GÜLE GÜLE. Parti con un sorriso
Corriere della Sera
2 aprile 2003
Güle güle, il sorriso del viaggiatore
Un invito al viaggio, piccole lezioni (arditamente sospese tra citazioni dotte e frammenti degni di una Lonely Planet) per imparare a scoprire il fascino di mitiche terre di confine. Mario Biondi (già vincitore del Campiello 1985 con Gli occhi di una donna) consiglia di muoversi, prima di tutto, armati di un rispettoso sorriso: «uno degli strumenti più proficui per confrontarsi con gli altri». «Güle güle», il titolo del suo nuovo libro, lo ha così rubato ai turchi che, a chi parte, dicono appunto qualcosa che tradotto in italiano suona più o meno come «sorridi, sorridi». Una sorta di «buona fortuna» a cui gli altri rispondono con «Allahaismarladik» («Dio sia con te»), un modo di salutarsi che Biondi definisce «bellissimo». Sono, quelli di Biondi, appunti di viaggio ma anche cronache degli innamoramenti di un nomade raffinato. La Grande Mela («l’amore obbligato»), l’Algeria («il primo amore che non si scorda mai»), l’Albania («l’amore incompreso»), la Siria («l’amore ancestrale»), la Giordania («l’amore troppo svelto»), la Turchia («praticamente un matrimonio»), l’Egitto («innamorarsi tardi è poco consigliabile»), l’Iran («ma a Yazd il fuoco è perenne»). Diario colto e ricco di sfumature che ti conquista pagina dopo pagina con i suoi riferimenti letterari ma che non dimentica neppure concrete istruzioni per l’uso: perché «il viaggio rischia di non essere granché senza qualche buon libro preparatorio ma che cosa sarebbe senza un buon albergo?».
Biondi parla così del Biltmore di New York dove alloggiavano Scott e Zelda (Fitzgerald) e del Raffles di Singapore dove soggiornava Kipling («il cibo è buono, le camere no» diceva l’autore di Kim ) ma anche del miracoloso furgone («che si torceva come una balenottera in calore») con cui raggiungere Hirhafok, sperduto villaggio nel Sahara algerino. Per scoprire che Biondi le terre che ha percorso in lungo e in largo, le ha comunque molto amate. E che ha saputo perdersi nell’incanto delle loro mitologie «assaggiandone» le specialità culinarie, «cristallizzandone» il ricordo con la macchina fotografica ma soprattutto, offrendo, a loro e alle loro genti, il suo rispettoso sorriso.
Un invito al viaggio, piccole lezioni (arditamente sospese tra citazioni dotte e frammenti degni di una Lonely Planet) per imparare a scoprire il fascino di mitiche terre di confine. Mario Biondi (già vincitore del Campiello 1985 con Gli occhi di una donna) consiglia di muoversi, prima di tutto, armati di un rispettoso sorriso: «uno degli strumenti più proficui per confrontarsi con gli altri». «Güle güle», il titolo del suo nuovo libro, lo ha così rubato ai turchi che, a chi parte, dicono appunto qualcosa che tradotto in italiano suona più o meno come «sorridi, sorridi». Una sorta di «buona fortuna» a cui gli altri rispondono con «Allahaismarladik» («Dio sia con te»), un modo di salutarsi che Biondi definisce «bellissimo». Sono, quelli di Biondi, appunti di viaggio ma anche cronache degli innamoramenti di un nomade raffinato. La Grande Mela («l’amore obbligato»), l’Algeria («il primo amore che non si scorda mai»), l’Albania («l’amore incompreso»), la Siria («l’amore ancestrale»), la Giordania («l’amore troppo svelto»), la Turchia («praticamente un matrimonio»), l’Egitto («innamorarsi tardi è poco consigliabile»), l’Iran («ma a Yazd il fuoco è perenne»). Diario colto e ricco di sfumature che ti conquista pagina dopo pagina con i suoi riferimenti letterari ma che non dimentica neppure concrete istruzioni per l’uso: perché «il viaggio rischia di non essere granché senza qualche buon libro preparatorio ma che cosa sarebbe senza un buon albergo?».
Biondi parla così del Biltmore di New York dove alloggiavano Scott e Zelda (Fitzgerald) e del Raffles di Singapore dove soggiornava Kipling («il cibo è buono, le camere no» diceva l’autore di Kim ) ma anche del miracoloso furgone («che si torceva come una balenottera in calore») con cui raggiungere Hirhafok, sperduto villaggio nel Sahara algerino. Per scoprire che Biondi le terre che ha percorso in lungo e in largo, le ha comunque molto amate. E che ha saputo perdersi nell’incanto delle loro mitologie «assaggiandone» le specialità culinarie, «cristallizzandone» il ricordo con la macchina fotografica ma soprattutto, offrendo, a loro e alle loro genti, il suo rispettoso sorriso.
Stefano Bucci
La Repubblica 30 giugno 2003
Gli allegri vagabondaggi di uno scrittore curioso
Questo non è un saggio sul gargarismo, ma un molto divertente e umorale libro di viaggi come dovrebbero essere tutti i libri del genere, di un autore che sembra avere tendenze autolesionistiche. Vorrei sapere quanti lettori sono stati indirizzati verso altri lidi da un titolo come questo Güle Güle inutilmente criptico, comprensibi le solo a pochissimi frequentatori della lingua turca. Aspetto curioso della vicenda è che Biondi per trentennale esperienza è perfettamente consapevole delle regole del mercato editoriale e dell'importanza dei titoli. Ma ha voluto, evidentemente, fare una scelta totale e liberatoria, senza nessun ammiccamento alle mode perché non c'è altra passione in lui, carnale o spirituale, di un'intensità simile a quella del viaggiare. Di solito l'entusiasmo che trascina gli autori quando stanno scrivendo di un argomento troppo amato, blocca i freni critici inibitori e a volte il risultato che un professionista si attendeva dal lavoro, risulta paradossalmente amatoriale. Qui, invece, grazie alla sua semplice simpatia che traspare da ogni pagina, al suo vagabondare razzolante che gli fa mettere il naso un po' d'ovunque (Turchia, Egitto, Iran, America...) l'autore si trasforma nel viaggiatore civile e cordiale, pieno di risorse, che tutti avremmo voluto essere. Privo persino di quello snobismo che sembra oggi una componente indispensabile per viaggiare elegante.
Questo non è un saggio sul gargarismo, ma un molto divertente e umorale libro di viaggi come dovrebbero essere tutti i libri del genere, di un autore che sembra avere tendenze autolesionistiche. Vorrei sapere quanti lettori sono stati indirizzati verso altri lidi da un titolo come questo Güle Güle inutilmente criptico, comprensibi le solo a pochissimi frequentatori della lingua turca. Aspetto curioso della vicenda è che Biondi per trentennale esperienza è perfettamente consapevole delle regole del mercato editoriale e dell'importanza dei titoli. Ma ha voluto, evidentemente, fare una scelta totale e liberatoria, senza nessun ammiccamento alle mode perché non c'è altra passione in lui, carnale o spirituale, di un'intensità simile a quella del viaggiare. Di solito l'entusiasmo che trascina gli autori quando stanno scrivendo di un argomento troppo amato, blocca i freni critici inibitori e a volte il risultato che un professionista si attendeva dal lavoro, risulta paradossalmente amatoriale. Qui, invece, grazie alla sua semplice simpatia che traspare da ogni pagina, al suo vagabondare razzolante che gli fa mettere il naso un po' d'ovunque (Turchia, Egitto, Iran, America...) l'autore si trasforma nel viaggiatore civile e cordiale, pieno di risorse, che tutti avremmo voluto essere. Privo persino di quello snobismo che sembra oggi una componente indispensabile per viaggiare elegante.
Stefano Malatesta
Qui Touring maggio 2003
Qualche mese fa, parlando di Ottobre a Pechino di Santiago Gamboa, dicevamo che, da vero scrittore, il colombiano aveva «il pregio di raccontare esperienze che potrebbero capitare a chiunque di noi, perfino al più sprovveduto turista occidentale, ma con un'attenzione rara ai dettagli significativi, ai particolari a prima vista meno rilevanti, eppure fondamentali, per farsi un'idea non banale di quei paesaggi, di quelle culture, di quel modo di vivere così distante dal nostro». Allo stesso modo, in Güle Güle, Mario Biondi ci conduce attraverso mezzo mondo cogliendo per noi dettagli illuminanti, scorci nascosti, abitudini e tradizioni non evidenti, qualità umane rivelatrici del carattere di un intero popolo.
Grandi amori. Gli alberghi più belli e carichi di storia, New York, l'Algeria e il suo deserto, l'Albania prima della caduta di Enver Hoxha, Aleppo e la Siria, la Giordania, la gloriosa Istanbul e la Turchia, l'Egitto dal Cairo a Luxor, l'Iran: tutti luoghi che Biondi ama o ha amato, seppure di un amore diverso. Se l'Algeria di Tamanrasset, di Fort Gardel o delle pitture rupestri del Tassili è «il primo amore che non si scorda mai», quello dell'Albania dei burocrati comunisti è un «amore incompreso». «Ancestrale» è addirittura l'amore per Aleppo e la Siria, «troppo svelto» quello per la Giordania, e finito «praticamente in un matrimonio» quello con la Turchia, che Biondi descrive magnificamente nelle sue grandezze e nelle sue miserie più segrete, da Istanbul all'Anatolia profonda.
Il tono dei suoi racconti è confidenziale, spesso ironico e autoironico, con un sorriso scanzonato a fior di labbra, ma non bisogna lasciarsi ingannare: viaggiatore colto e scrittore finissimo, capace di leggerezza calviniana anche nei momenti più difficili, Biondi custodisce un'autentica passione per il viaggio in sé e per le diverse culture con cui viene a contatto. Così, meravigliato davanti a paesaggi imponenti, avventuroso al punto giusto o carico di nostalgia per gli anni della gioventù, riesce quasi sempre a socchiudere al lettore porte altrimenti destinate a restare serrate, fornendoci informazioni preziose su storia e leggende dei luoghi che visita, lasciandone balenare la verità in guizzi apparentemente fugaci: in un beduino che lo accoglie in mezzo al deserto e gli prepara il tè, in un ragazzino che lo prega di non fumare durante il Ramadan se non vuole essere lapidato, nella poetica descrizione del deserto giordano, nel passato che freme e vive dietro le parole con le quali ci parla dei bagni turchi o del ponte sul Bosforo. Non c'è da stupirsi se per Biondi vedere, sapere e saper raccontare vanno di pari passo. Come tutti i veri viaggiatori, anche lui sa che «ai viaggi veri ci hanno comunque preparato i libri, e da allora, per molti di noi, il miglior compagno di viaggio è rimasto il libro. Da leggere, e per alcuni anche da scrivere. Come il viaggio, infatti, lettura e scrittura sono avventura, esplorazione, scoperta».
Grandi amori. Gli alberghi più belli e carichi di storia, New York, l'Algeria e il suo deserto, l'Albania prima della caduta di Enver Hoxha, Aleppo e la Siria, la Giordania, la gloriosa Istanbul e la Turchia, l'Egitto dal Cairo a Luxor, l'Iran: tutti luoghi che Biondi ama o ha amato, seppure di un amore diverso. Se l'Algeria di Tamanrasset, di Fort Gardel o delle pitture rupestri del Tassili è «il primo amore che non si scorda mai», quello dell'Albania dei burocrati comunisti è un «amore incompreso». «Ancestrale» è addirittura l'amore per Aleppo e la Siria, «troppo svelto» quello per la Giordania, e finito «praticamente in un matrimonio» quello con la Turchia, che Biondi descrive magnificamente nelle sue grandezze e nelle sue miserie più segrete, da Istanbul all'Anatolia profonda.
Il tono dei suoi racconti è confidenziale, spesso ironico e autoironico, con un sorriso scanzonato a fior di labbra, ma non bisogna lasciarsi ingannare: viaggiatore colto e scrittore finissimo, capace di leggerezza calviniana anche nei momenti più difficili, Biondi custodisce un'autentica passione per il viaggio in sé e per le diverse culture con cui viene a contatto. Così, meravigliato davanti a paesaggi imponenti, avventuroso al punto giusto o carico di nostalgia per gli anni della gioventù, riesce quasi sempre a socchiudere al lettore porte altrimenti destinate a restare serrate, fornendoci informazioni preziose su storia e leggende dei luoghi che visita, lasciandone balenare la verità in guizzi apparentemente fugaci: in un beduino che lo accoglie in mezzo al deserto e gli prepara il tè, in un ragazzino che lo prega di non fumare durante il Ramadan se non vuole essere lapidato, nella poetica descrizione del deserto giordano, nel passato che freme e vive dietro le parole con le quali ci parla dei bagni turchi o del ponte sul Bosforo. Non c'è da stupirsi se per Biondi vedere, sapere e saper raccontare vanno di pari passo. Come tutti i veri viaggiatori, anche lui sa che «ai viaggi veri ci hanno comunque preparato i libri, e da allora, per molti di noi, il miglior compagno di viaggio è rimasto il libro. Da leggere, e per alcuni anche da scrivere. Come il viaggio, infatti, lettura e scrittura sono avventura, esplorazione, scoperta».
Bruno Arpaia
Tuttolibri 19 luglio 2003
Biondi raffinato pellegrino del mondo tra lusso e fango
SULLA sinistra di chi guarda, nell'immensa facciata del complesso di Amir Chakmagh, una scritta indica il Museo dell'acqua di Yazd. Dista circa settecento chilometri da Teheran, la città di Yazd con le case costruite in mattoni tutte color del fango dove il museo sembra un'apparizionefantasma. Attraversounaporticina si scende a precipizio e, in fondo a una scala ripida, ad accogliere Mario Biondi, turista e vagabondo fin dagli Anni Sessanta che oggi racconta le sue peregrinazioni nell' ironico e raffinato "Gule gule. Parti con un sorriso", non c'è un custode. Bensì una specie di santone. E' lui il sorvegliante dell'antico deposito dell'acqua, un vero sacrario dal momento che si trova in una terra assetata, al limite di ben due deserti, a Nord la distesa di Dasht-e Kavir e a Sud quella di Dasht-e Lut. Biondi, viaggiatore incantato non solo da questo antico sito a metà strada tra Isfahan e Kerman, ma anche da tutti i luoghi in cui si è avventurato, dalla Siria alla Giordania, dalla Turchia all'Egitto all'Iran, da circa quarant'anni non ha mai smesso di viaggiare e di raccontare. Autore di romanzi, da "Un amore innocente" a "Gli occhi di una donna" con cui ha ottenuto il Campiello, Biondi è un funambolo che rende lieve ed elegante tutto quello in cui si imbatte. Sta a suo agio nella suite del Waldorf Astoria di New York quanto all'ombra di un cammello tra le dune del Sahara. Naturalmente i personaggi più singolari li incontra in Africa o in Oriente come lo sveglio Selim che sostiene "che il deserto purifica ogni cosa" o il simpatico e diabolico Halimi, capace di far pagare un tetto di paglia come una camera a cinque stelle. Il segreto di Biondi è che viaggia come sdoppiandosi, in compagnia di un alter ego al contempo appassionato e indifferente di tutto quello che vede. Al confine con l'Iran, per esempio, quando è appena scoppiata la rivoluzione di Khomeini, per non trovarsi in mezzo ad una guerra, è costretto a fare marcia indietro. Peccato. Comunque non si arrende. Ecambia direzione. Si inoltra tra gli ottanta monasteri della "Montagna dei servi di Dio" o "degli oranti" di Tur Abdin, passa per Mardin che risplende come un gioiello con la sua architettura, per Arbakir che conserva ancora viva la storia con le sue imponenti muraglie, le più importanti dopo quella della Cina, per Antep, città degli Ittiti e dei pistacchi e grande centro commerciale. Per un vagabondo colto, mai manierato ma assai snob la migliore guida non c'è dubbio si rivela il caso.
SULLA sinistra di chi guarda, nell'immensa facciata del complesso di Amir Chakmagh, una scritta indica il Museo dell'acqua di Yazd. Dista circa settecento chilometri da Teheran, la città di Yazd con le case costruite in mattoni tutte color del fango dove il museo sembra un'apparizionefantasma. Attraversounaporticina si scende a precipizio e, in fondo a una scala ripida, ad accogliere Mario Biondi, turista e vagabondo fin dagli Anni Sessanta che oggi racconta le sue peregrinazioni nell' ironico e raffinato "Gule gule. Parti con un sorriso", non c'è un custode. Bensì una specie di santone. E' lui il sorvegliante dell'antico deposito dell'acqua, un vero sacrario dal momento che si trova in una terra assetata, al limite di ben due deserti, a Nord la distesa di Dasht-e Kavir e a Sud quella di Dasht-e Lut. Biondi, viaggiatore incantato non solo da questo antico sito a metà strada tra Isfahan e Kerman, ma anche da tutti i luoghi in cui si è avventurato, dalla Siria alla Giordania, dalla Turchia all'Egitto all'Iran, da circa quarant'anni non ha mai smesso di viaggiare e di raccontare. Autore di romanzi, da "Un amore innocente" a "Gli occhi di una donna" con cui ha ottenuto il Campiello, Biondi è un funambolo che rende lieve ed elegante tutto quello in cui si imbatte. Sta a suo agio nella suite del Waldorf Astoria di New York quanto all'ombra di un cammello tra le dune del Sahara. Naturalmente i personaggi più singolari li incontra in Africa o in Oriente come lo sveglio Selim che sostiene "che il deserto purifica ogni cosa" o il simpatico e diabolico Halimi, capace di far pagare un tetto di paglia come una camera a cinque stelle. Il segreto di Biondi è che viaggia come sdoppiandosi, in compagnia di un alter ego al contempo appassionato e indifferente di tutto quello che vede. Al confine con l'Iran, per esempio, quando è appena scoppiata la rivoluzione di Khomeini, per non trovarsi in mezzo ad una guerra, è costretto a fare marcia indietro. Peccato. Comunque non si arrende. Ecambia direzione. Si inoltra tra gli ottanta monasteri della "Montagna dei servi di Dio" o "degli oranti" di Tur Abdin, passa per Mardin che risplende come un gioiello con la sua architettura, per Arbakir che conserva ancora viva la storia con le sue imponenti muraglie, le più importanti dopo quella della Cina, per Antep, città degli Ittiti e dei pistacchi e grande centro commerciale. Per un vagabondo colto, mai manierato ma assai snob la migliore guida non c'è dubbio si rivela il caso.
Mirella Serri
Italia oggi 14 maggio 2003
In tempi di viaggi organizzati, di distanze accorciate, di soggiorni tutto compreso in una capanna alla Maldive o in un igloo della Groenlandia con annesso televisore già sintonizzato su Beautiful affinché non vi perdiate neppure una puntata, insomma in un mondo globalizzato dove perfino i ragazzi che vanno in giro armati di zaino e sacco a pelo sono in realtà equipaggiati con carta di credito e indirizzi giusti, non è più affascinante il mestiere del viaggiatore così come lo si concepiva fino agli anni 60 e poco oltre, e così come lo raccontavano gli scrittori viaggiatori tipo Freya Stark o Cino Boccazzi, degni eredi dei Byron, dei De Brosses e degli Stendhal (quando anche l'Italia era un paese esotico). E a proposito di personaggi esotici, perché fare tanti chilometri per incontrare un curdo, un sik o un cingalese quando lo puoi trovare intorno a casa tua intento a vendere accendini, mungere mucche o costruire un muro?
In realtà, per chi sa viaggiare equipaggiato della curiosità e della capacità di guardare oltre i sentieri tracciati dal turismo organizzato, nel mondo ci sono ancora tante cose da vedere e tante persone che vale la pena di incontrare. Occorre però partire armati anche di un sorriso, che è la maniera più semplice ed efficace per presentarsi a gente diversa da noi per lingua, religione, abitudini. I turchi dicono «Güle güle», che vuole dire appunto «Sorridi sorridi» e significa «buon viaggio» e «buona fortuna». All'augurio si risponde «Allahaismarladik, Dio sia con te». Parole scelte non a caso da Mario Biondi per il suo libro Güle güle - Ricordi di viaggio, storie vere raccontate con uno stile tra il giornalistico e il narrativo, con molte citazioni di altri viaggiatori e scrittori.
L'insieme, oltre a costituire una lettura avvincente, mette una gran voglia di viaggiare e di conoscere i medesimi posti, anche se, come dicevamo, il mondo è molto cambiato da quegli anni 60 che vedevano Mario Biondi in Anatolia su una vecchia Alfa Romeo, o nel Sahara a bordo di un camion algerino, mentre la maggior parte degli italiani si ammassava tra Rimini e Rapallo e limitava il turismo culturale tra piazza San Marco e San Pietro. Mario Biondi, romanziere di successo (da un po' di tempo assente dalle librerie: evidentemente non ha la fregola di pubblicare a tutti i costi), ha spesso ambientato le sue opere nel mondo dell'Islam (basterebbe citare Il cielo della mezzaluna) mostrando di conoscerlo a fondo. Leggendo Güle güle scopriamo che non si tratta di una cultura costruita solo su libri e documenti, ma anche vissuta e approfondita in prima persona. Gli itinerari raccontati nel libro sono in gran parte relativi al mondo islamico, con una particolare predilezione per Turchia, Siria, Algeria, Albania (non dimentichiamo che la maggioranza degli albanesi professa la religione di Maometto), Giordania, Egitto. C'è anche, proprio in apertura, un soggiorno a New York (nell'affascinante ambiente di un Waldorf Astoria pieno dei fantasmi degli scrittori-mito americani accompagnati da una turba di personaggi a colori: Zsa Zsa Gabor, Eric Clapton, Elizabeth Taylor, Elsa Maxwell... ), ma si tratta di una chicca extra. I luoghi amati e raccontati da Biondi sono quelli che in antichità venivano definiti la mezzaluna fertile, culla delle civiltà che più tardi hanno colonizzato l'Occidente. Storia, archeologia, politica, oltre a una visione attenta e impietosa da documentarista, caratterizzano le pagine di Mario Biondi che ci appaiono particolarmente, e dolorosamente, di attualità, con tutti i problemi irrisolti, le tensioni, le guerre che mantengono in primo piano quella regione.
Il regno di Biondi è tra la Turchia (« ... Non so quante volte ho attraversato l'Anatolia in un senso o nell'altro ... ») e la Siria (« ... Eccomi dunque in un altro luglio ad Aleppo... Arrivato sotto la Torre dell'Orologio decido di colpo che io sono originario di lì. Ecco perché, quando la Terra mi fa perdere l'equilibrio, quasi inevitabilmente rotolo verso Oriente. Qualche mio antenato, nella notte dei secoli, è sicuramente partito da Aleppo per arrivare fino in Lombardia. Non ho dubbi»). Siria e Turchia, considerati i precedenti letterari, dovrebbero dare a Biondi la cittadinanza onoraria, come minimo.
Indimenticabili le pagine dedicate al deserto, percorso e vissuto fuori dalle rotte prestabilite. Un deserto vero, faticoso, con dentro scorpioni, vipere, sete, eppure affascinante e indimenticabile.
Giuseppe Pederiali
Stilos 21 luglio 2003
Ho girato il mondo a bordo della curiosità
Come sarebbe oggi il mondo se avesse preso seriamente piede la pratica di messer Ludovico che il mondo amava girarlo "con Tolomeo", insomma sulla carta geografica - in un tempo peraltro di grandi viaggiatori come erano gli scopritori di nuovi mondi, primo fra tutti Cristoforo Colon? Certo sarebbe stato più povero, anche se il paradosso di un letterato era comunque destinato a restare quello che in realtà era, e cioè il paradosso di un letterato. Al quale non si può comunque fare a meno di pensare a seguire Mario Biondi nelle sue peregrinazioni di viaggiatore vero che va di qua e di là con la curiosità, dice lui, di una gallina. Perché le accompagna sempre, mutatis mutandis, lo stesso spirito di stupita meraviglia che si vede, pur in quel fantasticare "con Tolomeo", nei tanti erranti del divino Ludovico, la stessa limpida apertura al godimento dei luoghi; al fascino dei paesaggi, alla novità dei costumi, al positivo che c'è nella diversità degli uomini e delle donne: al piacere di recuperarne la storia, anzi le storie, come alimento alla ricchezza propria e dei propri lettori.
Considerato in quest'ottica, il viaggiare di Biondi diventa qualcosa che va al di là del "cercare per conoscere", come poteva essere ancora nel Settecento (ma è definizione riduttiva), diventando invece anche un atto di amore, anzi la storia di un innamoramento progressivo che fa diventare il contatto con l'altro dei luoghi una specie di scoperta delle radici dell'essere: quelle dei luoghi e quelle proprie, dell'antropologia dei posti visitati e dell'antropologia della propria umanità. Perché i luoghi dei viaggi - e quindi anche i deserti, o le moschee o le città piccole dai nomi impossibili o quelle grandi dai nomi noti che appaiono in questo libro del milanese Biondi, Güle Güle sono anche i luoghi della loro cultura, dei loro scrittori o degli scrittori che hanno scritto di loro, della loro storia antica e recente, passata per le mille vicende della perenne alternanza delle umane sorti: che vanno dai frequentatori dei Waldorf Astoria della grande New York alle glorie degli Achemenidi nelle regioni persiane ai Greci e ai Romani presenti in quelle anatoliche alle dinastie egizie tra gli splendori di Luxor ai fasti della Grande Porta.
Scopriamo così che nell'arco di trenta anni, poco più poco meno, Mario Biondi ha peregrinato in lungo e in largo per Algeria, Siria, Turchia soprattutto, poi Egitto, Iran, e, dovunque, è andato con nella testa il gusto del trovare ma anche di ritrovare: perché ogni visita si arricchisce di un contenuto storico, di riscoperta appunto, mentre si articola nella sapida vicenda del turista che fa i conti con le mille e una disavventure, o semplicemente avventure, che accompagnano le giornate. Il tutto in uno stile lepido e godibilissimo, percorso da un fresco brivido di ironia, simpatico della simpatia umana di chi ha scelto di aprirsi al mondo considerandolo per quello che dovrebbe essere nella prospettiva globale in cui per avventura ci è toccato di vivere: un grande immenso luogo di comune fratellanza, che la maggior parte dei suoi abitanti considera proprio così, e che alcuni disturbatori della quiete pubblica di tanto in tanto hanno messo o ancora mettono a subbuglio. Col piccolo dettaglio che questi disturbatori sono quelli che hanno fatto e ancora fanno (talora male, molto male) ciò che si chiama storia. Stilos ha intervistato Biondi.
Cos’è per lei il viaggiare? Un’arte, un hobby, una vocazione?
Un'arte, francamente non direi, a meno che non si derubrichi il concetto ad "arte di sopravvivere", della quale bisogna saper fare un ottimo uso quando si viaggia in totale libertà e quindi a proprio totale rischio come faccio io. Parecchio più di un hobby, parecchio meno di una vocazione, anche se devo ammettere che il viaggio lo porto forse un po' nel DNA per parte di padre, che ha cominciato a lavorare nell'industria del turismo a 16 anni e ha smesso a 90, quando è partito per il viaggio più lungo. Io però, forse per reazione, non mi sono mai servito dell'industria del turismo.
Nei suoi ricordi di viaggio lei sottende sempre un riflesso di amore per i luoghi che descrive, fino a disegnare una specie di itinerario di affetti: amore obbligato, primo amore che non si scorda mai, amore incompreso e così via. Ma a cos’è rivolto in realtà questo amore? Ai luoghi? Alla storia dei luoghi? O all’umanità che li popola?
Quale maniera migliore di rivolgersi al mondo che con "amore"? Il mio amore è rivolto a tutto ciò che lei dice. Come i romanzi sono "struttura" delle loro componenti - un tempo definite sommariamente "forma" e "sostanza" -, così sono "struttura" anche i luoghi, fatti del loro popolo, della loro cultura, del loro tempo, della loro storia e anche della loro geografia. Uno di questi elementi non potrebbe prescindere dagli altri, quindi li si ama (o perlomeno li amo io) nel loro insieme.
Si ha la sensazione, accompagnandola nei suoi viaggi, che più che scoprire lei riscopre i luoghi che visita, nel senso che quello che vede conferma o non conferma l’idea che di quei posti lei si porta appresso. Perché lei non va come Marco Polo verso l’ignoto.
Viaggiare come Marco Polo, oggi, è un po' difficile, a meno di non andare su Marte, e io purtroppo soffro di vertigini. Anche lui, comunque, quando raccontava, raccontava ciò che gli era ormai noto. Sono stato in diversi luoghi difficili, fatti di scarse (se non false) informazioni, burocrazie, attese, rinvii, visti, dove non è esattamente che si potesse andare a proprio piacimento, come l'Albania di E. Hoxha (1982) o l'Iran post Khomeini. E più ignoti dell'Albania del 1982 c'erano pochissimi paesi. In genere, però, mi piace tornare sul luogo del delitto, così come amo frequentare di nuovo le persone che mi piacciono. Delle varie visite ai diversi paesi, poi, cerco di conservare (raccontare) le cose migliori. Comunque, facendo bene i conti: in Güle güle racconto di 4 paesi visitati una volta sola (almeno fino a ora: Albania, Giordania, Egitto, Iran) e di altri 4 (Usa, Algeria, Turchia, Siria) visitati più o molte volte. Ma anche questi secondi, quando ci sono arrivato mi erano ignoti e ho dovuto scoprirli.
Che rapporto c’è per lei tra i luoghi e i libri che parlano dei luoghi?
Lo stesso rapporto che c'è tra il personaggio Napoleone e il romanzo "Guerra e Pace". Il secondo mi aiuta a capire meglio il primo e la sua collocazione nello spazio-tempo della Storia.
A parte la Grande Mela, i suoi luoghi sono i paesi e le città dell’Islam, quel mondo cioè che dovrebbe essere l’altro del cosiddetto “scontro di civiltà” che secondo alcuni staremmo vivendo. Questo mondo lei lo ha visto dall’interno. Non le sembra grottesco questo parlarne nei termini appunto dello “scontro”?
L'atteggiamento di cui parla lei non è grottesco ma semplicemente banditesco, prodotto di una colpevole pigrizia intellettuale che rischia soltanto di portare a brutti esiti. Io sono un uomo del Nord, discendente da generazioni di "nordisti": non posso che inorridire del vergognoso uso politico che di questo concetto stanno facendo alcuni avventurieri di scarsissima coscienza.
Cosa le ha insegnato la pratica di questo sterminato sovrapporsi di culture che lei ha incontrato un po’ dovunque?
L'importanza di essere curiosi degli altri, perché soltanto da una simile curiosità può emergere la tolleranza di cui il nostro futuro ha un bisogno vitale.
Si è mai sentito, se non altro nella patria di Erodoto, un po’ Erodoto?
No, non sono abbastanza presuntuoso. Non ho mai avuto il coraggio di sentirmi Lui neanche nel luogo dove è nato, la antica Alicarnasso ora Bodrum, una località che frequento da 35 anni (come passa il tempo…) Al massimo sono stato stimolato a rileggerlo e rileggerlo ancora.
Attesa la grande utilità del viaggiare, specie per i giovani, ritiene che ci siano, nel nostro come negli altri paesi, politiche sufficienti, o politiche comunque, per incentivare questo momento della crescita culturale?
Tutto deve discendere dalle "politiche"? Ho visto quanto sradicamento e quali disastri è riuscita a procurare la politica di "incentivare" certe popolazioni povere italiane a "viaggiare"… E anche certe popolazioni povere americane, per altro, recentemente…
Lei quali suggerimenti darebbe?
Molto meglio lasciare libero campo alle opzioni individuali, alle scelte, alle propensioni, ai gusti personali. Si fanno meno danni.
Un cittadino del mondo come è lei sceglierebbe, nel momento in cui dovesse smettere di viaggiare, un posto diverso da quello in cui ha aperto gli occhi alla luce? Intendo dire: il viaggiare non è forse un andare, ma anche e forse soprattutto un ritornare?
Nell'ambito del viaggio, il "tornare" è la conclusione logica del "partire". Altrimenti si tratta di "migrare", "emigrare", "espatriare", "tagliare i ponti"… Tutta un'altra cosa. Tornare da un viaggio significa dare libera stura ai ricordi, riviverlo. E per adesso "tornare" mi piace ancora moltissimo. Più avanti, chissà… Ma non credo: amo moltissimo viaggiare proprio perché ho un profondo senso dell'importanza delle radici.
Come sarebbe oggi il mondo se avesse preso seriamente piede la pratica di messer Ludovico che il mondo amava girarlo "con Tolomeo", insomma sulla carta geografica - in un tempo peraltro di grandi viaggiatori come erano gli scopritori di nuovi mondi, primo fra tutti Cristoforo Colon? Certo sarebbe stato più povero, anche se il paradosso di un letterato era comunque destinato a restare quello che in realtà era, e cioè il paradosso di un letterato. Al quale non si può comunque fare a meno di pensare a seguire Mario Biondi nelle sue peregrinazioni di viaggiatore vero che va di qua e di là con la curiosità, dice lui, di una gallina. Perché le accompagna sempre, mutatis mutandis, lo stesso spirito di stupita meraviglia che si vede, pur in quel fantasticare "con Tolomeo", nei tanti erranti del divino Ludovico, la stessa limpida apertura al godimento dei luoghi; al fascino dei paesaggi, alla novità dei costumi, al positivo che c'è nella diversità degli uomini e delle donne: al piacere di recuperarne la storia, anzi le storie, come alimento alla ricchezza propria e dei propri lettori.
Considerato in quest'ottica, il viaggiare di Biondi diventa qualcosa che va al di là del "cercare per conoscere", come poteva essere ancora nel Settecento (ma è definizione riduttiva), diventando invece anche un atto di amore, anzi la storia di un innamoramento progressivo che fa diventare il contatto con l'altro dei luoghi una specie di scoperta delle radici dell'essere: quelle dei luoghi e quelle proprie, dell'antropologia dei posti visitati e dell'antropologia della propria umanità. Perché i luoghi dei viaggi - e quindi anche i deserti, o le moschee o le città piccole dai nomi impossibili o quelle grandi dai nomi noti che appaiono in questo libro del milanese Biondi, Güle Güle sono anche i luoghi della loro cultura, dei loro scrittori o degli scrittori che hanno scritto di loro, della loro storia antica e recente, passata per le mille vicende della perenne alternanza delle umane sorti: che vanno dai frequentatori dei Waldorf Astoria della grande New York alle glorie degli Achemenidi nelle regioni persiane ai Greci e ai Romani presenti in quelle anatoliche alle dinastie egizie tra gli splendori di Luxor ai fasti della Grande Porta.
Scopriamo così che nell'arco di trenta anni, poco più poco meno, Mario Biondi ha peregrinato in lungo e in largo per Algeria, Siria, Turchia soprattutto, poi Egitto, Iran, e, dovunque, è andato con nella testa il gusto del trovare ma anche di ritrovare: perché ogni visita si arricchisce di un contenuto storico, di riscoperta appunto, mentre si articola nella sapida vicenda del turista che fa i conti con le mille e una disavventure, o semplicemente avventure, che accompagnano le giornate. Il tutto in uno stile lepido e godibilissimo, percorso da un fresco brivido di ironia, simpatico della simpatia umana di chi ha scelto di aprirsi al mondo considerandolo per quello che dovrebbe essere nella prospettiva globale in cui per avventura ci è toccato di vivere: un grande immenso luogo di comune fratellanza, che la maggior parte dei suoi abitanti considera proprio così, e che alcuni disturbatori della quiete pubblica di tanto in tanto hanno messo o ancora mettono a subbuglio. Col piccolo dettaglio che questi disturbatori sono quelli che hanno fatto e ancora fanno (talora male, molto male) ciò che si chiama storia. Stilos ha intervistato Biondi.
Cos’è per lei il viaggiare? Un’arte, un hobby, una vocazione?
Un'arte, francamente non direi, a meno che non si derubrichi il concetto ad "arte di sopravvivere", della quale bisogna saper fare un ottimo uso quando si viaggia in totale libertà e quindi a proprio totale rischio come faccio io. Parecchio più di un hobby, parecchio meno di una vocazione, anche se devo ammettere che il viaggio lo porto forse un po' nel DNA per parte di padre, che ha cominciato a lavorare nell'industria del turismo a 16 anni e ha smesso a 90, quando è partito per il viaggio più lungo. Io però, forse per reazione, non mi sono mai servito dell'industria del turismo.
Nei suoi ricordi di viaggio lei sottende sempre un riflesso di amore per i luoghi che descrive, fino a disegnare una specie di itinerario di affetti: amore obbligato, primo amore che non si scorda mai, amore incompreso e così via. Ma a cos’è rivolto in realtà questo amore? Ai luoghi? Alla storia dei luoghi? O all’umanità che li popola?
Quale maniera migliore di rivolgersi al mondo che con "amore"? Il mio amore è rivolto a tutto ciò che lei dice. Come i romanzi sono "struttura" delle loro componenti - un tempo definite sommariamente "forma" e "sostanza" -, così sono "struttura" anche i luoghi, fatti del loro popolo, della loro cultura, del loro tempo, della loro storia e anche della loro geografia. Uno di questi elementi non potrebbe prescindere dagli altri, quindi li si ama (o perlomeno li amo io) nel loro insieme.
Si ha la sensazione, accompagnandola nei suoi viaggi, che più che scoprire lei riscopre i luoghi che visita, nel senso che quello che vede conferma o non conferma l’idea che di quei posti lei si porta appresso. Perché lei non va come Marco Polo verso l’ignoto.
Viaggiare come Marco Polo, oggi, è un po' difficile, a meno di non andare su Marte, e io purtroppo soffro di vertigini. Anche lui, comunque, quando raccontava, raccontava ciò che gli era ormai noto. Sono stato in diversi luoghi difficili, fatti di scarse (se non false) informazioni, burocrazie, attese, rinvii, visti, dove non è esattamente che si potesse andare a proprio piacimento, come l'Albania di E. Hoxha (1982) o l'Iran post Khomeini. E più ignoti dell'Albania del 1982 c'erano pochissimi paesi. In genere, però, mi piace tornare sul luogo del delitto, così come amo frequentare di nuovo le persone che mi piacciono. Delle varie visite ai diversi paesi, poi, cerco di conservare (raccontare) le cose migliori. Comunque, facendo bene i conti: in Güle güle racconto di 4 paesi visitati una volta sola (almeno fino a ora: Albania, Giordania, Egitto, Iran) e di altri 4 (Usa, Algeria, Turchia, Siria) visitati più o molte volte. Ma anche questi secondi, quando ci sono arrivato mi erano ignoti e ho dovuto scoprirli.
Che rapporto c’è per lei tra i luoghi e i libri che parlano dei luoghi?
Lo stesso rapporto che c'è tra il personaggio Napoleone e il romanzo "Guerra e Pace". Il secondo mi aiuta a capire meglio il primo e la sua collocazione nello spazio-tempo della Storia.
A parte la Grande Mela, i suoi luoghi sono i paesi e le città dell’Islam, quel mondo cioè che dovrebbe essere l’altro del cosiddetto “scontro di civiltà” che secondo alcuni staremmo vivendo. Questo mondo lei lo ha visto dall’interno. Non le sembra grottesco questo parlarne nei termini appunto dello “scontro”?
L'atteggiamento di cui parla lei non è grottesco ma semplicemente banditesco, prodotto di una colpevole pigrizia intellettuale che rischia soltanto di portare a brutti esiti. Io sono un uomo del Nord, discendente da generazioni di "nordisti": non posso che inorridire del vergognoso uso politico che di questo concetto stanno facendo alcuni avventurieri di scarsissima coscienza.
Cosa le ha insegnato la pratica di questo sterminato sovrapporsi di culture che lei ha incontrato un po’ dovunque?
L'importanza di essere curiosi degli altri, perché soltanto da una simile curiosità può emergere la tolleranza di cui il nostro futuro ha un bisogno vitale.
Si è mai sentito, se non altro nella patria di Erodoto, un po’ Erodoto?
No, non sono abbastanza presuntuoso. Non ho mai avuto il coraggio di sentirmi Lui neanche nel luogo dove è nato, la antica Alicarnasso ora Bodrum, una località che frequento da 35 anni (come passa il tempo…) Al massimo sono stato stimolato a rileggerlo e rileggerlo ancora.
Attesa la grande utilità del viaggiare, specie per i giovani, ritiene che ci siano, nel nostro come negli altri paesi, politiche sufficienti, o politiche comunque, per incentivare questo momento della crescita culturale?
Tutto deve discendere dalle "politiche"? Ho visto quanto sradicamento e quali disastri è riuscita a procurare la politica di "incentivare" certe popolazioni povere italiane a "viaggiare"… E anche certe popolazioni povere americane, per altro, recentemente…
Lei quali suggerimenti darebbe?
Molto meglio lasciare libero campo alle opzioni individuali, alle scelte, alle propensioni, ai gusti personali. Si fanno meno danni.
Un cittadino del mondo come è lei sceglierebbe, nel momento in cui dovesse smettere di viaggiare, un posto diverso da quello in cui ha aperto gli occhi alla luce? Intendo dire: il viaggiare non è forse un andare, ma anche e forse soprattutto un ritornare?
Nell'ambito del viaggio, il "tornare" è la conclusione logica del "partire". Altrimenti si tratta di "migrare", "emigrare", "espatriare", "tagliare i ponti"… Tutta un'altra cosa. Tornare da un viaggio significa dare libera stura ai ricordi, riviverlo. E per adesso "tornare" mi piace ancora moltissimo. Più avanti, chissà… Ma non credo: amo moltissimo viaggiare proprio perché ho un profondo senso dell'importanza delle radici.
Alfio Siracusano
Backpacker
Si legge assai piacevolmente il peregrinare instancabile e curioso di Mario Biondi, scrittore e viaggiatore, a zonzo per l'area mediterranea e oltre e, a lettura ultimata, sale un benevolo mio pizzico d'invidia nei confronti dell'autore. E' vero, alcuni dei luoghi che Biondi restituisce alla mia memoria li ho visitati anch'io, ma lui quei posti li ha girati negli anni sessanta e settanta quando viaggiare era ancora (per fortuna) esperienza di quei pochi disposti a spostarsi con ogni mezzo possibile, dormire dove capitava, rinunciare agli agi di casa propria per sentirsi cittadini del mondo in un'epoca priva di internet, di voli charter o low cost e con molte più barriere culturali e geografiche a dividere il mondo. Mario Biondi ci incanta. Trasmette tutto il suo patrimonio di cultura e di ricordi nelle pagine di questo libro che ci porta a scoprire i bagni turchi, le lunghe strade percorse in lungo e in largo nella polvere dell'Anatolia al limite di ogni sfida a bordo della sua Alfa, le sabbie sahariane, la cultura zoroastra nell'antica Persia, la magia di Istanbul, i colori del deserto giordano, le disavventure egiziane.
A tratti il libro diviene una piacevole guida turistico-culturale che non ha eguali per spirito e dettagli e così l'intera Anatolia o l'antica Costantinopoli sembrano non riservarci più alcun segreto tra le pagine di un libro dove tanta esperienza di viaggio si unisce con un innato senso dell'umorismo dell'autore quasi che "sorridere" (güle güle, in turco, significa "sorridi, sorridi", ovvero "Buona fortuna) possa divenire l'atteggiamento più naturale e sincero per confrontarsi con le altre culture.
A tratti il libro diviene una piacevole guida turistico-culturale che non ha eguali per spirito e dettagli e così l'intera Anatolia o l'antica Costantinopoli sembrano non riservarci più alcun segreto tra le pagine di un libro dove tanta esperienza di viaggio si unisce con un innato senso dell'umorismo dell'autore quasi che "sorridere" (güle güle, in turco, significa "sorridi, sorridi", ovvero "Buona fortuna) possa divenire l'atteggiamento più naturale e sincero per confrontarsi con le altre culture.
Stefano
www.turismo it giugno 2003
Güle güle, dicono i turchi a chi parte. Significa, più o meno: 'Sorridi, sorridi', ovvero 'Buona fortuna'. Così comincia il libro, con una spiegazione quasi in appendice, di un titolo così semplice ma curioso, soprattutto dopo che uno il libro lo ha letto. Perché più che un libro di viaggio, è un libro su come si viaggia e sulla capacità di adattarsi e liberarsi dai nostri rigidi (ebbene sì!) cliché occidentali.
Il libro è fatto di frammenti e ricordi dei viaggi che il protagonista-narratore-autore ha praticato nel corso degli anni: da New York all'Egitto, dall'Iran all'Albania, dalla Giordania alla Turchia. La cosa affascinante è che lui descrive questi posti come "amori", ognuno diverso, forte, deluso o rafforzato, poi, dall'esperienza della visita. Il viaggiatore è come un innamorato desideroso di scoprire e sperimentare e, come tale, si apre piano piano alla conoscenza dell'altro per esserne rapito, avviluppato, inglobato e, a volte, respinto.
Colpisce il viscerale amore per il Medio Oriente, per la cultura di quei luoghi così lontani e diversi dal nostro modo di vivere e soprattutto di vedere la vita. Ciò che rapisce in questo libro è proprio il viaggio mentale dello scrittore che lo induce a conoscere e ad accettare tutto ciò che è profondamente diverso da lui. Egli diventa un uomo che cresce e impara l'arte di arrangiarsi e di vedere il buono anche in situazioni-limite. Attraverso i suoi occhi cogliamo il fascino, che forse ora non c'è più, di luoghi che sono stati culla di fiorenti civiltà, luoghi ricchi di storia, tradizioni, meraviglie architettoniche in grado di togliere il fiato.
La scrittura ironica, pungente e spesso disincantata dell'autore descrive luoghi e persone in un tinteggiando forte e a contrasti, che è capace di cogliere l'essenza di ognuno e di ogni cosa, in particolare degli improbabili compagni di viaggio. Compagni temporanei è vero, ma comunque importanti per comprendere come spesso la nostra mentalità sia un vero filtro che impedisce di vedere un luogo "altro".
Un libro, in ultimo, educativo che sprona a vedere il mondo che ci circonda con occhi diversi, e se solo lo affrontiamo con il cuore aperto, curiosi e rispettosi di ciò che non conosciamo, esso ci apparirà inaspettatamente bello, misterioso, affascinante.
Il libro è fatto di frammenti e ricordi dei viaggi che il protagonista-narratore-autore ha praticato nel corso degli anni: da New York all'Egitto, dall'Iran all'Albania, dalla Giordania alla Turchia. La cosa affascinante è che lui descrive questi posti come "amori", ognuno diverso, forte, deluso o rafforzato, poi, dall'esperienza della visita. Il viaggiatore è come un innamorato desideroso di scoprire e sperimentare e, come tale, si apre piano piano alla conoscenza dell'altro per esserne rapito, avviluppato, inglobato e, a volte, respinto.
Colpisce il viscerale amore per il Medio Oriente, per la cultura di quei luoghi così lontani e diversi dal nostro modo di vivere e soprattutto di vedere la vita. Ciò che rapisce in questo libro è proprio il viaggio mentale dello scrittore che lo induce a conoscere e ad accettare tutto ciò che è profondamente diverso da lui. Egli diventa un uomo che cresce e impara l'arte di arrangiarsi e di vedere il buono anche in situazioni-limite. Attraverso i suoi occhi cogliamo il fascino, che forse ora non c'è più, di luoghi che sono stati culla di fiorenti civiltà, luoghi ricchi di storia, tradizioni, meraviglie architettoniche in grado di togliere il fiato.
La scrittura ironica, pungente e spesso disincantata dell'autore descrive luoghi e persone in un tinteggiando forte e a contrasti, che è capace di cogliere l'essenza di ognuno e di ogni cosa, in particolare degli improbabili compagni di viaggio. Compagni temporanei è vero, ma comunque importanti per comprendere come spesso la nostra mentalità sia un vero filtro che impedisce di vedere un luogo "altro".
Un libro, in ultimo, educativo che sprona a vedere il mondo che ci circonda con occhi diversi, e se solo lo affrontiamo con il cuore aperto, curiosi e rispettosi di ciò che non conosciamo, esso ci apparirà inaspettatamente bello, misterioso, affascinante.
Tamara Salidu
TGCOM.it
Viaggiare, scoprire e raccontare. Biondi firma 30 anni di peregrinazioni
Viaggiare e raccontare. Raccontare di viaggiare. È un po' il sogno nel cassetto di giornalisti, scrittori e avventurieri col calamaio nascosto nella sahariana. Da Goethe a Terzani esiste un filone della letteratura imperniato sui viaggi e sull'alone di ignoto che li circonda. A questa categoria appartiene di diritto “Güle güle. Parti con un sorriso” scritto da Mario Biondi e edito dalla milanese Ponte alle Grazie. Eccezion fatta per una quindicina di pagina sull'amore obbligato, la Grande Mela, Biondi impernia il suo libro su quell'Oriente che ha i suoi avamposti in Albania e termina nel Profondo Egitto, con incursioni in Anatolia, Sahara e Corno d'Oro. Non a caso, Biondi (già vincitore del Campiello 1985) sceglie come titolo del suo peregrinare un modo di dire turco che suona meglio nel suo senso generale (“Parti con un sorriso”) piuttosto che nell'accezione strettamente letterale (“Sorridi sorridi”).
Ramadan, Alfa e flashback Tappa dopo tappa, vengono descritti i contatti e le sensazioni di un europeo che dopo aver letto di tutto, parte per vedere con i propri occhi quanto appreso dalle pagine di un libro. Collegamenti di fortuna, hall di alberghi di ogni genere, crocevia di cultura: Biondi racconta per filo e per segno gli itinerari di anni e anni di girovagare. Come quella volta nel 1979 quando lasciatosi alle spalle Amman l'italiano punta la sua Alfa verso la Siria ma con grande sorpresa vien bloccato alla frontiera da un poliziotto zelante e musulmano al punto da abbassare la sbarra per la comparsa della prima stella. È Ramadan e solo adesso i fedeli possono cibarsi. Anche la frontiera deve quindi adeguarsi a Maometto. Niente in confronto alla fuga del 2002 in Egitto quando il nostro s'inerpica su un minareto sfuggendo al doppio balzello d'ingresso per poi finire sotto le mani di un gigante che mira alle calzature dell'italico infedele. A colpi di flashback dal 1968 in poi, Gule Gule apre una finestra irriverente e reale su grande parte del mondo arabo lasciando trasparire il vero significato del viaggio, vale a dire la sorpresa e la scoperta. Via da agenzie, via dai last minute e dal tutto compreso. Uno sbaraglio conscio e consapevole fatto di furgoni strarichi di persone, cavalli rinsecchiti ma instancabili, Land Rover arresisi al deserto. Un mistero fatto di giornate noiose segnate dall'interrogativo “Chi me l'ha fatto fare di arrivar qua” e dalla puntuale risposta del mattino seguente. Quale? Un bel sole terso, sul selciato dell'albergo da quattro soldi davanti a un mercato semplice e coloratissimo. Consigliato a chiunque ami viaggiare per scoprire.
Viaggiare e raccontare. Raccontare di viaggiare. È un po' il sogno nel cassetto di giornalisti, scrittori e avventurieri col calamaio nascosto nella sahariana. Da Goethe a Terzani esiste un filone della letteratura imperniato sui viaggi e sull'alone di ignoto che li circonda. A questa categoria appartiene di diritto “Güle güle. Parti con un sorriso” scritto da Mario Biondi e edito dalla milanese Ponte alle Grazie. Eccezion fatta per una quindicina di pagina sull'amore obbligato, la Grande Mela, Biondi impernia il suo libro su quell'Oriente che ha i suoi avamposti in Albania e termina nel Profondo Egitto, con incursioni in Anatolia, Sahara e Corno d'Oro. Non a caso, Biondi (già vincitore del Campiello 1985) sceglie come titolo del suo peregrinare un modo di dire turco che suona meglio nel suo senso generale (“Parti con un sorriso”) piuttosto che nell'accezione strettamente letterale (“Sorridi sorridi”).
Ramadan, Alfa e flashback Tappa dopo tappa, vengono descritti i contatti e le sensazioni di un europeo che dopo aver letto di tutto, parte per vedere con i propri occhi quanto appreso dalle pagine di un libro. Collegamenti di fortuna, hall di alberghi di ogni genere, crocevia di cultura: Biondi racconta per filo e per segno gli itinerari di anni e anni di girovagare. Come quella volta nel 1979 quando lasciatosi alle spalle Amman l'italiano punta la sua Alfa verso la Siria ma con grande sorpresa vien bloccato alla frontiera da un poliziotto zelante e musulmano al punto da abbassare la sbarra per la comparsa della prima stella. È Ramadan e solo adesso i fedeli possono cibarsi. Anche la frontiera deve quindi adeguarsi a Maometto. Niente in confronto alla fuga del 2002 in Egitto quando il nostro s'inerpica su un minareto sfuggendo al doppio balzello d'ingresso per poi finire sotto le mani di un gigante che mira alle calzature dell'italico infedele. A colpi di flashback dal 1968 in poi, Gule Gule apre una finestra irriverente e reale su grande parte del mondo arabo lasciando trasparire il vero significato del viaggio, vale a dire la sorpresa e la scoperta. Via da agenzie, via dai last minute e dal tutto compreso. Uno sbaraglio conscio e consapevole fatto di furgoni strarichi di persone, cavalli rinsecchiti ma instancabili, Land Rover arresisi al deserto. Un mistero fatto di giornate noiose segnate dall'interrogativo “Chi me l'ha fatto fare di arrivar qua” e dalla puntuale risposta del mattino seguente. Quale? Un bel sole terso, sul selciato dell'albergo da quattro soldi davanti a un mercato semplice e coloratissimo. Consigliato a chiunque ami viaggiare per scoprire.
Sauro Legramandi
InfiniteStorie.it
La felicità di viaggiare
Tante località, in quattro continenti e 35 anni, da New York a Teheran, ma soprattutto il ponte di Galata, il Corno d'Oro, il Sahara algerino, il bazar di Istanbul, i bagni turchi, i paesaggi lunari dell'Anatolia, il Golfo di Aqaba, l'Egitto e le dolcezze del Nilo, i profumi di Aleppo, i colori di Isfahan: luoghi mitici, archetipici dell'immaginario occidentale, che hanno intrattenuto nei secoli – nei millenni – un fruttuoso rapporto di incontro-scontro con la cultura del Mediterraneo, arricchendola. Questo racconta Mario Biondi in Güle Güle. Parti con un sorriso, suo libro di ricordi di viaggio dopo 12 romanzi, tra cui Gli occhi di una donna , per il quale gli è stato assegnato il Premio Campiello nel 1985. Abbiamo parlato con lui di questa sua nuova impresa.
D. Lei ha viaggiato in terre esotiche con Sandokan e Yanez nei suoi sogni di bambino, ma poi quei sogni li ha realizzati: viaggiare l'ha in qualche modo cambiata?
R. Be', sono sogni realizzati soltanto in parte. Tra una guerra e l'altra, viaggiare diventa sempre più complicato. Persino la cosiddetta "caduta dei muri", in realtà è stata il sorgere di una miriade di nuove frontiere, dogane, bolli, balzelli, complicazioni. Il viaggio mi ha cambiato? A chi le poneva la stessa domanda, la straordinaria Freya Stark ha risposto con un tonante "no". Io poi l'ho personalmente chiesto a una grande viaggiatore come Colin Thubron, e anche lui, dopo averci pensato un po', ha risposto "no". Ma loro sono inglesi, mentre probabilmente noi italiani siamo più passionali, più disponibili all'innamoramento. Io penso proprio che viaggiare mi abbia parecchio cambiato, se non altro nell'atteggiamento verso ciò che è "altro" rispetto a noi. Mi ha insegnato il rispetto per le culture diverse dalla nostra.
D. Che cosa significa Güle Güle? Sembra più una filosofia di vita che un semplice augurio.
R. È l'espressione di buon augurio con cui si viene salutati quando si esce da una casa turca, luogo tradizionalmente di grande ospitalità. Significa in sostanza "sorridi sorridi", e io l'ho liberamente resa con Parti con un sorriso . È effettivamente una filosofia di vita: l'atteggiamento del nomade di fronte al viaggio. Non paura, preoccupazione, ansia, ma "sorriso", curiosità, aspettativa nei confronti della possibile scoperta. La convinzione che al di là della collina, della curva, della duna c'è quasi sicuramente qualcosa di bello o comunque di nuovo e interessante.
D. Come mai soprattutto l'Est?
R. Una parte dell'Est, ovvero l'Asia Minore e il Vicino e Medio Oriente, con l'appendice del Nord Africa, che essendo musulmano molti assimilano al Medio Oriente. Me lo sono sempre chiesto anch'io, ma senza sapermi veramente rispondere. Io amo raccontare, e grandissime composizioni epico-narrative sono venute da quella direzione: Gilgamesh, Il Libro dei Re, Le Mille e una Notte, Mahabharata e Ramayana … E Omero, lui stesso asiatico o per lo meno anatolico … Ma anche la cultura dei numeri è venuta da quella direzione, e io ho una passione quasi neopitagorica per i numeri. Però forse, più semplicemente, dipende dal fatto che il sole viene da quella direzione e mi fa venire voglia di andargli incontro.
D. Lei ricostruisce con lievità la storia dell'incontro fra civiltà diverse, che a loro modo non muoiono mai. Sembra però di avvertire la nostalgia di un mondo che appare ormai lontano nel tempo, anche se sono passati poco più di vent'anni, un mondo che forse non riusciamo più a vedere.
R. Molti anni fa ho scritto due versi: "Amano invece ancora molto - le rose che hanno colto". Le persone e le cose che ho amato le amo sempre, e mi piace ricordarle com'erano quando me ne sono innamorato. Non è naturale? Non capita così a tutti? Quindi, siccome mi piace raccontare, preferisco raccontare com'erano in quel momento. Se non vediamo più un certo mondo, è perché non esiste più. Considero una grande fortuna poterlo almeno ricordare e raccontare.
D. Ma oggi vuole ricordare in particolare una di queste persone?
R. Il vescovo Javanis, che un quarto di secolo fa mi ha accolto nel suo monastero giacobita, nell'estremo Sudest della Turchia. È la parte turca di quello che i curdi considerano il loro paese. Singolare gruppo etnico e religioso, quello dei cristiani siriaci giacobiti, monofisiti ostinatamente aggrappati all'eresia di Eutiche. Sono una delle popolazioni più antiche dell'Anatolia ma ormai ridotti a poche migliaia di persone. Javanis non c'è più, ma il suo ricordo per me rappresenta quelle minoranze sempre più minoranze, sempre più perdenti nel gioco dei potenti. Appena a sud del monastero Mar Gabriel c'è la Siria, a poca distanza, a Haran (Carre), è stato annientato dai Parti l'esercito del triumviro Marco Licinio Crasso, da quelle terre è passato anche Marco Antonio, diretto alla rovina militare e personale, lì in mezzo scorre lo stradone che porta in Iraq e Iran. Che scenario meraviglioso e terribile. A quanti tormenti e a quanto dolore dovrà assistere ancora? Potremo continuare a visitarlo liberamente? E per i pochi figli rimasti del popolo di Javanis, espressioni come "libertà" e "democrazia" smetteranno finalmente di essere semplici lemmi di dizionario?
D. Lei ha scritto molto, ma questo è il suo primo libro sul viaggio. Dobbiamo pensare a una sorta di ritorno a casa, di riordino, a un risultato del suo viaggiare?
R. È il mio primo libro esplicitamente di ricordi di viaggio. Ma tante scene di miei romanzi sono ambientate in luoghi lontani che ho visitato: Aleppo, Damasco, persino Parigi o Istanbul (o anche Milano) degli anni Trenta, o New York dell'immediato dopoguerra. Ovviamente questi ultimi sono luoghi che nella realtà ho visto molto più tardi, perché negli anni Trenta non ero nemmeno nato. Ma, avendoli visti, ho potuto poi per così dire rivisitarli con una corsa all'indietro nel tempo attraverso i libri. Per questo in tutto Güle Güle sottolineo l'importanza dei libri come propedeutici o addirittura succedanei dei viaggi: che gioia è stata, nello scrivere quei miei libri, tapparmi in biblioteca con guide di viaggio di quegli anni e inventarmi itinerari nelle città di allora, residenze, alberghi, ristoranti, botteghe, giri in metropolitana, pomeriggi al circo o al cinema.
D. La lettura del suo libro fa sperare che, anche se un giorno tutto sarà un solo grande supermercato da Los Angeles a Bombay, come ha scritto Saul Bellow, ci sarà sempre chi una mattina sentirà l'impulso irresistibile di preparare una valigia e stabilire in quel modo che cosa ci è veramente indispensabile e che cosa possiamo tranquillamente lasciarci dietro partendo.
R. Non riesco nemmeno a pensare che si possa spegnere l'impulso a viaggiare non per sopraffare gli altri e derubarli delle loro risorse naturali ma semplicemente per conoscerli e fare amicizia.
Tante località, in quattro continenti e 35 anni, da New York a Teheran, ma soprattutto il ponte di Galata, il Corno d'Oro, il Sahara algerino, il bazar di Istanbul, i bagni turchi, i paesaggi lunari dell'Anatolia, il Golfo di Aqaba, l'Egitto e le dolcezze del Nilo, i profumi di Aleppo, i colori di Isfahan: luoghi mitici, archetipici dell'immaginario occidentale, che hanno intrattenuto nei secoli – nei millenni – un fruttuoso rapporto di incontro-scontro con la cultura del Mediterraneo, arricchendola. Questo racconta Mario Biondi in Güle Güle. Parti con un sorriso, suo libro di ricordi di viaggio dopo 12 romanzi, tra cui Gli occhi di una donna , per il quale gli è stato assegnato il Premio Campiello nel 1985. Abbiamo parlato con lui di questa sua nuova impresa.
D. Lei ha viaggiato in terre esotiche con Sandokan e Yanez nei suoi sogni di bambino, ma poi quei sogni li ha realizzati: viaggiare l'ha in qualche modo cambiata?
R. Be', sono sogni realizzati soltanto in parte. Tra una guerra e l'altra, viaggiare diventa sempre più complicato. Persino la cosiddetta "caduta dei muri", in realtà è stata il sorgere di una miriade di nuove frontiere, dogane, bolli, balzelli, complicazioni. Il viaggio mi ha cambiato? A chi le poneva la stessa domanda, la straordinaria Freya Stark ha risposto con un tonante "no". Io poi l'ho personalmente chiesto a una grande viaggiatore come Colin Thubron, e anche lui, dopo averci pensato un po', ha risposto "no". Ma loro sono inglesi, mentre probabilmente noi italiani siamo più passionali, più disponibili all'innamoramento. Io penso proprio che viaggiare mi abbia parecchio cambiato, se non altro nell'atteggiamento verso ciò che è "altro" rispetto a noi. Mi ha insegnato il rispetto per le culture diverse dalla nostra.
D. Che cosa significa Güle Güle? Sembra più una filosofia di vita che un semplice augurio.
R. È l'espressione di buon augurio con cui si viene salutati quando si esce da una casa turca, luogo tradizionalmente di grande ospitalità. Significa in sostanza "sorridi sorridi", e io l'ho liberamente resa con Parti con un sorriso . È effettivamente una filosofia di vita: l'atteggiamento del nomade di fronte al viaggio. Non paura, preoccupazione, ansia, ma "sorriso", curiosità, aspettativa nei confronti della possibile scoperta. La convinzione che al di là della collina, della curva, della duna c'è quasi sicuramente qualcosa di bello o comunque di nuovo e interessante.
D. Come mai soprattutto l'Est?
R. Una parte dell'Est, ovvero l'Asia Minore e il Vicino e Medio Oriente, con l'appendice del Nord Africa, che essendo musulmano molti assimilano al Medio Oriente. Me lo sono sempre chiesto anch'io, ma senza sapermi veramente rispondere. Io amo raccontare, e grandissime composizioni epico-narrative sono venute da quella direzione: Gilgamesh, Il Libro dei Re, Le Mille e una Notte, Mahabharata e Ramayana … E Omero, lui stesso asiatico o per lo meno anatolico … Ma anche la cultura dei numeri è venuta da quella direzione, e io ho una passione quasi neopitagorica per i numeri. Però forse, più semplicemente, dipende dal fatto che il sole viene da quella direzione e mi fa venire voglia di andargli incontro.
D. Lei ricostruisce con lievità la storia dell'incontro fra civiltà diverse, che a loro modo non muoiono mai. Sembra però di avvertire la nostalgia di un mondo che appare ormai lontano nel tempo, anche se sono passati poco più di vent'anni, un mondo che forse non riusciamo più a vedere.
R. Molti anni fa ho scritto due versi: "Amano invece ancora molto - le rose che hanno colto". Le persone e le cose che ho amato le amo sempre, e mi piace ricordarle com'erano quando me ne sono innamorato. Non è naturale? Non capita così a tutti? Quindi, siccome mi piace raccontare, preferisco raccontare com'erano in quel momento. Se non vediamo più un certo mondo, è perché non esiste più. Considero una grande fortuna poterlo almeno ricordare e raccontare.
D. Ma oggi vuole ricordare in particolare una di queste persone?
R. Il vescovo Javanis, che un quarto di secolo fa mi ha accolto nel suo monastero giacobita, nell'estremo Sudest della Turchia. È la parte turca di quello che i curdi considerano il loro paese. Singolare gruppo etnico e religioso, quello dei cristiani siriaci giacobiti, monofisiti ostinatamente aggrappati all'eresia di Eutiche. Sono una delle popolazioni più antiche dell'Anatolia ma ormai ridotti a poche migliaia di persone. Javanis non c'è più, ma il suo ricordo per me rappresenta quelle minoranze sempre più minoranze, sempre più perdenti nel gioco dei potenti. Appena a sud del monastero Mar Gabriel c'è la Siria, a poca distanza, a Haran (Carre), è stato annientato dai Parti l'esercito del triumviro Marco Licinio Crasso, da quelle terre è passato anche Marco Antonio, diretto alla rovina militare e personale, lì in mezzo scorre lo stradone che porta in Iraq e Iran. Che scenario meraviglioso e terribile. A quanti tormenti e a quanto dolore dovrà assistere ancora? Potremo continuare a visitarlo liberamente? E per i pochi figli rimasti del popolo di Javanis, espressioni come "libertà" e "democrazia" smetteranno finalmente di essere semplici lemmi di dizionario?
D. Lei ha scritto molto, ma questo è il suo primo libro sul viaggio. Dobbiamo pensare a una sorta di ritorno a casa, di riordino, a un risultato del suo viaggiare?
R. È il mio primo libro esplicitamente di ricordi di viaggio. Ma tante scene di miei romanzi sono ambientate in luoghi lontani che ho visitato: Aleppo, Damasco, persino Parigi o Istanbul (o anche Milano) degli anni Trenta, o New York dell'immediato dopoguerra. Ovviamente questi ultimi sono luoghi che nella realtà ho visto molto più tardi, perché negli anni Trenta non ero nemmeno nato. Ma, avendoli visti, ho potuto poi per così dire rivisitarli con una corsa all'indietro nel tempo attraverso i libri. Per questo in tutto Güle Güle sottolineo l'importanza dei libri come propedeutici o addirittura succedanei dei viaggi: che gioia è stata, nello scrivere quei miei libri, tapparmi in biblioteca con guide di viaggio di quegli anni e inventarmi itinerari nelle città di allora, residenze, alberghi, ristoranti, botteghe, giri in metropolitana, pomeriggi al circo o al cinema.
D. La lettura del suo libro fa sperare che, anche se un giorno tutto sarà un solo grande supermercato da Los Angeles a Bombay, come ha scritto Saul Bellow, ci sarà sempre chi una mattina sentirà l'impulso irresistibile di preparare una valigia e stabilire in quel modo che cosa ci è veramente indispensabile e che cosa possiamo tranquillamente lasciarci dietro partendo.
R. Non riesco nemmeno a pensare che si possa spegnere l'impulso a viaggiare non per sopraffare gli altri e derubarli delle loro risorse naturali ma semplicemente per conoscerli e fare amicizia.
Tuttolibri Viaggi
Tanti mondi da scoprire, nessun paradiso
Non è vero, come dice un celebre luogo comune, che il mondo è piccolo. È grande, invece, e a percorrerlo non basta una vita intera. Bisogna selezionare molto, dunque, per decidere dove andare e non sprecare tempo. Arbitrariamente, s’intende, inventandosi dei criteri assolutamente personali.
Ad esempio: «Se non vado più a New York è anche perché il Piccadilly Hotel lo hanno abbattuto», spiega Mario Biondi. Un motivo come un altro, pretesto per andare da qualche altra parte, da tutt’altra parte: Albania, Algeria, Siria, Giordania, Turchia, Egitto, Iran, ad esempio. C’era un’epoca in cui si viaggiava solo nei libri e attraverso di essi. Cui è succeduta un’epoca in cui si è preso a viaggiare davvero, portandosi i libri appresso, in cui a Emilio Salgari è subentrato Bruce Chatwin.
Biondi appartiene alla seconda epoca, quella post-sessantottina, quando la disponibilità economica ha oliato il “nomadismo” endemico. Anche se, rimugina, «troppi di noi partirono per inseguire paradisi fallaci e se ne accorsero soltanto al ritorno, se tornarono.» Niente paradisi da scoprire, dunque. Tanti mondi da esplorare, questo sì, con curiosità pari all’ironia, senza mai dimenticarsi cosa si è e da dove si viene.
Meraviglia bilanciata dal disincanto e coi giusti riferimenti bibliografici custoditi nello zaino. Con la consapevolezza, però, che «il viaggio rischia di non essere granché senza qualche buon libro preparatorio, ma che cosa sarebbe senza l’albergo?»
Non è vero, come dice un celebre luogo comune, che il mondo è piccolo. È grande, invece, e a percorrerlo non basta una vita intera. Bisogna selezionare molto, dunque, per decidere dove andare e non sprecare tempo. Arbitrariamente, s’intende, inventandosi dei criteri assolutamente personali.
Ad esempio: «Se non vado più a New York è anche perché il Piccadilly Hotel lo hanno abbattuto», spiega Mario Biondi. Un motivo come un altro, pretesto per andare da qualche altra parte, da tutt’altra parte: Albania, Algeria, Siria, Giordania, Turchia, Egitto, Iran, ad esempio. C’era un’epoca in cui si viaggiava solo nei libri e attraverso di essi. Cui è succeduta un’epoca in cui si è preso a viaggiare davvero, portandosi i libri appresso, in cui a Emilio Salgari è subentrato Bruce Chatwin.
Biondi appartiene alla seconda epoca, quella post-sessantottina, quando la disponibilità economica ha oliato il “nomadismo” endemico. Anche se, rimugina, «troppi di noi partirono per inseguire paradisi fallaci e se ne accorsero soltanto al ritorno, se tornarono.» Niente paradisi da scoprire, dunque. Tanti mondi da esplorare, questo sì, con curiosità pari all’ironia, senza mai dimenticarsi cosa si è e da dove si viene.
Meraviglia bilanciata dal disincanto e coi giusti riferimenti bibliografici custoditi nello zaino. Con la consapevolezza, però, che «il viaggio rischia di non essere granché senza qualche buon libro preparatorio, ma che cosa sarebbe senza l’albergo?»
Roberto Duiz
La Provincia di Como 28 marzo 2003
Biondi viaggiatore. L'incanto del ritorno
Scritto con garbo, intelligente e ironico, «Güle güle. Parti con un sorriso» (la seconda parte del titolo traduce l'espressione turca con cui ci si rivolge a chi parte) è più di un resoconto di viaggio: è la storia di un intreccio di passioni, in cui i luoghi, i libri e le persone si sovrappongono, delineando, nello stesso tempo, il ritratto di Biondi uomo e scrittore, con le sue idiosincrasie e le sue predilezioni.
Del resto, solo quando a condurci attraverso i luoghi è l'occhio di chi osserva e il cuore di chi reagisce emotivamente, le storie di viaggio riescono a catturare l'attenzione di chi legge. E’ l'entusiasmo del viaggiatore a coinvolgerci, la sua curiosità che ci rende desiderosi di sapere, la sua disincantata leggerezza che ci affascina, la sua autoironia che ce lo rende affabile compagno di un percorso a cui noi possiamo offrire soltanto la nostra partecipazione a distanza, nel tempo e nello spazio. "Güle güle" è tutto questo, perché Biondi ha saputo ricostruire le atmosfere dei luoghi che ha amato, coi loro sapori e colori, riuscendo, nello stesso tempo, ad informare. Ma uno, in definitiva, ci sembra il segreto del felice esito del libro. Biondi non si è voluto dimenticare di essere un narratore, che sa come blandire il suo lettore. Così New York, Istanbul e Aleppo, le sabbie del Sahara, la Giordania, la Siria, l'Albania, l'Egitto e l'Iran sono diventati i luoghi in cui ambientare quelle storie che ogni viaggio porta con sé. Storie ricche di personaggi, descritti ora con un registro quasi elegiaco, ora con divertita ironia (e tra questi ultimi sono i turisti ad avere largo spazio), di situazioni talvolta rischiose, talvolta imbarazzanti, talvolta divertenti, di scenari di stordente bellezza. E a guidare lo scrittore c'è una certezza, che fornisce una delle chiavi di lettura del libro: « Quando la Terra mi fa perdere l'equilibrio, quasi inevitabilmente rotolo verso oriente».
Giunge oggi in libreria «Güle Güle. Parti con un sorriso», il nuovo libro di Mario Biondi, scrittore legatissimo a Como, dove ha a lungo risieduto. Lo abbiamo incontrato per capire quali siano le caratteristiche di questo lavoro che sembra prendere le distanze dai suoi ultimi libri di narrativa.
Come mai, dopo una lunga serie di romanzi, ha sentito il desiderio di scrivere un libro di ricordi di viaggio?
L'idea mi è stata suggerita da una persona di cui si parla poco, anche se poi in casa editrice Longanesi riveste un ruolo decisivo. Sto riferendomi a Elena Spagnol, la vedova di Mario, che, tanto per mettere a fuoco il personaggio, ha scoperto Wilbur Smith. E’ stata lei ad invitarmi a scrivere dei miei viaggi, dei quali avevo parlato così tante volte a casa loro, facendoli, a suo dire, "divertire come matti.'. Del resto avevo già scritto diversi pezzi per i giornali.
Ogni luogo in cui lei è stato viene presentato come "un amore ". Quando ha avuto origine l'innamoramento? Prima, durante, dopo?
Prima no di sicuro, sarebbe come innamorarsi di una donna solo perché se ne è sentito parlare. Sicuramente mi sono innamorato durante, poi la nostalgia ha avuto la sua parte, ridefinendo i contorni del mio sentimento. Però lei esagera, non mi sono piaciuti tutti i Paesi dove sono stato.
In particolare è la Turchia il Paese con cui il rapporto è diventato più duraturo, trasformandosi, a suo dire, inn un «matrimonio».
In Turchia vado da trentacinque anni. E’ un paese che adoro. Ma la scoperta del Paese è avvenuta anche perché si trattava per me di una tappa d'obbligo per andare con la mia automobile (il mezzo ideale per percorrere come si vuole distanze medio-lunghe) sempre più a est. Strade che però si sono andate via via chiudendo. Nel 1978, infatti, quando stavo per entrare in Iran, sono scoppiati i prodromi della rivoluzione kohmeinista e passare mi fu impossibile. In Iraq non ho mai potuto metterci piede. Più a nord c'era l'Unione Sovietica in cui muoversi in macchina era impossibile. L'unico sbocco era la Siria, un paese di straordinaria civiltà che ho percorso in lungo e in largo.
Cosa viene a mancare viaggiando senza la mappa mentale che la pagina scritta ci può fornire?
I libri sono importanti, ma non è vero che siano dietro ad ogni viaggio. E’ certo però che i libri sono un arricchimento. Leggere a viaggio avvenuto è un mezzo per capire. Il libro prima del viaggio serve a creare un'aspettativa. Ma questo è quanto penso io. C’è una marea di gente che viaggia senza aver mai letto una pagina sui posti in cui si trova. Così come c'è chi viaggia soltanto con i libri, stimolato dalla fantasia. Però anche quest'ultima strategia è insufficiente.
Come mai l'attrazione per il Vicino e il Medio Oriente? Vi cercava qualcosa di particolare?
Non ho deciso di amare l'Est a tavolino. Non ho nemmeno pensato di poter trovare in partenza quell'equilibrio che poi l'Oriente ha saputo darmi. E’ stata un'attrazione fatale, che mi avrebbe spinto sempre più in là se ne avessi avuto la possibilità. Il problema da un lato è che sto diventando vecchio e dall'altro che per an dare oltre occorrerebbero mesi di viaggio, oppure dovrei pre-ferire l'aereo all'automobi-le. E poi correrei un bel ri-schio...
Cioè?
Vedere troppo porta a mescolare tutto, e stando mesi in giro si può incappare in questo sgradevole problema. Non vorrei fare come quei turisti americani che a Roma rimanevano estasiati davanti al Partenone!
A proposito di turisti, lei scrive che "tutto il mondo è paese e tutti i turisti che si comportano da turisti non sono altro che turisti, non "amici”. Dunque il vero viaggiatore non è un turista?
A me sembra di sì, però lo dico io, dal mio punto di vista di viaggiatore. Io non ho grande considerazione di quelle persone che si infilano nei villaggi vacanze e fanno tutto quello che si fa qui da noi, senza capire nulla del Paese che li ospita. Però poi mi dico che forse c'è gente che vuole proprio questo, che è contenta così.
Tra i turisti lei frequentemente si diverte a prendere in giro gli italiani. Perché?
No, non solo gli italiani. Vede, il mio è un libro fondamentalmente ironico e ho cercato di esserlo nei confronti di tutti i turisti che ho via via incontrato, verso gli inglesi, verso i tedeschi e naturalmente anche verso i miei compatrioti, che sono sì i più caciaroni, ma sono anche i più simpatici. Tratti caratteriali che, detto tra parentesi, ci hanno fortunatamente impedito di fare sul serio i colonialisti.
Cambiamo pagina, parliamo di New York, un'altra delle sue grandi passioni...
New York, dopo l'Algeria, è stato uno dei primi posti lontani da casa che ho frequentato con continuità e intensità. Ho amato la New York degli anni Settanta e Ottanta. Poi nell'ultimo decennio non mi ha più interessato, molto è cambiato, compreso quel clima culturale in cui mi ero riconosciuto. Il fatto è che quando si è giovani si ha più propensione all'innamoramento, poi subentra il disincanto… New York è un universo a sé, una città che richiede un'energia tremenda. Oggi mi spaventa. Non so se potrei sopravvivere alle spaventose camminate che sono stato in grado di fare in passato e che avrei forse la tentazione di ripetere.
Scritto con garbo, intelligente e ironico, «Güle güle. Parti con un sorriso» (la seconda parte del titolo traduce l'espressione turca con cui ci si rivolge a chi parte) è più di un resoconto di viaggio: è la storia di un intreccio di passioni, in cui i luoghi, i libri e le persone si sovrappongono, delineando, nello stesso tempo, il ritratto di Biondi uomo e scrittore, con le sue idiosincrasie e le sue predilezioni.
Del resto, solo quando a condurci attraverso i luoghi è l'occhio di chi osserva e il cuore di chi reagisce emotivamente, le storie di viaggio riescono a catturare l'attenzione di chi legge. E’ l'entusiasmo del viaggiatore a coinvolgerci, la sua curiosità che ci rende desiderosi di sapere, la sua disincantata leggerezza che ci affascina, la sua autoironia che ce lo rende affabile compagno di un percorso a cui noi possiamo offrire soltanto la nostra partecipazione a distanza, nel tempo e nello spazio. "Güle güle" è tutto questo, perché Biondi ha saputo ricostruire le atmosfere dei luoghi che ha amato, coi loro sapori e colori, riuscendo, nello stesso tempo, ad informare. Ma uno, in definitiva, ci sembra il segreto del felice esito del libro. Biondi non si è voluto dimenticare di essere un narratore, che sa come blandire il suo lettore. Così New York, Istanbul e Aleppo, le sabbie del Sahara, la Giordania, la Siria, l'Albania, l'Egitto e l'Iran sono diventati i luoghi in cui ambientare quelle storie che ogni viaggio porta con sé. Storie ricche di personaggi, descritti ora con un registro quasi elegiaco, ora con divertita ironia (e tra questi ultimi sono i turisti ad avere largo spazio), di situazioni talvolta rischiose, talvolta imbarazzanti, talvolta divertenti, di scenari di stordente bellezza. E a guidare lo scrittore c'è una certezza, che fornisce una delle chiavi di lettura del libro: « Quando la Terra mi fa perdere l'equilibrio, quasi inevitabilmente rotolo verso oriente».
Giunge oggi in libreria «Güle Güle. Parti con un sorriso», il nuovo libro di Mario Biondi, scrittore legatissimo a Como, dove ha a lungo risieduto. Lo abbiamo incontrato per capire quali siano le caratteristiche di questo lavoro che sembra prendere le distanze dai suoi ultimi libri di narrativa.
Come mai, dopo una lunga serie di romanzi, ha sentito il desiderio di scrivere un libro di ricordi di viaggio?
L'idea mi è stata suggerita da una persona di cui si parla poco, anche se poi in casa editrice Longanesi riveste un ruolo decisivo. Sto riferendomi a Elena Spagnol, la vedova di Mario, che, tanto per mettere a fuoco il personaggio, ha scoperto Wilbur Smith. E’ stata lei ad invitarmi a scrivere dei miei viaggi, dei quali avevo parlato così tante volte a casa loro, facendoli, a suo dire, "divertire come matti.'. Del resto avevo già scritto diversi pezzi per i giornali.
Ogni luogo in cui lei è stato viene presentato come "un amore ". Quando ha avuto origine l'innamoramento? Prima, durante, dopo?
Prima no di sicuro, sarebbe come innamorarsi di una donna solo perché se ne è sentito parlare. Sicuramente mi sono innamorato durante, poi la nostalgia ha avuto la sua parte, ridefinendo i contorni del mio sentimento. Però lei esagera, non mi sono piaciuti tutti i Paesi dove sono stato.
In particolare è la Turchia il Paese con cui il rapporto è diventato più duraturo, trasformandosi, a suo dire, inn un «matrimonio».
In Turchia vado da trentacinque anni. E’ un paese che adoro. Ma la scoperta del Paese è avvenuta anche perché si trattava per me di una tappa d'obbligo per andare con la mia automobile (il mezzo ideale per percorrere come si vuole distanze medio-lunghe) sempre più a est. Strade che però si sono andate via via chiudendo. Nel 1978, infatti, quando stavo per entrare in Iran, sono scoppiati i prodromi della rivoluzione kohmeinista e passare mi fu impossibile. In Iraq non ho mai potuto metterci piede. Più a nord c'era l'Unione Sovietica in cui muoversi in macchina era impossibile. L'unico sbocco era la Siria, un paese di straordinaria civiltà che ho percorso in lungo e in largo.
Cosa viene a mancare viaggiando senza la mappa mentale che la pagina scritta ci può fornire?
I libri sono importanti, ma non è vero che siano dietro ad ogni viaggio. E’ certo però che i libri sono un arricchimento. Leggere a viaggio avvenuto è un mezzo per capire. Il libro prima del viaggio serve a creare un'aspettativa. Ma questo è quanto penso io. C’è una marea di gente che viaggia senza aver mai letto una pagina sui posti in cui si trova. Così come c'è chi viaggia soltanto con i libri, stimolato dalla fantasia. Però anche quest'ultima strategia è insufficiente.
Come mai l'attrazione per il Vicino e il Medio Oriente? Vi cercava qualcosa di particolare?
Non ho deciso di amare l'Est a tavolino. Non ho nemmeno pensato di poter trovare in partenza quell'equilibrio che poi l'Oriente ha saputo darmi. E’ stata un'attrazione fatale, che mi avrebbe spinto sempre più in là se ne avessi avuto la possibilità. Il problema da un lato è che sto diventando vecchio e dall'altro che per an dare oltre occorrerebbero mesi di viaggio, oppure dovrei pre-ferire l'aereo all'automobi-le. E poi correrei un bel ri-schio...
Cioè?
Vedere troppo porta a mescolare tutto, e stando mesi in giro si può incappare in questo sgradevole problema. Non vorrei fare come quei turisti americani che a Roma rimanevano estasiati davanti al Partenone!
A proposito di turisti, lei scrive che "tutto il mondo è paese e tutti i turisti che si comportano da turisti non sono altro che turisti, non "amici”. Dunque il vero viaggiatore non è un turista?
A me sembra di sì, però lo dico io, dal mio punto di vista di viaggiatore. Io non ho grande considerazione di quelle persone che si infilano nei villaggi vacanze e fanno tutto quello che si fa qui da noi, senza capire nulla del Paese che li ospita. Però poi mi dico che forse c'è gente che vuole proprio questo, che è contenta così.
Tra i turisti lei frequentemente si diverte a prendere in giro gli italiani. Perché?
No, non solo gli italiani. Vede, il mio è un libro fondamentalmente ironico e ho cercato di esserlo nei confronti di tutti i turisti che ho via via incontrato, verso gli inglesi, verso i tedeschi e naturalmente anche verso i miei compatrioti, che sono sì i più caciaroni, ma sono anche i più simpatici. Tratti caratteriali che, detto tra parentesi, ci hanno fortunatamente impedito di fare sul serio i colonialisti.
Cambiamo pagina, parliamo di New York, un'altra delle sue grandi passioni...
New York, dopo l'Algeria, è stato uno dei primi posti lontani da casa che ho frequentato con continuità e intensità. Ho amato la New York degli anni Settanta e Ottanta. Poi nell'ultimo decennio non mi ha più interessato, molto è cambiato, compreso quel clima culturale in cui mi ero riconosciuto. Il fatto è che quando si è giovani si ha più propensione all'innamoramento, poi subentra il disincanto… New York è un universo a sé, una città che richiede un'energia tremenda. Oggi mi spaventa. Non so se potrei sopravvivere alle spaventose camminate che sono stato in grado di fare in passato e che avrei forse la tentazione di ripetere.
Andrea Giardina
Madre maggio 2003
I libri di viaggio hanno una duplice funzione: possono sostituire i viaggi reali, consentendo a chi per varie ragioni non può muoversi da casa un'innocente ed economica fuga con l'immaginazione, oppure costituire un utile supporto per chi cerca ispirazioni e suggestioni culturali per i propri itinerari. A entrambe le categorie si può consigliare la lettura di Güle güle di Mario Biondi. un'affascinante, curiosa e divertente traversata dei luoghi mitici dell'immaginario occidentale, dall'Algeria alla Siria, dall'Albania all'Egitto, dalla Giordania all'Iran, con una particolare rilevanza riservata alla meta più amata dall'autore, la Turchia, come si comprende fino dal titolo: Güle güle è infatti il saluto turco a chi sta partendo, che Biondi traduce con “parti con un sorriso”.
Questo viaggio non contempla soltanto immense distanze geografiche, ma implica l'immersione in tempi diversi, dalle pionieristiche avventure degli anni'60 fino ai più confortevoli e veloci trasferimenti attuali, esaltando l'amicizia nei confronti di chi ci ospita. Un'amicizia che non si lascia condizionare dai pregiudizi, e soprattutto dedica dei tempo all'approfondimento delle diverse culture. Collezionista di albe e tramonti nei punti più incantevoli della terra, spesso conquistati a prezzo di incredibili prodezze su piste desertiche, torturando le predilette Alfa Romeo, Biondi sa alternare nei suoi racconti paesaggi e persone, notizie e citazioni, sapori, profumi e stati d'animo, sulle orme di famosi scrittori-viaggiatori di cui conosce bene le imprese, ma senza mai rinunciare al piacere della scoperta personale.
Questo viaggio non contempla soltanto immense distanze geografiche, ma implica l'immersione in tempi diversi, dalle pionieristiche avventure degli anni'60 fino ai più confortevoli e veloci trasferimenti attuali, esaltando l'amicizia nei confronti di chi ci ospita. Un'amicizia che non si lascia condizionare dai pregiudizi, e soprattutto dedica dei tempo all'approfondimento delle diverse culture. Collezionista di albe e tramonti nei punti più incantevoli della terra, spesso conquistati a prezzo di incredibili prodezze su piste desertiche, torturando le predilette Alfa Romeo, Biondi sa alternare nei suoi racconti paesaggi e persone, notizie e citazioni, sapori, profumi e stati d'animo, sulle orme di famosi scrittori-viaggiatori di cui conosce bene le imprese, ma senza mai rinunciare al piacere della scoperta personale.
Daniela Pizzagalli
infinitestorie.it maggio 2003
La felicità di viaggiare
Tante località, in quattro continenti e 35 anni, da New York a Teheran, ma soprattutto il ponte di Galata, il Corno d'Oro, il Sahara algerino, il bazar di Istanbul, i bagni turchi, i paesaggi lunari dell'Anatolia, il Golfo di Aqaba, l'Egitto e le dolcezze del Nilo, i profumi di Aleppo, i colori di Isfahan: luoghi mitici, archetipici dell'immaginario occidentale, che hanno intrattenuto nei secoli – nei millenni – un fruttuoso rapporto di incontro-scontro con la cultura del Mediterraneo, arricchendola. Questo racconta Mario Biondi in Güle Güle. Parti con un sorriso, suo libro di ricordi di viaggio dopo 12 romanzi, tra cui Gli occhi di una donna, per il quale gli è stato assegnato il Premio Campiello nel 1985. Abbiamo parlato con lui di questa sua nuova impresa.
D. Lei ha viaggiato in terre esotiche con Sandokan e Yanez nei suoi sogni di bambino, ma poi quei sogni li ha realizzati: viaggiare l'ha in qualche modo cambiata?
R. Be', sono sogni realizzati soltanto in parte. Tra una guerra e l'altra, viaggiare diventa sempre più complicato. Persino la cosiddetta "caduta dei muri", in realtà è stata il sorgere di una miriade di nuove frontiere, dogane, bolli, balzelli, complicazioni. Il viaggio mi ha cambiato? A chi le poneva la stessa domanda, la straordinaria Freya Stark ha risposto con un tonante "no". Io poi l'ho personalmente chiesto a una grande viaggiatore come Colin Thubron, e anche lui, dopo averci pensato un po', ha risposto "no". Ma loro sono inglesi, mentre probabilmente noi italiani siamo più passionali, più disponibili all'innamoramento. Io penso proprio che viaggiare mi abbia parecchio cambiato, se non altro nell'atteggiamento verso ciò che è "altro" rispetto a noi. Mi ha insegnato il rispetto per le culture diverse dalla nostra.
D. Che cosa significa Güle Güle? Sembra più una filosofia di vita che un semplice augurio.
R. È l'espressione di buon augurio con cui si viene salutati quando si esce da una casa turca, luogo tradizionalmente di grande ospitalità. Significa in sostanza "sorridi sorridi", e io l'ho liberamente resa con Parti con un sorriso. È effettivamente una filosofia di vita: l'atteggiamento del nomade di fronte al viaggio. Non paura, preoccupazione, ansia, ma "sorriso", curiosità, aspettativa nei confronti della possibile scoperta. La convinzione che al di là della collina, della curva, della duna c'è quasi sicuramente qualcosa di bello o comunque di nuovo e interessante.
D. Come mai soprattutto l'Est?
R. Una parte dell'Est, ovvero l'Asia Minore e il Vicino e Medio Oriente, con l'appendice del Nord Africa, che essendo musulmano molti assimilano al Medio Oriente. Me lo sono sempre chiesto anch'io, ma senza sapermi veramente rispondere. Io amo raccontare, e grandissime composizioni epico-narrative sono venute da quella direzione: Gilgamesh, Il Libro dei Re, Le Mille e una Notte, Mahabharata e Ramayana... E Omero, lui stesso asiatico o per lo meno anatolico... Ma anche la cultura dei numeri è venuta da quella direzione, e io ho una passione quasi neopitagorica per i numeri. Però forse, più semplicemente, dipende dal fatto che il sole viene da quella direzione e mi fa venire voglia di andargli incontro.
D. Lei ricostruisce con lievità la storia dell'incontro fra civiltà diverse, che a loro modo non muoiono mai. Sembra però di avvertire la nostalgia di un mondo che appare ormai lontano nel tempo, anche se sono passati poco più di vent'anni, un mondo che forse non riusciamo più a vedere.
R. Molti anni fa ho scritto due versi: "Amano invece ancora molto - le rose che hanno colto". Le persone e le cose che ho amato le amo sempre, e mi piace ricordarle com'erano quando me ne sono innamorato. Non è naturale? Non capita così a tutti? Quindi, siccome mi piace raccontare, preferisco raccontare com'erano in quel momento. Se non vediamo più un certo mondo, è perché non esiste più. Considero una grande fortuna poterlo almeno ricordare e raccontare.
D. Ma oggi vuole ricordare in particolare una di queste persone?
R. Il vescovo Javanis, che un quarto di secolo fa mi ha accolto nel suo monastero giacobita, nell'estremo Sudest della Turchia. È la parte turca di quello che i curdi considerano il loro paese. Singolare gruppo etnico e religioso, quello dei cristiani siriaci giacobiti, monofisiti ostinatamente aggrappati all'eresia di Eutiche. Sono una delle popolazioni più antiche dell'Anatolia ma ormai ridotti a poche migliaia di persone. Javanis non c'è più, ma il suo ricordo per me rappresenta quelle minoranze sempre più minoranze, sempre più perdenti nel gioco dei potenti. Appena a sud del monastero Mar Gabriel c'è la Siria, a poca distanza, a Haran (Carre), è stato annientato dai Parti l'esercito del triumviro Marco Licinio Crasso, da quelle terre è passato anche Marco Antonio, diretto alla rovina militare e personale, lì in mezzo scorre lo stradone che porta in Iraq e Iran. Che scenario meraviglioso e terribile. A quanti tormenti e a quanto dolore dovrà assistere ancora? Potremo continuare a visitarlo liberamente? E per i pochi figli rimasti del popolo di Javanis, espressioni come "libertà" e "democrazia" smetteranno finalmente di essere semplici lemmi di dizionario?
D. Lei ha scritto molto, ma questo è il suo primo libro sul viaggio. Dobbiamo pensare a una sorta di ritorno a casa, di riordino, a un risultato del suo viaggiare?
R. È il mio primo libro esplicitamente di ricordi di viaggio. Ma tante scene di miei romanzi sono ambientate in luoghi lontani che ho visitato: Aleppo, Damasco, persino Parigi o Istanbul (o anche Milano) degli anni Trenta, o New York dell'immediato dopoguerra. Ovviamente questi ultimi sono luoghi che nella realtà ho visto molto più tardi, perché negli anni Trenta non ero nemmeno nato. Ma, avendoli visti, ho potuto poi per così dire rivisitarli con una corsa all'indietro nel tempo attraverso i libri. Per questo in tutto Güle Güle sottolineo l'importanza dei libri come propedeutici o addirittura succedanei dei viaggi: che gioia è stata, nello scrivere quei miei libri, tapparmi in biblioteca con guide di viaggio di quegli anni e inventarmi itinerari nelle città di allora, residenze, alberghi, ristoranti, botteghe, giri in metropolitana, pomeriggi al circo o al cinema.
D. La lettura del suo libro fa sperare che, anche se un giorno tutto sarà un solo grande supermercato da Los Angeles a Bombay, come ha scritto Saul Bellow, ci sarà sempre chi una mattina sentirà l'impulso irresistibile di preparare una valigia e stabilire in quel modo che cosa ci è veramente indispensabile e che cosa possiamo tranquillamente lasciarci dietro partendo.
R. Non riesco nemmeno a pensare che si possa spegnere l'impulso a viaggiare non per sopraffare gli altri e derubarli delle loro risorse naturali ma semplicemente per conoscerli e fare amicizia.
Tante località, in quattro continenti e 35 anni, da New York a Teheran, ma soprattutto il ponte di Galata, il Corno d'Oro, il Sahara algerino, il bazar di Istanbul, i bagni turchi, i paesaggi lunari dell'Anatolia, il Golfo di Aqaba, l'Egitto e le dolcezze del Nilo, i profumi di Aleppo, i colori di Isfahan: luoghi mitici, archetipici dell'immaginario occidentale, che hanno intrattenuto nei secoli – nei millenni – un fruttuoso rapporto di incontro-scontro con la cultura del Mediterraneo, arricchendola. Questo racconta Mario Biondi in Güle Güle. Parti con un sorriso, suo libro di ricordi di viaggio dopo 12 romanzi, tra cui Gli occhi di una donna, per il quale gli è stato assegnato il Premio Campiello nel 1985. Abbiamo parlato con lui di questa sua nuova impresa.
D. Lei ha viaggiato in terre esotiche con Sandokan e Yanez nei suoi sogni di bambino, ma poi quei sogni li ha realizzati: viaggiare l'ha in qualche modo cambiata?
R. Be', sono sogni realizzati soltanto in parte. Tra una guerra e l'altra, viaggiare diventa sempre più complicato. Persino la cosiddetta "caduta dei muri", in realtà è stata il sorgere di una miriade di nuove frontiere, dogane, bolli, balzelli, complicazioni. Il viaggio mi ha cambiato? A chi le poneva la stessa domanda, la straordinaria Freya Stark ha risposto con un tonante "no". Io poi l'ho personalmente chiesto a una grande viaggiatore come Colin Thubron, e anche lui, dopo averci pensato un po', ha risposto "no". Ma loro sono inglesi, mentre probabilmente noi italiani siamo più passionali, più disponibili all'innamoramento. Io penso proprio che viaggiare mi abbia parecchio cambiato, se non altro nell'atteggiamento verso ciò che è "altro" rispetto a noi. Mi ha insegnato il rispetto per le culture diverse dalla nostra.
D. Che cosa significa Güle Güle? Sembra più una filosofia di vita che un semplice augurio.
R. È l'espressione di buon augurio con cui si viene salutati quando si esce da una casa turca, luogo tradizionalmente di grande ospitalità. Significa in sostanza "sorridi sorridi", e io l'ho liberamente resa con Parti con un sorriso. È effettivamente una filosofia di vita: l'atteggiamento del nomade di fronte al viaggio. Non paura, preoccupazione, ansia, ma "sorriso", curiosità, aspettativa nei confronti della possibile scoperta. La convinzione che al di là della collina, della curva, della duna c'è quasi sicuramente qualcosa di bello o comunque di nuovo e interessante.
D. Come mai soprattutto l'Est?
R. Una parte dell'Est, ovvero l'Asia Minore e il Vicino e Medio Oriente, con l'appendice del Nord Africa, che essendo musulmano molti assimilano al Medio Oriente. Me lo sono sempre chiesto anch'io, ma senza sapermi veramente rispondere. Io amo raccontare, e grandissime composizioni epico-narrative sono venute da quella direzione: Gilgamesh, Il Libro dei Re, Le Mille e una Notte, Mahabharata e Ramayana... E Omero, lui stesso asiatico o per lo meno anatolico... Ma anche la cultura dei numeri è venuta da quella direzione, e io ho una passione quasi neopitagorica per i numeri. Però forse, più semplicemente, dipende dal fatto che il sole viene da quella direzione e mi fa venire voglia di andargli incontro.
D. Lei ricostruisce con lievità la storia dell'incontro fra civiltà diverse, che a loro modo non muoiono mai. Sembra però di avvertire la nostalgia di un mondo che appare ormai lontano nel tempo, anche se sono passati poco più di vent'anni, un mondo che forse non riusciamo più a vedere.
R. Molti anni fa ho scritto due versi: "Amano invece ancora molto - le rose che hanno colto". Le persone e le cose che ho amato le amo sempre, e mi piace ricordarle com'erano quando me ne sono innamorato. Non è naturale? Non capita così a tutti? Quindi, siccome mi piace raccontare, preferisco raccontare com'erano in quel momento. Se non vediamo più un certo mondo, è perché non esiste più. Considero una grande fortuna poterlo almeno ricordare e raccontare.
D. Ma oggi vuole ricordare in particolare una di queste persone?
R. Il vescovo Javanis, che un quarto di secolo fa mi ha accolto nel suo monastero giacobita, nell'estremo Sudest della Turchia. È la parte turca di quello che i curdi considerano il loro paese. Singolare gruppo etnico e religioso, quello dei cristiani siriaci giacobiti, monofisiti ostinatamente aggrappati all'eresia di Eutiche. Sono una delle popolazioni più antiche dell'Anatolia ma ormai ridotti a poche migliaia di persone. Javanis non c'è più, ma il suo ricordo per me rappresenta quelle minoranze sempre più minoranze, sempre più perdenti nel gioco dei potenti. Appena a sud del monastero Mar Gabriel c'è la Siria, a poca distanza, a Haran (Carre), è stato annientato dai Parti l'esercito del triumviro Marco Licinio Crasso, da quelle terre è passato anche Marco Antonio, diretto alla rovina militare e personale, lì in mezzo scorre lo stradone che porta in Iraq e Iran. Che scenario meraviglioso e terribile. A quanti tormenti e a quanto dolore dovrà assistere ancora? Potremo continuare a visitarlo liberamente? E per i pochi figli rimasti del popolo di Javanis, espressioni come "libertà" e "democrazia" smetteranno finalmente di essere semplici lemmi di dizionario?
D. Lei ha scritto molto, ma questo è il suo primo libro sul viaggio. Dobbiamo pensare a una sorta di ritorno a casa, di riordino, a un risultato del suo viaggiare?
R. È il mio primo libro esplicitamente di ricordi di viaggio. Ma tante scene di miei romanzi sono ambientate in luoghi lontani che ho visitato: Aleppo, Damasco, persino Parigi o Istanbul (o anche Milano) degli anni Trenta, o New York dell'immediato dopoguerra. Ovviamente questi ultimi sono luoghi che nella realtà ho visto molto più tardi, perché negli anni Trenta non ero nemmeno nato. Ma, avendoli visti, ho potuto poi per così dire rivisitarli con una corsa all'indietro nel tempo attraverso i libri. Per questo in tutto Güle Güle sottolineo l'importanza dei libri come propedeutici o addirittura succedanei dei viaggi: che gioia è stata, nello scrivere quei miei libri, tapparmi in biblioteca con guide di viaggio di quegli anni e inventarmi itinerari nelle città di allora, residenze, alberghi, ristoranti, botteghe, giri in metropolitana, pomeriggi al circo o al cinema.
D. La lettura del suo libro fa sperare che, anche se un giorno tutto sarà un solo grande supermercato da Los Angeles a Bombay, come ha scritto Saul Bellow, ci sarà sempre chi una mattina sentirà l'impulso irresistibile di preparare una valigia e stabilire in quel modo che cosa ci è veramente indispensabile e che cosa possiamo tranquillamente lasciarci dietro partendo.
R. Non riesco nemmeno a pensare che si possa spegnere l'impulso a viaggiare non per sopraffare gli altri e derubarli delle loro risorse naturali ma semplicemente per conoscerli e fare amicizia.
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