Scrive di: Piergiorgio Odifreddi

I. Intervista su: “Il matematico impertinente” (2005)
II: Intervista su: “Il matematico impenitente” (2008)
III. Conversazione su: “La Via Lattea” (2008)

© Mario Biondi
Divieto di riproduzione integrale
e obbligo di citazione (per cortesia...)

Il titolo — Il matematico impertinente — dà un’idea dello spirito dell’autore, che nelle sue scorribande attraversa in lungo e in largo i territori (infiniti?) della galassia logico-matematica e dei suoi pianeti. Sono saggi, articoli, riflessioni e osservazioni sui temi che sono congeniali a Odifreddi, ma questa volta si aggiungono divagazioni sulla religione, l’attualità politica, la lingua e la letteratura. L’occhio del logico e del matematico osserva i fenomeni e gli uomini, ma è un occhio freddo, capace di vedere le cose senza pregiudizi, di osservare (e giudicare) eventi socio-politici in senso lato con oggettività. Lo sguardo sul presente si alterna a ricognizioni sul passato: ogni capitolo si apre con un’intervista impossibile a un grande protagonista della Storia: Aristotele, Archimede, Newton, in cui l’autore dà il meglio di sé per ironia e arguzia. Ma nel lungo percorso di questo libro si incontrano anche Galileo, Einstein, Newton, gli scacchi, la magia, i computer e altre scientifiche diavolerie. Un viaggio di esplorazione nel segno di una logica che viene assunta a paradigma e metafora della corretta igiene mentale.


D. Vorrebbe spiegare a chi non ha ancora letto il libro il significato dell’aggettivo «impertinente» del titolo?

R. Impertinente significa, nel linguaggio comune, “arrogante” e “insolente”, ma letteralmente è soltanto chi “non appartiene”. Io sono effettivamente un po’ arrogante e insolente, più per gioco che per natura, ma sono anche e soprattutto non-appartenente: alla politica, alla religione e alla filosofia imperanti. Quelle, per intenderci, di Berlusconi, Bush e Benedetto XVI da un parte, e di Cacciari, Reale e Severino dall’altra. Ma sono anche, e sopra ogni cosa, un matematico: dunque, appunto, un matematico impertinente.

D. Non soltanto “impertinente”, aggiungerei io, ma a larghi tratti “sdegnato” (e giustamente “sdegnato”). Sta tornando una nuova stagione dell’”impegno”, come si chiamava quando avevo vent’anni io, negli anni Cinquanta-Sessanta del purtroppo ormai scorso secolo? Ne sarei soltanto felice.

R. Io spero proprio di sì. Perché ormai certi presidenti e certi papi hanno alzato la cresta e la tiara, e posizioni che qualche anno fa sarebbero soltanto apparse ridicole, oggi sono ridiventate di moda, se non maggioritarie. E se da una parte si torna all’imperialismo e al fondamentalismo, dall’altra parte è necessario tornare allo sdegno e all’impegno: quello di Russell e di Chomsky, prima di tutti, che sono appunto i miei modelli.

D. Tante interviste reali, ma altrettante immaginarie a Dante, Aristotele, Archimede, Newton. Addirittura a Hitler e Gesù. Come le ha elaborate?

R. Da vari anni ho messo insieme una bella collezione di interviste a “menti straordinarie” di ogni genere, che un giorno raccoglierò e pubblicherò, e alcune delle quali stanno alla fine dei vari capitoli del mio libro. Ma a volte mi sono rammaricato perchè oggi non si possono più intervistare le menti straordinarie del passato. Così ho pensato di farlo ugualmente in maniera immaginaria, ma realistica: le risposte sono rigorosamente tratte dai testi originali, o dai fatti storici, e io le ho solo ricucite insieme, in una sorta di dialogo anacronistico.

D. Guerra senza quartiere all’irrazionale, dunque. «Il sonno della ragione crea mostri» eccetera. E sono d’accordo, anche se qualche piccolo spazio all’ispirazione (invenzione) lo lascerei. Non può essere che qualche manifestazione ritenuta “di irrazionale” sia invece semplicemente qualcosa di ancora non spiegabile con gli strumenti attuali della scienza?

R. Ma ci mancherebbe! Gli scienziati in generale, me compreso, non sono affatto contrari all’umanesimo e all’ispirazione! Noi chiediamo soltanto par condicio: cioè, che alla ragione e alla scienza vengano date l’importanza e il ruolo che loro competono, e che esse siano considerate complementari, e non certo contrapposte, all’intuizione e all’arte (alla religione sì, ma quella è solo “letteratura fantastica”, come diceva Borges). Semmai sono gli umanisti, a credere e volere che l’irrazionale sia l’unica misura di tutte le cose, e a pretendere di non lasciare nessuno spazio alla ragione.

D. Non so se un mondo tutto scandito per sestine come un testo letterario di Jacques Roubaud (o per altri perfetti meccanismi matematici) mi entusiasmerebbe. Personalmente preferisco qualche rametto di libertà (e improvvisazione) in più. È in onore del sopra citato matematico-autore (e ovviamente del provenzale Arnaut Daniel) che anche il suo libro si scandisce in sei capitoli?

R. Ohi, ora mi fa venire in mente che il libro avrebbe potuto essere una sestina! Ha ragione, ma non ci avevo pensato, e dunque l’ordine dei paragrafi nei capitoli non rispecchia la costrizione di Arnaut Daniel, come fanno invece i romanzi di Roubaud. Per quanto riguarda invece non il mio, ma il Grande Libro (quello della natura e del mondo, cioè), temo invece che esso sia scandito da regole ferree, molto più complesse di quelle letterarie: sono le leggi della natura, alla cui scoperta si dedica appunto la scienza. E qui le cose stanno come stanno, e non come piacerebbe a noi che stessero…

D. E l’intervista al Dalai Lama? Nel buddismo tantrico e in tutta la cultura dei tibetani - pur con il loro indiscutibile fascino - mi pare ci sia quanto basta di mistico e misterico.

R. Assolutamente! Infatti è il Dalai Lama a essere un buddhista tantrico, non io! Io l’ho solo incontrato, perchè è un personaggio interessante e divertente, e perché è interessato alla scienza e alla logica: c’era dunque un terreno comune sul quale passeggiare, come si vede nell’intervista. Ma lascio a lui le sue pratiche di meditazione, alcune delle quali sono veramente anacronistiche e atopiche: appartengono, cioè, a una civiltà che è da noi distante sia nel tempo che nello spazio, e che sarebbe assurdo voler scimmiottare qui e oggi.

D. Saranno dunque matematici, logici e in genere scienziati a salvarci?

R. Salvarci da cosa? La scienza, la matematica e la logica non sono una via per la salvezza dell’anima, ma solo per la serenità e la sanità mentale, oltre che per la conoscenza del mondo. Senza ragione si finisce nelle mani di loschi figuri, di qua e di là del Tevere, di cui abbiamo tutte le ragioni di volerci liberare, e verso i quali abbiamo tutti i diritti, oltre che il dovere, di essere impertinenti. Dunque, siamolo!


II.

Dopo il successo di Il matematico impertinente, Piergiorgio Odifreddi ritorna a esplorare i territori della galassia logico-matematica e dei suoi pianeti. La sua ultima fatica, Il matematico impenitente, contiene saggi e articoli su temi cari all’autore, cui si aggiungono considerazioni sulla religione, l’attualità politica, la lingua e la letteratura. L’occhio del logico e del matematico osserva i fenomeni e gli uomini, ma è un occhio freddo, capace di vedere le cose senza pregiudizi, di osservare (e giudicare) i più svariati eventi del presente e del passato. Lungo il percorso tracciato dal libro si incontrano Galileo, Einstein, Fermi, Newton, Kant, Dante, gli scacchi, la magia, i computeO. Un viaggio di esplorazione attraverso gli enigmi, i misteri (e talvolta le miserie) dell’intelligenza (artificiale e non), nel segno di una logica che viene assunta a paradigma e metafora della corretta igiene mentale. Il direttore di InfiniteStorie.it ne ha discusso con lo stesso Odifreddi.


MARIO BIONDI. Mi permetta di giocare un po' a fare l'impertinente. "Ciò che è reale è razionale, e ciò che è razionale è reale". Sacrosanto: ma come la mettiamo con i numeri "irrazionali". Come fanno a essere insieme "reali" e "irrazionali"? Il "razionalista" (quorum ego) non si consente qualche generoso margine di impunità?

PIERGIORGIO ODIFREDDI. Oh, non c’è problema a coniugare realtà e irrazionalità: basta guardarsi attorno, per notare che semmai è l’irrazionalità a imperare, nel mondo reale! È stato Hegel, che ha coniato il motto, a illudersi sulla coincidenza tra reale e razionale: ma è una bella illusione, alla quale indulgono anche gli scienziati della natura, almeno fino a quando non hanno a che fare con gli uomini…

B. È senza dubbio inquietante che qualcuno abbia ritenuto di dover ponzare su certi strilli di G. Semerano, secondo il quale l'infinito, più che essere "polveroso", rimanderebbe tanto per cambiare al fatidico "polvere tu sei e in polvere tornerai" del Genesi, mettendo così in riga l'ápeiron di Anassimandro. Ma che cos'è l'infinito? Lo Spazio-Tempo è "infinito" o "finito"? Dov'è la "ratio", ovvero la "misura"?

O. L’infinito si può intendere in due modi diversi e antitetici: come potenzialità della realtà, o come limitazione della conoscenza. Stranamente, quest’ultima concezione è proprio quella della matematica moderna, che considera i vari infiniti coi quali ha a che fare come un segno della limitatezza del nostro pensiero. Ciò detto, non sappiamo ancora se l’universo sia soltanto illimitato, ma finito, oppure veramente infinito: e forse questa è un’altra manifestazione della nostra limitazione (speriamo temporanea).

B. Secondo lei la matematica dev'essere mostrata nella "sua vera veste di Regina delle Scienze e dell'Umanesimo". Assolutamente d'accordo. Quindi temo di essere del tutto in disaccordo con la riduzione dell' "umanistico" a "mitologico, religioso, filosofico". Nient'altro? Niente di più? Non ho mai capito se sia davvero lo spirito "umanistico" a porsi in contrasto con quello "scientifico", o non viceversa.

O. Non credo che ci sia contrasto o contrapposizione, fra i due “spiriti”: piuttosto, direi, complementarità. In fondo, essi sono l’espressione dei due emisferi del nostro cervello (il pensiero scientifico del sinistro, e il pensiero umanistico del destro), e non è un caso anzitutto che abbiamo due emisferi, e poi che essi siano collegati fra loro, e non agiscano indipendentemente!

B. Avendo pubblicato 12 romanzi, mi sono sempre ostinatamente definito un (buono o cattivo) "narratore". Per un paio di miei romanzi ho addirittura usato qualche concetto matematico, numeri primi eccetera. Ma niente di più di "qualche concetto", su cui poi lavorare con la fantasia, perché non sono così sicuro che i giochi matematici producano vera "narrativa". Non crede che la gabbia del gioco matematico possa porre limiti fatali alla fantasia, all'invenzione, insomma alla "fiction"?

O. Vorrei rispondere citando Queneau, che diceva: “il classico che segue regole formali è più libero del poeta moderno che scrive ciò che gli passa per la testa, ed è schiavo di regole che non conosce”. Ma per non eludere la domanda, direi che la letteratura, e più in generale l’arte, permettono due approcci: quello classico e strutturale, appunto, e quello romantico e destrutturato. Immagino che sia una questione di gusti sia per chi produce, che per chi consuma, privilegiare l’uno o l’altro.

B. Lei scrive che per "l'umanista vecchio stampo… la realtà coincide con la finzione letteraria". Guardi che è molto di più: il "narratore" è convinto di creare una "realtà altra" (ma non per questo meno "razionale") rispetto a quella "reale". La finzione letteraria è la "sua" realtà. Così facendo (e "ragionando"), il "narratore" pensa di levare una piccola sfida a Dio e alla sua realtà. L'ho letto in tanti bestelleristi, ma soprattutto nel sommo Isaac B. Singer, forse il più ostinatamente e coerentemente scientifico dei gradi narratori. Sono (siamo) matti?

O. Non credo che siate matti: più semplicemente, siete irreali, nel senso letterale. In fondo, ciò che distingue la scienza dalla letteratura è che la prima si interessa dell’unico mondo che c’è, e la seconda crea da sé i propri mondi immaginari. Ma vorrei far notare che, da questo punto di vista, la matematica sta più dalla parte della letteratura che da quella della scienza: in fondo, non le interessa altro che la mancanza di contraddizioni, e non il fatto che i suoi sogni siano realizzati dall’incubo reale.

B. Il grande matematico Gödel (il più grande di tutti, si dice) pare che a un certo punto sia effettivamente diventato matto. È per questo che si è avventurato nella sua "prova ontologica" dell'esistenza di Dio?

O. Godel manifestò sintomi di squilibrio molto presto, subito dopo i suoi famosi teoremi degli anni 1930-31. Ma non bisogna essere matti per considerare seriamente la prova ontologica: basta voler cercare di fondare la religione sulla ragione, ed è ciò che hanno provato a fare in molti, da Anselmo a Cartesio a Leibniz. Ed è proprio perché trovò un errore nella versione di quest’ultimo della prova ontologica, che Godel provò a correggerlo: ma non pubblicò mai la sua dimostrazione, perché voleva evitare di dare l’impressione che ci credesse veramente. O, almeno, questo è ciò che dichiarò in seguito.

B. È probabilmente vero che "un bel silenzio non fu mai scritto", ma non crede che le buone intenzioni di chi si è opposto alla lezione universitaria di Joseph Ratzinger si siano alla fine convertite in un rimbombante e colossale aiutone al medesimo?

O. Non si sono convertite: sono state convertite! È stato il Vaticano a cavalcare la lettera dei fisici, scritta molto tempo prima e formulata come una semplice protesta, e non come un appello al boicottaggio. Ma si sa che se c’è qualcuno in mala fede, sono proprio i preti. Anche se io sarei più propenso a dire che la fede è sempre “mala”, e che la buona fede non esiste, perché non sarebbe altro che la ragione…



III.

Tra il 24 aprile e il 26 maggio 2008, il "matematico impertinente" e "ateo impenitente" Piergiorgio Odifreddi ha percorso con il cattolico Sergio Valzania il celebre Cammino per Compostela. Per tutto il mese e passa di viaggio i due hanno dibattuto e si sono punzecchiati animatamente e con spirito, oltre che con fine cultura. In Spagna e in Portogallo la galassia che gli antichi chiamavano Via Lattea si chiama Cammino di Santiago perché indica la via che da ovest a est porta al luogo della supposta sepoltura dell'apostolo Giacomo. Ma La Via Lattea è anche stato il titolo di un celebre film di Buñuel, il cui spirito sulfureo fa più volte capolino tra le righe. Da quella lunga camminata con discussione sono nati una serie di trasmissioni radiofoniche e un libro a due voci, o meglio a tre, visto che per alcuni giorni al vigore polemico di Odifreddi si è affiancato l'argomentare pacato di Franco Cardini, storico e habitué del Cammino. Su questa variante cartacea di La Via Lattea Mario Biondi ha avuto una conversazione internautica con Piergiorgio Odifreddi.

MARIO BIONDI Questa versione cartacea di La Via Lattea è davvero molto divertente e istruttiva. Oltre a regalarmi tanto buon sangue attraverso parecchie sane risate, infatti, a me ha insegnato diverse cose, ma in particolare una, anzi due. Primo: che senza saperlo ho fatto anch'io il Cammino di Santiago. Secondo: che i miracoli esistono. Quasi 40 anni fa, quando ancora tentennavo in cerca di una direzione per i miei viaggi, dopo aver provato il nord, il sud e l'est, un bel giorno mi sono diretto a ovest con la mia automobile per andare a vedere la fine dell'Europa da quella parte. Così facendo ho raggiunto e visitato la cattedrale di Santiago, che nel mio agnosticismo congenito non sapevo fosse alla fine di un Cammino. Ma se, come ho appreso dalla vostra esperienza, qualche pezzo a scelta del Cammino può essere fatto in auto, allora secondo me si può scegliere di farlo tutto così. Quindi io l'ho fatto e merito un bel po' di indulgenze, anche se serviranno a ben poco. Ma la cosa più importante è che, mentre visitavo perplesso quel chiesone, che a me è parso francamente piuttosto brutto, mi sono accorto di non avere con me il tremendo borsello che ci si portava dietro allora con dentro tutto: passaporto, soldi, sigarette, chiavi, altre cose precauzionalmente utili e/o dilettevoli. Con il cuore in gola mi sono precipitato alla balaustra del terrazzo. E laggiù, in mezzo al mare di auto parcheggiate, benignamente adagiato sul tetto della mia, ecco, visibilissimo al mondo intero, il borsello con tutte le mie sostanze. Credo, per raggiungerlo, di aver stabilito diversi record mondiali non ufficiali di velocità. Afferratolo, ho constatato che era intatto, dopo essere rimasto lì un'oretta. Fino ad adesso l'avevo considerato un gran colpo di, diciamo, fortuna. Adesso, invece, dopo la lettura di La Via Lattea, ho deciso che è stato un miracolo. Dimmi che non è così.

PIERGIORGIO ODIFREDDI Non è stato un miracolo! Piuttosto, la dimostrazione che la fede fa perdere la testa, e che i pellegrini che arrivano a Santiago sono così scoppiati, che non si accorgono nemmeno se uno dimentica il suo portafoglio per strada. Un laico in forma come me, invece, che a Santiago stava ottimamente e non aveva la mente ottenebrata, non te l’avrebbe fatta passare liscia. Dunque, ringrazia il cielo che ci sono pochi laici, almeno a Santiago…

MB. Mi tocca ribadire che, quando sono arrivato a Santiago de Compostela nel 1971, oltre a non avere alcuna fede, come per altro adesso, non sapevo nemmeno che esistesse un Cammino che porta fin là, per cui non potevo essere un pellegrino. Scoppiato o meno, ero beatamente trentenne e diretto a cose molto più umane e terragne. A te invece un miracolo, per quanto minimo, sembra proprio sia capitato. Addirittura colpito da una goccia di acqua santa senza sfrigolare e senza esserne deturpato...

PO. Ho detto nel libro che quello che al mio compagno di viaggio è sembrato un miracolo, cioè il fatto che una goccia d’acqua benedetta non abbia avuto nessun effetto sulla pelle di un ateo, a me è sembrato invece la conferma del fatto che i credenti sono sempre pronti a gridare al miracolo, quando in realtà non succede proprio niente. E non solo in quel caso, ma in generale.

MB. Che cosa significa, precisamente: "uno solo di noi due ha ragione, mentre l'altro ha torto"? Non potrebbe esserci un piccolo "concorso di colpa" ovvero un po' di torto (o di ragione) in entrambi?

PO. Potrebbe, se entrambi dicessero cose complementari. Ma un credente e un ateo dicono invece cose contraddittorie fra loro, ed è per questo che solo uno può avere ragione, o torto, “per la contraddizion che nol consente. Tu non sapevi ch’io loico fossi?”

MB. Intanto però i tuoi compagni di pellegrinaggio, fissi o aggiunti, ti hanno fatto frequentare un sacco di chiese. Ne hai avvertito qualche conseguenza?

PO. Non un sacco: qualcuna. Ma le chiese le frequento anche da solo, quando viaggio: spesso sono luoghi che trasudano arte, e sarebbe sciocco non andarci per un partito preso (o una fede non presa). Comunque, frequento anche un sacco di moschee e templi, nei posti esotici che visito nei miei viaggi, e con le stesse conseguenze: cioè, nessuna.

MB. Quali sono stati il momento più alto (in senso spirituale) e il più basso di tutta la sgambata?

PO. Il momento più alto è la comunione con la Natura: visto che Spinoza la identificava con Dio, immagino che sia anche un momento di spiritualità. Il più basso è stato l’inizio, quando una tendinite al ginocchio che mi ero autoprocurato in allenamento, mi ha fatto temere che non sarei stato in grado di continuare il Cammino, e che avrei dovuto tornare anzitempo. Immagino che fosse un tentativo di boicottaggio tentato dall’alto, ma non sembra aver avuto successo.

MB. Chi è stato più modificato dall'esperienza, tu o gli altri due? O magari nessuno? Nel qual caso, è servita a qualcosa?

PO. Per i miei due compagni di viaggio, non posso parlare. Io sicuramente ho beneficiato del mese di camminate e di vacanza, e sarei pronto a ripartire. Anche se preferirei un’altra meta e un altro cammino, per variare un po’.

MB. Ipotesi future di altre esperienze di Via lattea?

PO. Abbiamo parlato della possibilità di fare un cammino perpendicolare, che invece di andare a Santiago da est a ovest, ci vada da sud a nord, partendo dall’Andalusia. E anche di un antico pellegrinaggio giapponese, il cui nome paragona i pellegrini a formiche. Ma il mio vero sogno sarebbe di andare sulla Luna, o almeno attorno a essa: lo sogno da quando sono adolescente e ho assistito alle missioni Apollo, ma temo che quello sarà più difficile da realizzare: se ci riuscissi, prometto solennemente di convertirmi al culto di Apollo e di ammettere che esistono i miracoli…
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