Scrive di: Giuseppe Pontiggia
Un piccolo, affettuoso ricordo: Due domande di oltre 35 anni fa
Un piccolo, affettuoso ricordo: Due domande di oltre 35 anni fa
© Mario Biondi
Divieto di riproduzione integrale
e obbligo di citazione (per cortesia...)
Con i suoi molti romanzi e libri, Giuseppe Pontiggia, vincitore di tanti prestigiosi premi letterari e in particolare del Premio Strega con La grande sera (1989), finissimo consulente editoriale, critico e collaboratore di giornali, è stato uno degli scrittori italiani non soltanto più noti ma anche più apprezzati dal pubblico. Basti pensare, per esempio, allo straordinario successo del romanzo Nati due volte, o della godibilissima ma sottile raccolta di aforismi intitolata Prima persona. "Che cosa sono la società e l'esistenza individuale per chi le vive e le osserva in “prima persona”?” Così attaccava la bandella di questo singolare libro, dove la "chiarezza" di linguaggio, uno dei cardini della poetica di Pontiggia, si sposa alla perfezione con l'ironia a fini comico-gnomici, ovvero di "insegnare sorridendo". Proprio di "chiarezza" mi parlava Pontiggia in una brevissima (com’eravamo giovani!) intervista di oltre 35 anni or sono. Un piccolo testo perduto nella polvere degli archivi, quindi probabilmente introvabile, ma che mi sembra possa avere tuttora una validità documentaria.
Giuseppe Pontiggia, quarantacinque anni, lombardo, ha al suo attivo di scrittore una bibliografia scarna, anche se di qualità, arrivata al grande pubblico soltanto in questi ultimi tempi: Il giocatore invisibile, romanzo dello scorso anno (Premio Selezione Campiello) e La morte in banca. A questo va aggiunta una militanza ormai più che ventennale sulle sponde della critica letteraria e della consulenza editoriale. Per le sue mani e davanti al suo giudizio, come critico, consulente della Adelphi e della Mondadori, collaboratore di Marco Forti per "L'Almanacco dello specchio" e animatore di iniziative letterarie come la "Nuova società di poesia", sono passati i testi di prosa e poesia di almeno due generazioni letterarie italiane, dagli albori del ruggente fenomeno etichettato come "neoavanguardia" fino a oggi.
BIONDI Che cosa ha dunque significato, per la letteratura e la cultura italiana, il fenomeno "neoavanguardia"? Quanto ne è rimasto oggi e quanto invece se ne rifiuta o contesta, e quanto o che cosa ha significato per lo scrittore Pontiggia.
PONTIGGIA La neoavanguardia ha dato alla nostra cultura la coscienza critica dei nessi tra linguaggio e società, dei rapporti tra scrittura e ideologia. Ha importato e approfondito nuove metodologie critiche. Ha identificato l'esistenza dell'alienazione linguistica, di una crisi del linguaggio. Cosa che resta valida e importante ancor oggi. È anche vero però che molte delle teorizzazioni della neoavanguardia erano a loro volta un sintomo anziché una terapia del male che volevano curare: l'alienazione linguistica che rispecchiava quella della società. E purtroppo a volte ciò che avrebbe dovuto riflettere una cautela storicistica, si è voluto invece imporlo come "norma" se non come "dogma" della letteratura di quegli anni, svolgendo in definitiva una funzione intimidatoria. È questo che oggi viene contestato. Per quanto mi riguarda, alla crisi del linguaggio, che esiste, cerco di reagire non attraverso l'eversione linguistica e lo scardinamento sintattico, ma attraverso un recupero estremamente sorvegliato delle possibilità espressive della parola, sottraendola ai deterioramenti, agli abusi e ai livellamenti dei vari "gerghi" codificati.
B. La scrittura di Pontiggia appare, infatti, "in superficie", quanto di più lontano dallo sperimentalismo: è una scrittura immediatamente godibile, sottilmente ironica, ricca di effetti comici. Pontiggia è uno scrittore che vuole essere letto, che vuole stabilire un rapporto immediato con il lettore. Ma sta al lettore sapere e voler scavare, per leggere e intendere ciò che sta "sotto" la superficie del testo.
P. Di fatto è fondamentale per me l'idea che della "chiarezza" dà Daumal: uno strato di superficie comprensibile dal lettore medio, sotto il quale devono sussistere altri strati più profondi e complessi, non immediatamente percepibili. È questo il tipo di "chiarezza" cui tendo con il mio lavoro.
L'Unità, 23 aprile 1979
Giuseppe Pontiggia, quarantacinque anni, lombardo, ha al suo attivo di scrittore una bibliografia scarna, anche se di qualità, arrivata al grande pubblico soltanto in questi ultimi tempi: Il giocatore invisibile, romanzo dello scorso anno (Premio Selezione Campiello) e La morte in banca. A questo va aggiunta una militanza ormai più che ventennale sulle sponde della critica letteraria e della consulenza editoriale. Per le sue mani e davanti al suo giudizio, come critico, consulente della Adelphi e della Mondadori, collaboratore di Marco Forti per "L'Almanacco dello specchio" e animatore di iniziative letterarie come la "Nuova società di poesia", sono passati i testi di prosa e poesia di almeno due generazioni letterarie italiane, dagli albori del ruggente fenomeno etichettato come "neoavanguardia" fino a oggi.
BIONDI Che cosa ha dunque significato, per la letteratura e la cultura italiana, il fenomeno "neoavanguardia"? Quanto ne è rimasto oggi e quanto invece se ne rifiuta o contesta, e quanto o che cosa ha significato per lo scrittore Pontiggia.
PONTIGGIA La neoavanguardia ha dato alla nostra cultura la coscienza critica dei nessi tra linguaggio e società, dei rapporti tra scrittura e ideologia. Ha importato e approfondito nuove metodologie critiche. Ha identificato l'esistenza dell'alienazione linguistica, di una crisi del linguaggio. Cosa che resta valida e importante ancor oggi. È anche vero però che molte delle teorizzazioni della neoavanguardia erano a loro volta un sintomo anziché una terapia del male che volevano curare: l'alienazione linguistica che rispecchiava quella della società. E purtroppo a volte ciò che avrebbe dovuto riflettere una cautela storicistica, si è voluto invece imporlo come "norma" se non come "dogma" della letteratura di quegli anni, svolgendo in definitiva una funzione intimidatoria. È questo che oggi viene contestato. Per quanto mi riguarda, alla crisi del linguaggio, che esiste, cerco di reagire non attraverso l'eversione linguistica e lo scardinamento sintattico, ma attraverso un recupero estremamente sorvegliato delle possibilità espressive della parola, sottraendola ai deterioramenti, agli abusi e ai livellamenti dei vari "gerghi" codificati.
B. La scrittura di Pontiggia appare, infatti, "in superficie", quanto di più lontano dallo sperimentalismo: è una scrittura immediatamente godibile, sottilmente ironica, ricca di effetti comici. Pontiggia è uno scrittore che vuole essere letto, che vuole stabilire un rapporto immediato con il lettore. Ma sta al lettore sapere e voler scavare, per leggere e intendere ciò che sta "sotto" la superficie del testo.
P. Di fatto è fondamentale per me l'idea che della "chiarezza" dà Daumal: uno strato di superficie comprensibile dal lettore medio, sotto il quale devono sussistere altri strati più profondi e complessi, non immediatamente percepibili. È questo il tipo di "chiarezza" cui tendo con il mio lavoro.
L'Unità, 23 aprile 1979