RACCONTA
Jürgen Klinsmann
(centravanti)
Ritratto, Max (1992)
(centravanti)
Ritratto, Max (1992)
© Mario Biondi
Divieto di riproduzione integrale
e obbligo di citazione (per cortesia...)
Alla fine del ’92 saranno passati vent’anni dal suo primo gol. Quel ragazzino biondo era una trottola inarrestabile. Un raggio di luna incontenibile. Saltava gli avversari come birilli, puntava diritto alla porta, segnava. Un giorno, nel 1973, alla fine di una partita di quaranta minuti, i bambocci del TB Gingen vincevano venti a zero contro i pari età dell’Aichelberg. Di questi gol, sedici li aveva fatti il biondino centravanti, uno ogni due minuti e mezzo. Un cronista locale si sperticava ad annunciare al piccolo mondo dei sobborghi di Stoccarda la realizzazione di un nuovo record. Immediatamente i talent scout svolgevano discrete indagini circa l’identità del microbomber. Jürgen Klinsmann, venivano a sapere, figlio di Siegfried e Martha, i panettieri. Nove anni appena compiuti. Nome, cognome, indirizzo e caratteristiche venivano annotati con cura. In quel campionato di bambini il piccolo Jürgen non si smentì mai: centosei gol in diciotto partite. Poco meno di sei a match, uno ogni sei minuti e mezzo.
Così, a suon di castagne, ecco Jürgen diventare a sedici anni il più giovane calciatore professionista di Germania, nei Kickers di Stoccarda. Guadagna già più di un milione al mese. E pensare che papà Siegfried, istruttore nel tempo libero di una squadra di ginnastica, aveva tentato con ogni mezzo di avviarlo al nobile sport degli anelli e delle parallele, se non, in second’ordine, a quello non meno nobile dell’atletica leggera, dove l’altro figlio, Horst, stava facendosi molto onore nel salto con l’asta. Ma niente da fare, nel ragazzino dai capelli a raggio di luna ardeva la febbre della domenica pomeriggio e del pallone da scagliare in porta, al punto che qualche anno più tardi, intervistato da Playboy, si sarebbe lasciato sfuggire un po’ per scherzo e un po’ sul serio (l’inconscio è sempre in agguato) che a lui gol e sesso danno un eccitazione quasi uguale.
Più di un milione al mese a sedici anni, sia pure lordo (nel 1980), è una bella cifretta, deve avere pensato il saggio papà Siegfried, dopo avere consultato mamma Martha nel retrobottega della panetteria. Jürgen era senza dubbio il più bravo di tutti loro a impastare pane, ma c’era da dubitare che con il mestiere delle mani potesse arrivare a guadagnare ciò che sembrava offrirgli in prospettiva quello dei piedi. Il diploma di panettiere lo aveva già conseguito, tanto valeva lasciarlo libero di affrontare splendori e miserie della carriera pedatoria. Alla peggio avrebbe sempre potuto tornare lì con loro ad arrotolare sfilatini e impastare biove. Un mestiere l’aveva.
Ecco come nasce e si afferma una superstar del calcio internazionale. Alla modesta squadra dei Kickers segue quella dello Stoccarda, e con essa vengono le coppe e la nazionale, ancora con una media ragguardevolissima di gol: uno quasi ogni due partite. E, a venticinque anni, ecco il grande evento. Un balzo “internazionale” in tutti i sensi. Viene chiamato in Italia dall’Inter. Lui ci pensa su, nicchia, tergiversa, si chiude nel retrobottega a fare calcoli più da ragioniere che da panettiere o pedatore. Cartellini, parametri, svincoli: roba da rompersi la testa. Non ci sono i procuratori, per inghippi contrattuali del genere? Neanche per idea. Jürgen è nato in Svevia, e degli svevi si dice che prima di spendere una moneta la rigirano tre volte. Quindi i propri interessi se li curano da sé. Insomma, risultato dell’alchemico calcolo è che il giovane bombardiere di Stoccarda vuole costare due miliardi e novecento milioni di lire, non un centesimo di meno ma neanche uno di più. I dirigenti delle due squadre abbozzano. Il resto è storia recente. Con la maglia dell’Inter, Jürgen ha segnato tredici gol nel primo campionato e dodici nel secondo, per un totale di venticinque. Centosedici milioni a gol. Quanto basta, comunque, per essere il migliore attaccante in servizio in Italia (esclusi i rigori), davanti a Van Basten, che su azione ne ha segnato soltanto diciannove. Baggio ne ha fatto complessivamente ventotto, ma metà e metà.
Tuttavia i gol, come il sesso, non sono tutto. Arrivato dalla lontana Svevia come il grande Federico II, come Manfredi e come l’infelice Corradino, Jürgen Klinsmann, anche lui “biondo e bello e di gentile aspetto” (almeno quando nessuno lo prende a calci da dietro), in Italia non ci è venuto soltanto per i soldi. Ciò che gli interessa soprattutto, ha dichiarato, sono le esperienze nuove. L’Italia la conosceva e aveva imparato ad apprezzarla attraverso i nostri emigranti. È contento di esserci venuto. Abita in una bella casa sul lago di Como, mangia bene, ha trovato nuovi amici. Nella sua sfolgorante carriera ha un solo rimpianto: avere abbandonato gli studi. Ma non è detto che non li riprenda. Acidulo, il suo compagno di squadra Lothar Mathäus ha scritto sul settimanale tedesco Bild che avrebbe il problema di “pensare troppo”. Colpa evidentemente imperdonabile, nel mondo dei piedi.
Ma Raggiodiluna non si è scomposto più di tanto. È vero. Lui “pensa”. Si dichiara pacifista ed ecologista. È sostenitore di Greenpeace. Mai, ha dichiarato, si presterebbe a fare pubblicità per un prodotto inquinante. In Germania operava a favore degli immigrati, andava a visitare i carcerati. Un impegno che lo ha messo persino in contrasto con il presidente della sua ex squadra, un uomo politico moderato tedesco. Un atteggiamento solidaristico che viene quasi sicuramente dalla severa educazione morale ricevuta nella casa dei panettieri Siegfried e Martha, fedeli seguaci della chiesa luterana.
Perciò sempre Bild (chissà perché ha il dente così avvelenato con lui?) ha scritto che in occasione di un’udienza concessa dal Papa all’Inter, Jürgen se la sarebbe svignata alla chetichella. Sciocchezze, ha replicato lui: ho ceduto cavallerescamente il posto alle signore che avevo dietro di me. Come siano andate veramente le cose, non si saprà mai. Ma è probabilmente lo stesso senso di rigore luterano a imporgli di difendere con i denti la propria privacy, e soprattutto quella della fidanzata che lo aspetta in Germania: una giovane di nome Andrea, di cui esiste un’unica fotografia e di cui si sa soltanto che studia. Per Jürgen, la vita privata viene prima di tutto.
Quindi, facendo sensazione, ha annunciato che nel ’92, dopo gli Europei di Svezia e alla fine del contratto con l’Inter, dato il suo onesto contributo al collaudo della “gabbia” di Orrico e compiuti i vent’anni di gol, lascerà il football. Abituato a “pensare troppo”, ha ancora moltissimo da vedere. Tornato ai jeans scoloriti in cui si trova molto più a suo agio che nel blazer sociale, rimesso in spalla lo zainetto con cui ama fare le sue vacanze da globetrotter e montato sulla vecchia Volkswagen che ha sempre preferito alle fuoriserie – anche quando giocava a Stoccarda, patria della Mercedes – partirà in cerca di ulteriori esperienze. Arrivando magari fino negli amati Usa. Chissà. Per qualche annetto ancora di attività. Non sarebbe più football, certo, ma potrebbe sempre essere soccer. A casa lo aspetta un discreto capitaletto: anche se l’unificazione tedesca sta facendo crescere l’inflazione, avrà comunque di che campare bene. E un’avventura come quella di Italia ’90 è stata così entusiasmante che secondo lui un calciatore dovrebbero pagare pur di viverla. Ai piedi, Jürgen Raggiodiluna sembra davvero preferire il cervello.
Pubblicato su Max, autunno 1997
Così, a suon di castagne, ecco Jürgen diventare a sedici anni il più giovane calciatore professionista di Germania, nei Kickers di Stoccarda. Guadagna già più di un milione al mese. E pensare che papà Siegfried, istruttore nel tempo libero di una squadra di ginnastica, aveva tentato con ogni mezzo di avviarlo al nobile sport degli anelli e delle parallele, se non, in second’ordine, a quello non meno nobile dell’atletica leggera, dove l’altro figlio, Horst, stava facendosi molto onore nel salto con l’asta. Ma niente da fare, nel ragazzino dai capelli a raggio di luna ardeva la febbre della domenica pomeriggio e del pallone da scagliare in porta, al punto che qualche anno più tardi, intervistato da Playboy, si sarebbe lasciato sfuggire un po’ per scherzo e un po’ sul serio (l’inconscio è sempre in agguato) che a lui gol e sesso danno un eccitazione quasi uguale.
Più di un milione al mese a sedici anni, sia pure lordo (nel 1980), è una bella cifretta, deve avere pensato il saggio papà Siegfried, dopo avere consultato mamma Martha nel retrobottega della panetteria. Jürgen era senza dubbio il più bravo di tutti loro a impastare pane, ma c’era da dubitare che con il mestiere delle mani potesse arrivare a guadagnare ciò che sembrava offrirgli in prospettiva quello dei piedi. Il diploma di panettiere lo aveva già conseguito, tanto valeva lasciarlo libero di affrontare splendori e miserie della carriera pedatoria. Alla peggio avrebbe sempre potuto tornare lì con loro ad arrotolare sfilatini e impastare biove. Un mestiere l’aveva.
Ecco come nasce e si afferma una superstar del calcio internazionale. Alla modesta squadra dei Kickers segue quella dello Stoccarda, e con essa vengono le coppe e la nazionale, ancora con una media ragguardevolissima di gol: uno quasi ogni due partite. E, a venticinque anni, ecco il grande evento. Un balzo “internazionale” in tutti i sensi. Viene chiamato in Italia dall’Inter. Lui ci pensa su, nicchia, tergiversa, si chiude nel retrobottega a fare calcoli più da ragioniere che da panettiere o pedatore. Cartellini, parametri, svincoli: roba da rompersi la testa. Non ci sono i procuratori, per inghippi contrattuali del genere? Neanche per idea. Jürgen è nato in Svevia, e degli svevi si dice che prima di spendere una moneta la rigirano tre volte. Quindi i propri interessi se li curano da sé. Insomma, risultato dell’alchemico calcolo è che il giovane bombardiere di Stoccarda vuole costare due miliardi e novecento milioni di lire, non un centesimo di meno ma neanche uno di più. I dirigenti delle due squadre abbozzano. Il resto è storia recente. Con la maglia dell’Inter, Jürgen ha segnato tredici gol nel primo campionato e dodici nel secondo, per un totale di venticinque. Centosedici milioni a gol. Quanto basta, comunque, per essere il migliore attaccante in servizio in Italia (esclusi i rigori), davanti a Van Basten, che su azione ne ha segnato soltanto diciannove. Baggio ne ha fatto complessivamente ventotto, ma metà e metà.
Tuttavia i gol, come il sesso, non sono tutto. Arrivato dalla lontana Svevia come il grande Federico II, come Manfredi e come l’infelice Corradino, Jürgen Klinsmann, anche lui “biondo e bello e di gentile aspetto” (almeno quando nessuno lo prende a calci da dietro), in Italia non ci è venuto soltanto per i soldi. Ciò che gli interessa soprattutto, ha dichiarato, sono le esperienze nuove. L’Italia la conosceva e aveva imparato ad apprezzarla attraverso i nostri emigranti. È contento di esserci venuto. Abita in una bella casa sul lago di Como, mangia bene, ha trovato nuovi amici. Nella sua sfolgorante carriera ha un solo rimpianto: avere abbandonato gli studi. Ma non è detto che non li riprenda. Acidulo, il suo compagno di squadra Lothar Mathäus ha scritto sul settimanale tedesco Bild che avrebbe il problema di “pensare troppo”. Colpa evidentemente imperdonabile, nel mondo dei piedi.
Ma Raggiodiluna non si è scomposto più di tanto. È vero. Lui “pensa”. Si dichiara pacifista ed ecologista. È sostenitore di Greenpeace. Mai, ha dichiarato, si presterebbe a fare pubblicità per un prodotto inquinante. In Germania operava a favore degli immigrati, andava a visitare i carcerati. Un impegno che lo ha messo persino in contrasto con il presidente della sua ex squadra, un uomo politico moderato tedesco. Un atteggiamento solidaristico che viene quasi sicuramente dalla severa educazione morale ricevuta nella casa dei panettieri Siegfried e Martha, fedeli seguaci della chiesa luterana.
Perciò sempre Bild (chissà perché ha il dente così avvelenato con lui?) ha scritto che in occasione di un’udienza concessa dal Papa all’Inter, Jürgen se la sarebbe svignata alla chetichella. Sciocchezze, ha replicato lui: ho ceduto cavallerescamente il posto alle signore che avevo dietro di me. Come siano andate veramente le cose, non si saprà mai. Ma è probabilmente lo stesso senso di rigore luterano a imporgli di difendere con i denti la propria privacy, e soprattutto quella della fidanzata che lo aspetta in Germania: una giovane di nome Andrea, di cui esiste un’unica fotografia e di cui si sa soltanto che studia. Per Jürgen, la vita privata viene prima di tutto.
Quindi, facendo sensazione, ha annunciato che nel ’92, dopo gli Europei di Svezia e alla fine del contratto con l’Inter, dato il suo onesto contributo al collaudo della “gabbia” di Orrico e compiuti i vent’anni di gol, lascerà il football. Abituato a “pensare troppo”, ha ancora moltissimo da vedere. Tornato ai jeans scoloriti in cui si trova molto più a suo agio che nel blazer sociale, rimesso in spalla lo zainetto con cui ama fare le sue vacanze da globetrotter e montato sulla vecchia Volkswagen che ha sempre preferito alle fuoriserie – anche quando giocava a Stoccarda, patria della Mercedes – partirà in cerca di ulteriori esperienze. Arrivando magari fino negli amati Usa. Chissà. Per qualche annetto ancora di attività. Non sarebbe più football, certo, ma potrebbe sempre essere soccer. A casa lo aspetta un discreto capitaletto: anche se l’unificazione tedesca sta facendo crescere l’inflazione, avrà comunque di che campare bene. E un’avventura come quella di Italia ’90 è stata così entusiasmante che secondo lui un calciatore dovrebbero pagare pur di viverla. Ai piedi, Jürgen Raggiodiluna sembra davvero preferire il cervello.
Pubblicato su Max, autunno 1997