RACCONTA
Bernard Cornwell
"La saga di Thomas di Hookton, arciere"
Intervista (2001)
"La saga di Thomas di Hookton, arciere"
Intervista (2001)
© Mario Biondi
Divieto di riproduzione integrale
e obbligo di citazione (per cortesia...)
Dopo i tre romanzi del ciclo di Excalibur, la sterminata saga (18 romanzi già pubblicati) del "soldato" Richard Sharpe, gli altri romanzi storici o di azione per un totale di 37, il cinquantottenne "maestro del best seller" Bernard Cornwell inizia una nuova serie ambientata nello sconvolgimento storico della Guerra dei Cent’anni. Lo fa con il romanzo L’arciere del re, che nei paesi di lingua inglese ha ripetuto lo straordinario successo delle serie precedenti. Ne è protagonista il giovanissimo, corvino, ribelle Thomas di Hookton, prete mancato e arciere infallibile, che sbarca in Normandia con le truppe inglesi senza poter sapere (come del resto i suoi compagni) che lo fa per iniziare una sanguinosa e tragica guerra destinata a durare un secolo. Thomas ha insinuata a fondo nel cuore una missione segreta: recuperare la lancia con cui San Giorgio ha ucciso il drago, asportata con la violenza dalla chiesa di cui era parroco il suo sanguigno padre naturale. La deve strappare a un misterioso cavaliere francese nerovestito che si fa chiamare Harlequin. E si mormora che il misticheggiante Harlequin abbia molto a che fare anche con il Santo Graal... Ho incontrato Bernard Cornwell e parlato con lui di questa sua nuova serie.
D. Com'è diventato scrittore Bernard Cornwell?
R. Un giorno di ventun'anni fa, a Belfast, ho conosciuto un'americana e ho deciso che sarebbe diventata mia moglie. Così è stato e ci siamo trasferiti negli Stati Uniti, dove però non riuscivo a ottenere un permesso di lavoro, così ho pensato di provare a scrivere. Non ho più smesso. Come non ho mai cambiato moglie!
D. Thomas di Hookton, dunque. Assomiglia molto a Richard Sharpe. Come lui ha la guerra nel sangue, come lui non ha genitori ufficialmente riconosciuti, come lui sembra destinato a una grande carriera militare e forse politica, come lui ha rapporti non facili con le donne.
R. È vero, assomigliano. È un tipo di personaggio romanzesco che mi piace. Anche se i rapporti di Thomas con le donne, almeno fino a questo stadio, sono meno complicati di quelli di Sharpe. Lo sono quelli con la nobildonna arciera denominata "la Gazza", ma il suo amore con Eleanor penso sia destinato a durare. Sono giovanissimi entrambi, sono belli, hanno l'intera vita davanti...
D. Thomas è figlio naturale di un prete e si trova coinvolto in una cupa vicenda di fervore religioso ed eresia (i catari). Un simile personaggio discende forse dalla storia personale dell'autore, come si legge nelle sue biografie più o meno ufficiali?
R. Be', da questo particolare della mia vita discende senza dubbio il mio interesse per la religione. D'altra parte è stata il motore di tanta storia: scrivendo un romanzo ambientato nel XIV secolo non avrei mai potuto presciderne. Comunque è vero, sono cresciuto in una famiglia (adottiva) seguace della rigida setta fondamentalista protestante dei "Peculiar People". Per il resto, però, non credo che abbia molto influenzato la mia vita. Ma certamente non scorderò mai le infinite volte che il mio padre adottivo mi ha portato a visitare il monumento che ricorda i protestanti fatti ardere da Maria detta "la Sanguinaria", dicendomi cupamente: "Un giorno, in questo luogo verrò forse arso anch'io". Brr. Per fortuna quella setta non esiste più...
D. Sono invece esistiti davvero gli "hellequin"? Chi erano?
R. "Hellequin" è un'espressione francese da cui deriva, con una singolare mutazione, il vostro allegrissimo "Arlecchino". Era un'oscura credenza medievale secondo cui il diavolo avrebbe rimandato sulla Terra le anime dannate che più gli erano care perché servissero ai suoi fini sulfurei. Erano completamente vestiti di nero e spaventevoli da vedere. Per questo i francesi hanno affibbiato il nome di "hellequin" ai temibilissimi arcieri inglesi che invadevano le loro terre. Uno dei quali è appunto Thomas di Hookton.
D. Scrivere romanzi come i suoi richiede un grosso lavoro di ricerca storica. Fa tutto lei o la aiuta qualcuno?
R. In realtà non mi costa moltissime ricerche. È da quando avevo 16 anni che sono un lettore insaziabile di libri di Storia. Se affronto certi ambienti e periodi è proprio perché li conosco già bene. Ovviamente, di quando in quando devo approfondire le mie conoscenze con qualche ricerca di archivio, ma non molte. La gente si aspetta da me "romanzi", la "Storia" indagata nel profondo preferisce leggerla nei saggi degli storici di professione. Quanto a me, preferisco andare a visitare i campi di battaglia in cui ambiento i miei libri: si è addirittura formato un club di miei lettori che mi chiedono di accompagnarli in visite guidate a questi luoghi. È un'attività che mi piace molto.
D. La giornata lavorativa di uno scrittore come Bernard Cornwell?
R. Alle sette e mezza, anche alle sette, sono davanti al mio computer. Ci rimango fino a mezzogiorno, poi scendo un'oretta a nuotare nell'Atlantico davanti a casa mia, a Cape Cod. All'una sono di nuovo al lavoro e ci rimango fino alle cinque. Una normale giornata lavorativa, insomma. Perché quella dello scrittore è una professione. Altrimenti i libri non nascono e soprattutto non finiscono. Non credo al "gomito dello scrittore": è un problema che mi porrò eventualmente se mai un giorno dovessi sentire che un'infermiera o un medico non riescono più a lavorare perché sono stati improvvisamente afflitti dal "gomito" specifico della loro professione.
D. I suoi consigli a un giovane scrittore che desideri cimentarsi in questo tipo di romanzi avventuroso-storici?
R. Primo, chiedersi: "Questa vicenda, mentre la scrivo, mi sta divertendo?" Secondo, chiedersi: "Ma divertirà anche gli eventuali lettori?".
D. Può rivelarci qualcosa sui futuri sviluppi della serie "Arciere del re"?
R. No, ma non per cattiva volontà. Sto scrivendo il secondo romanzo con Thomas di Hookton, ma non so ancora dove mi porterà e come finirà. Non preparo mai uno schema di ciò che intendo scrivere: quando trovo una buona ambientazione e un buon inizio, mi lascio trasportare e li sviluppo.
D. E che cosa ne sarà ancora di "Sharpie"?
R. Be', di recente l'ho lasciato dalle parti di Copenhagen, dopo la battaglia di Trafalgar. Ma penso che mi darà da fare ancora per 5 o 6 libri.
D. Succederà mai, in un suo futuro romanzo, di scoprire che Thomas of Hookton e "Sharpie" non sono parenti soltanto in senso narrativo ma anche nel sangue? Richard come discendente di Thomas?
R. Santo Cielo, non ci avevo assolutamente pensato. Ma perché no? Tutto è possibile, soprattutto nei romanzi...
D. Com'è diventato scrittore Bernard Cornwell?
R. Un giorno di ventun'anni fa, a Belfast, ho conosciuto un'americana e ho deciso che sarebbe diventata mia moglie. Così è stato e ci siamo trasferiti negli Stati Uniti, dove però non riuscivo a ottenere un permesso di lavoro, così ho pensato di provare a scrivere. Non ho più smesso. Come non ho mai cambiato moglie!
D. Thomas di Hookton, dunque. Assomiglia molto a Richard Sharpe. Come lui ha la guerra nel sangue, come lui non ha genitori ufficialmente riconosciuti, come lui sembra destinato a una grande carriera militare e forse politica, come lui ha rapporti non facili con le donne.
R. È vero, assomigliano. È un tipo di personaggio romanzesco che mi piace. Anche se i rapporti di Thomas con le donne, almeno fino a questo stadio, sono meno complicati di quelli di Sharpe. Lo sono quelli con la nobildonna arciera denominata "la Gazza", ma il suo amore con Eleanor penso sia destinato a durare. Sono giovanissimi entrambi, sono belli, hanno l'intera vita davanti...
D. Thomas è figlio naturale di un prete e si trova coinvolto in una cupa vicenda di fervore religioso ed eresia (i catari). Un simile personaggio discende forse dalla storia personale dell'autore, come si legge nelle sue biografie più o meno ufficiali?
R. Be', da questo particolare della mia vita discende senza dubbio il mio interesse per la religione. D'altra parte è stata il motore di tanta storia: scrivendo un romanzo ambientato nel XIV secolo non avrei mai potuto presciderne. Comunque è vero, sono cresciuto in una famiglia (adottiva) seguace della rigida setta fondamentalista protestante dei "Peculiar People". Per il resto, però, non credo che abbia molto influenzato la mia vita. Ma certamente non scorderò mai le infinite volte che il mio padre adottivo mi ha portato a visitare il monumento che ricorda i protestanti fatti ardere da Maria detta "la Sanguinaria", dicendomi cupamente: "Un giorno, in questo luogo verrò forse arso anch'io". Brr. Per fortuna quella setta non esiste più...
D. Sono invece esistiti davvero gli "hellequin"? Chi erano?
R. "Hellequin" è un'espressione francese da cui deriva, con una singolare mutazione, il vostro allegrissimo "Arlecchino". Era un'oscura credenza medievale secondo cui il diavolo avrebbe rimandato sulla Terra le anime dannate che più gli erano care perché servissero ai suoi fini sulfurei. Erano completamente vestiti di nero e spaventevoli da vedere. Per questo i francesi hanno affibbiato il nome di "hellequin" ai temibilissimi arcieri inglesi che invadevano le loro terre. Uno dei quali è appunto Thomas di Hookton.
D. Scrivere romanzi come i suoi richiede un grosso lavoro di ricerca storica. Fa tutto lei o la aiuta qualcuno?
R. In realtà non mi costa moltissime ricerche. È da quando avevo 16 anni che sono un lettore insaziabile di libri di Storia. Se affronto certi ambienti e periodi è proprio perché li conosco già bene. Ovviamente, di quando in quando devo approfondire le mie conoscenze con qualche ricerca di archivio, ma non molte. La gente si aspetta da me "romanzi", la "Storia" indagata nel profondo preferisce leggerla nei saggi degli storici di professione. Quanto a me, preferisco andare a visitare i campi di battaglia in cui ambiento i miei libri: si è addirittura formato un club di miei lettori che mi chiedono di accompagnarli in visite guidate a questi luoghi. È un'attività che mi piace molto.
D. La giornata lavorativa di uno scrittore come Bernard Cornwell?
R. Alle sette e mezza, anche alle sette, sono davanti al mio computer. Ci rimango fino a mezzogiorno, poi scendo un'oretta a nuotare nell'Atlantico davanti a casa mia, a Cape Cod. All'una sono di nuovo al lavoro e ci rimango fino alle cinque. Una normale giornata lavorativa, insomma. Perché quella dello scrittore è una professione. Altrimenti i libri non nascono e soprattutto non finiscono. Non credo al "gomito dello scrittore": è un problema che mi porrò eventualmente se mai un giorno dovessi sentire che un'infermiera o un medico non riescono più a lavorare perché sono stati improvvisamente afflitti dal "gomito" specifico della loro professione.
D. I suoi consigli a un giovane scrittore che desideri cimentarsi in questo tipo di romanzi avventuroso-storici?
R. Primo, chiedersi: "Questa vicenda, mentre la scrivo, mi sta divertendo?" Secondo, chiedersi: "Ma divertirà anche gli eventuali lettori?".
D. Può rivelarci qualcosa sui futuri sviluppi della serie "Arciere del re"?
R. No, ma non per cattiva volontà. Sto scrivendo il secondo romanzo con Thomas di Hookton, ma non so ancora dove mi porterà e come finirà. Non preparo mai uno schema di ciò che intendo scrivere: quando trovo una buona ambientazione e un buon inizio, mi lascio trasportare e li sviluppo.
D. E che cosa ne sarà ancora di "Sharpie"?
R. Be', di recente l'ho lasciato dalle parti di Copenhagen, dopo la battaglia di Trafalgar. Ma penso che mi darà da fare ancora per 5 o 6 libri.
D. Succederà mai, in un suo futuro romanzo, di scoprire che Thomas of Hookton e "Sharpie" non sono parenti soltanto in senso narrativo ma anche nel sangue? Richard come discendente di Thomas?
R. Santo Cielo, non ci avevo assolutamente pensato. Ma perché no? Tutto è possibile, soprattutto nei romanzi...