco del libraio o al botteghino del cinema, per dare il nostro contributo a far diventare centinaia di migliaia le copie vendute e centinaia anche i miliardi guadagnati. Beato lei, avvocato Grisham! Ma se li è meritati.
E lui, John Grisham, come reagisce alla valanga del successo? Tranquillo, appartato. Si è ritirato a vivere con la moglie e i due ragazzini (Ty, 10 anni, campioncino della Little League di baseball, e Shea, 8, fanatica del soccer) a vivere in una tenuta di 67 acri nella zona di Oxford, Mississippi (patria di Faulkner), con campi da tennis, croquet e baseball (per allenare il bambino e non perdere la pratica con la palla e il guantone), cavalli, piscina, laghetto per pescare. Si fa la barba una volta alla settimana, la domenica, prima di andare a messa. Ma tutte le mattine alle cinque, da quel serio e metodico professionista che è rimasto anche dopo avere messo via per sempre (e con dichiarato entusiasmo) i ferri del mestiere che avevano fatto di lui un giovane e promettente avvocato (ma niente di più), oltre che un deputato democratico del parlamento dello Stato del Mississippi, si mette davanti al computer e non si alza finché non ha scritto almeno sei pagine. Quando consegna un libro finito, dopo essere tornato a casa ingobbito sotto il peso di un iperbolico assegno in dollari, non demorde. Il mattino dopo, alle cinque, è già seduto davanti al computer. Per scaramanzia, dice.
Ai momenti di relax totale, invece, ha dedicato l’acquisto di un’antica dimora coloniale in Virginia. Quando l’interesse dei mass media si fa troppo pressante carica la moglie Renée (grande divoratrice di narrativa popolare, la sua più preziosa consigliera e "critica") e i figlioletti sull’aereo privato e scappa lì. Non risponde quasi più nemmeno al telefono. Se ne sta in pace, a godere le gioie della famiglia, la soddisfazione di avere visto Il rapporto Pelican (il film) in anteprima alla Casa Bianca, in compagnia di Bill e Hillary Clinton. E a commuoversi fino alle lacrime, con Renée, al ricordo di una scena autobiografica che ha inserito in Il socio e che il regista ha fedelmente ripreso. Il giovane avvocato protagonista (Tom Cruise) e la moglie sono ancora poveri. Fantasticano tra loro sul giorno in cui potranno permettersi una vera bottiglia di vino, con il tappo di sughero. Avvocato Grisham, com’è cambiata la prospettiva in soli tre anni! Le più vive congratulazioni, in barba ai critici che non le vogliono bene e che le danno un po’ di quel blues che ha reso famosa la musica del suo Sud. Non si immalinconisca. Sono convinti anche loro di avere subito un sopruso. Da lei, con i suoi dannati 60.000.000 di copie. Non si daranno mai pace. Loro, non li legge nessuno.
(Class n. 10/1994)
II.
Dicono i dizionari dello slang commerciale americano che "rainmaker", il "mago della pioggia", è l’espressione che indica un avvocato capace di mettere a profitto il proprio talento (e tutte le entrature possibili) per far piovere sul suo studio una pioggia di soldi. È ciò che sogna di diventare Rudy Baylor, laureato in legge in attesa dell’esame di stato. Intanto si mantiene compiendo un intero circo equestre di salti mortali. Si adatta a fare di tutto, lavora di notte in un bar discutibile, aggiusta il giardino di una vecchietta. Non ce la fa ugualmente, è tallonato dai creditori. Ma è un "mago della pioggia" nato. Nonostante questo, un paio di grossi studi legali, che lo avevano praticamente assunto in prova in attesa dell’esame, lo scaricano brutalmente dopo avere approfittato di lui. Non demorde. Attraverso i vecchietti cui presta gratis la propria consulenza legale gli arriva la grande occasione. Una causa per inadempienza contro una svergognata compagnia di assicurazioni che approfitta dei poveri. Per poterla seguire si adatta a lavorare per uno studio legale equivoco. Il difensore della compagnia di assicurazioni è nientemeno che uno dei due grossi studi che lo hanno scaricato. Si impegna con le unghie e con i denti, ma soprattutto con la sua onestà e con le sue qualità innate di "mago della pioggia".
È l’argomento del nuovo romanzo del re delle "storie di avvocati", John Grisham, grande amico di Clinton e del partito democratico. Un trionfo. The New York Times del 19 aprile parla di 300.000 copie subito bruciate all’uscita. Ce la fa, il nostro giovane avvocato a vincere? Rispondere significherebbe vanificare il sapiente meccanismo narrativo messo in piedi dal grande Grisham. Diciamo che il finale riserba una sorpresa agrodolce, intrisa del tipico, sereno e severo moralismo democratico Usa.
Negli ultimi tempi Grisham aveva battuto qualche colpo a vuoto. Il successo sembrava non essere più così fedelmente schierato dalla sua parte. L’annunciata decisione di tornare alla professione di avvocato era stata in parte presa come un’ammissione di queste difficoltà. Ma l`illazione è del tutto smentita dal successo del nuovo romanzo (il sesto), uno splendido e amaro apologo sulla realtà della professione di avvocato negli Stati Uniti. Non è difficile profetizzare che le classifiche librarie 1995 dovranno tenerne trionfalmente conto.
John Grisham, L’uomo della pioggia, Mondadori
(Class n. 6/1995)
Numeri piccoli, per cominciare. Quattro romanzi in poco più di tre anni, dal ’91 al ’94, più un quinto scritto in precedenza senza nessun successo e poi recuperato con debordante gioia delle masse lettrici. Tre film già usciti, un quarto finito e un quinto in via di realizzazione, tutti basati sui citati cinque libri. Traduzioni in trentuno lingue. (Ne sarà rimasta fuori qualcuna? Che so, l’algonchino, il samoiedo?) Poi vengono i numeri grossi. Molto grossi. Immensi, colossali. Sessanta milioni di copie vendute. In cifre: 60.000.000! Quanti metri saranno, messe tutte in fila? Trattandosi di libroni belli corposi, diciamo 250 milioni di centimetri. Pari a 2,5 milioni di metri. 2500 chilometri. Più che da Roma a Mosca. Ma, soprattutto, quanto vorrà dire in termini di soldi? Così, tanto per continuare con i numeri grossi. Abbiamo detto 60 milioni di copie. Vogliamo dargli mediamente 1500 lire di diritti a copia, tra edizioni rilegate, tascabili, club del libro e connesse diavolerie? Diamogliele, diamogliele, sono persino poche. In lire italiane fanno 90 miliardi. Messi insieme in poco più di tre anni. Ci saranno tante persone, a questo mondo, capaci di produrre denaro, completamente da sole, a un ritmo così indiavolato? E non è finita.
Ci sono anche i diritti cinematografici. Un miliardo per la cessione del primo romanzo. Due per il secondo. Quasi quattro per il terzo. Quasi sei per il quarto. Pare che, venuto a saperlo, un altro mostro dell’incasso fantasmagorico, il celebrato Michael Crichton di Jurassic Park eccetera, abbia rischiato di strozzarsi. Lui prendeva meno. Comunque, tornando al nostro Autore: 1 più 2 più quasi 4 più quasi 6 fa — stiamo stretti — altri 12 miliardi, da aggiungere ai già calcolati 90. Per un totale di 102, arrotondabili a 100. Cento miliardi in poco più di tre anni. È una valutazione corretta. Infatti la rivista Forbes ha stimato pari a 25 milioni di dollari (una quarantina di miliardi) i suoi guadagni soltanto per il ’92-’93.
Chi è dunque questo mostro umano, capace di trasformare in un doblone sonante ogni singolo contatto di un suo polpastrello con un tasto di computer? Signori, 39 anni, formatosi nella terra di Elvis Presley (ovvero il Tennessee, nel profondo Sud degli States, dalle parti di Memphis), una moglie e due figlioletti, un chilometrico conto in banca e la ferma intenzione di allungarlo ancora di più, seppure con meno assillo (il pane ormai difficilmente verrà a mancare in famiglia), ecco a voi John Grisham. Autore, nell’ordine, di Il momento di uccidere, Il socio, Il rapporto Pelican, Il cliente, L’appello. Alzi la mano chi non ne ha letto almeno uno, chi non ha visto almeno uno dei film che ne sono stati tratti, diretti da personaggi come Alan Pakula, Sidney Pollack, Joel Schumacher, recitati da superstar come Tom Cruise, Julia Roberts (ha addirittura preteso che le venisse affidata la parte), Susan Sarandon.
La ricetta di un così sfolgorante successo? Semplice e al tempo stesso sottile. Procediamo per approssimazioni successive. Una volta gli incalliti maestri dei gialli hard boiled dicevano (ma lo scriveva anche un gigante della narrazione come il Premio Nobel I. B. Singer): «Il lettore deve sempre essere ansioso di sapere che cosa succede la pagina dopo». Quindi obbligarlo ad andare avanti a leggere, rendergli impossibile posare il libro. Mettergli in una pagina una bella donna che possibilmente faccia vedere almeno le calze di seta con la riga nera, nella successiva un detective fusto, poi una pistola che spara, poi un morto ammazzato... E così via, fino allo scioglimento finale. Una regoletta che Grisham usa con consumata maestria. Senza eccedere nella calze con la riga nera (tra i suoi lettori vuole anche i ragazzini e le nonne), sostituendo magari la pistola con un bel candelotto di gelignite (è più spettacolare: ricordate come salta per aria la roulotte della povera mamma del ragazzino cliente dell’avvocatessa Sarandon?), non disdegnando di mettere femminilissime avvocatesse o aspiranti avvocatesse (le citate Sarandon e Roberts) al posto del detective fusto (alle lettrici piace immedesimarsi). Ma, soprattutto, usando sempre come chiave di volta della vicenda, come pietra filosofale dello svelamento finale, un avvocato, donna o uomo. Impegnato fino ai denti, se non a rischio della vita, per difendere un innocente dalla brutalità dei tempi moderni: malavita, mafia, potere costituito. Eh, sì, i poliziotti di Grisham sono sempre un po’ mascalzoni, disposti a calpestare persino i bambini pur di fare carriera (politica). Il lettore (o lo spettatore) — a cui la parte dell’innocente bistrattato non dispiace mai, perché tutti siamo convinti di essere stati vittime di almeno un sopruso da parte di un prepotente, privato o pubblico — cade senza fallo nella trappola, si sente mancare il fiato, accapponare la pelle. Dopo seicento pagine di libro o due ore abbondanti di film è lì con la boccuccia aperta che ne vorrebbe ancora un po’.
Prendete il finale di Il cliente. Quando il jet si leva alto sopra l’acqua, in una galeotta striscia dorata di sole, per portare in salvo appunto gli innocenti, sottraendoli alla mafia e agli intrighi dell’aspirante governatore, chi sarà così duro di cuore da non avere una lacrimuccia appesa alle ciglia, da non sperare nell’intimo che la storia del ragazzino terribile e dell’avvocatessa squinternata non finisca lì, che si rivedano, nonostante tutto... Ecco l’ultimo ingrediente, il lievito che fa letteralmente esplodere l’impasto del rapporto autore-lettore (o spettatore). Sappiamo perfettamente che il ragazzino e l’avvocatessa, per il loro bene, non si vedranno mai più. Ma chissà che nel prossimo libro, o film, non ricompaiano... La speranza è l’ultima a morire. Così, non appena il nuovo libro o film comparirà all’orizzonte, saremo lì, davanti al banco del libraio o al botteghino del cinema, per dare il nostro contributo a far diventare centinaia di migliaia le copie vendute e centinaia anche i miliardi guadagnati. Beato lei, avvocato Grisham! Ma se li è meritati.
E lui, John Grisham, come reagisce alla valanga del successo? Tranquillo, appartato. Si è ritirato a vivere con la moglie e i due ragazzini (Ty, 10 anni, campioncino della Little League di baseball, e Shea, 8, fanatica del soccer) a vivere in una tenuta di 67 acri nella zona di Oxford, Mississippi (patria di Faulkner), con campi da tennis, croquet e baseball (per allenare il bambino e non perdere la pratica con la palla e il guantone), cavalli, piscina, laghetto per pescare. Si fa la barba una volta alla settimana, la domenica, prima di andare a messa. Ma tutte le mattine alle cinque, da quel serio e metodico professionista che è rimasto anche dopo avere messo via per sempre (e con dichiarato entusiasmo) i ferri del mestiere che avevano fatto di lui un giovane e promettente avvocato (ma niente di più), oltre che un deputato democratico del parlamento dello Stato del Mississippi, si mette davanti al computer e non si alza finché non ha scritto almeno sei pagine. Quando consegna un libro finito, dopo essere tornato a casa ingobbito sotto il peso di un iperbolico assegno in dollari, non demorde. Il mattino dopo, alle cinque, è già seduto davanti al computer. Per scaramanzia, dice.
Ai momenti di relax totale, invece, ha dedicato l’acquisto di un’antica dimora coloniale in Virginia. Quando l’interesse dei mass media si fa troppo pressante carica la moglie Renée (grande divoratrice di narrativa popolare, la sua più preziosa consigliera e "critica") e i figlioletti sull’aereo privato e scappa lì. Non risponde quasi più nemmeno al telefono. Se ne sta in pace, a godere le gioie della famiglia, la soddisfazione di avere visto Il rapporto Pelican (il film) in anteprima alla Casa Bianca, in compagnia di Bill e Hillary Clinton. E a commuoversi fino alle lacrime, con Renée, al ricordo di una scena autobiografica che ha inserito in Il socio e che il regista ha fedelmente ripreso. Il giovane avvocato protagonista (Tom Cruise) e la moglie sono ancora poveri. Fantasticano tra loro sul giorno in cui potranno permettersi una vera bottiglia di vino, con il tappo di sughero. Avvocato Grisham, com’è cambiata la prospettiva in soli tre anni! Le più vive congratulazioni, in barba ai critici che non le vogliono bene e che le danno un po’ di quel blues che ha reso famosa la musica del suo Sud. Non si immalinconisca. Sono convinti anche loro di avere subito un sopruso. Da lei, con i suoi dannati 60.000.000 di copie. Non si daranno mai pace. Loro, non li legge nessuno.
(Class n. 10/1994)
II.
Dicono i dizionari dello slang commerciale americano che "rainmaker", il "mago della pioggia", è l’espressione che indica un avvocato capace di mettere a profitto il proprio talento (e tutte le entrature possibili) per far piovere sul suo studio una pioggia di soldi. È ciò che sogna di diventare Rudy Baylor, laureato in legge in attesa dell’esame di stato. Intanto si mantiene compiendo un intero circo equestre di salti mortali. Si adatta a fare di tutto, lavora di notte in un bar discutibile, aggiusta il giardino di una vecchietta. Non ce la fa ugualmente, è tallonato dai creditori. Ma è un "mago della pioggia" nato. Nonostante questo, un paio di grossi studi legali, che lo avevano praticamente assunto in prova in attesa dell’esame, lo scaricano brutalmente dopo avere approfittato di lui. Non demorde. Attraverso i vecchietti cui presta gratis la propria consulenza legale gli arriva la grande occasione. Una causa per inadempienza contro una svergognata compagnia di assicurazioni che approfitta dei poveri. Per poterla seguire si adatta a lavorare per uno studio legale equivoco. Il difensore della compagnia di assicurazioni è nientemeno che uno dei due grossi studi che lo hanno scaricato. Si impegna con le unghie e con i denti, ma soprattutto con la sua onestà e con le sue qualità innate di "mago della pioggia".
È l’argomento del nuovo romanzo del re delle "storie di avvocati", John Grisham, grande amico di Clinton e del partito democratico. Un trionfo. The New York Times del 19 aprile parla di 300.000 copie subito bruciate all’uscita. Ce la fa, il nostro giovane avvocato a vincere? Rispondere significherebbe vanificare il sapiente meccanismo narrativo messo in piedi dal grande Grisham. Diciamo che il finale riserba una sorpresa agrodolce, intrisa del tipico, sereno e severo moralismo democratico Usa.
Negli ultimi tempi Grisham aveva battuto qualche colpo a vuoto. Il successo sembrava non essere più così fedelmente schierato dalla sua parte. L’annunciata decisione di tornare alla professione di avvocato era stata in parte presa come un’ammissione di queste difficoltà. Ma l`illazione è del tutto smentita dal successo del nuovo romanzo (il sesto), uno splendido e amaro apologo sulla realtà della professione di avvocato negli Stati Uniti. Non è difficile profetizzare che le classifiche librarie 1995 dovranno tenerne trionfalmente conto.
John Grisham, L’uomo della pioggia, Mondadori
(Class n. 6/1995)