Scrive di: Jim Thompson

Recensione: “Colpo di spugna” (1987)

© Mario Biondi
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e obbligo di citazione (per cortesia...)

Ricordate i botti, gli schianti, i disastri di Getaway, di Sam Peckinpah? Venivano, come tutto il film, da un uguale florilegio di eventi sensazionali contenuti in un romanzo di Jim Thompson. Chi era costui? Un signor scrittore americano, autore di ventinove romanzi, nato nel 1906 e morto settant’anni più tardi, con il suo bel curriculum di gioventù maledetta, di libertarismo, di roosveltismo, di alcol, di — in definitiva — successo.

Ora la Longanesi, che già anni or sono aveva pubblicato un altro romanzo di Thompson nei Gialli proibiti, torna ad offrirlo nella crepitante, magnifica traduzione di Attilio Veraldi. State a sentire: «creare poesie sulla piscia che scroscia negli orinali e sugli uccelli nei temporali e sui pirla coi genitali e...» Gongorismi. Poesia pura. Di un poeta mancato, ovvero, nella fattispecie, di Nick Corey, protagonista di Colpo di spugna, poeta mancato in quanto sceriffo a pieno servizio in una cittadina di milleduecentottanta anime (Pop. 1280 ne è infatti il titolo americano) del sud degli Usa, alla fine della Grande Guerra: milleduecentottanta, naturalmente, senza contare i negri, che l'anima non è chiaro se ce l'abbiano o meno.

Un successo particolare, un successo nel mondo pulp, ovvero delle storie che piacciono al larghissimo pubblico e lasciano i signori critici letterari tra le loro ragnatele, ad aspettare di poter parlare di riproposte e riscoperte con anni di ritardo. Più di dieci dopo la sua onorevole scomparsa, anche Jim Thompson viene dunque riscoperto in Italia, sull'onda d'urto provocata dalla sua riproposta negli Usa. E viene riscoperto con un fulminante romanzo, Colpo di spugna, (Longanesi, 204 pagine, 20.000 lire, preziosa postfazione di Guido Almansi, ricchissima di umori), già pubblicato una ventina di anni fa dalla Mondadori per benemerita iniziativa di Laura Grimaldi. E già da tempo diventato film anch'esso: infatti il titolo italiano riprende quello della trasposizione cinematografica che dal romanzo ha tratto qualche anno fa Bertrand Tavernier, che ne ha spostato l'azione in Africa, pur rispettando con cura la trama.

Nick Corey un margniffone che si arrabatta a cercar di mantenere il proprio posto facendo il meno possibile, e apparentemente anche poco sveglio. Se vuole risolvere un caso spinoso, sembra che debba rivolgersi allo sceriffo della vicina città grande (sui quattro-cinquemila abitanti). Ma a mano a mano che la vicenda prosegue, con ammazzamenti, rodomontate, inghippi e tradimenti (ma soprattutto con moltissimo sesso, pantagruelicamente praticato dal medesimo Corey con almeno un trio di dame), si scopre che tanto scemo in definitiva il buon Nick non è. Anzi, proprio facendo finta di esserlo che se la cava benissimo, mettendo gli uni contro gli altri, compiendo orrende abiezioni di vario genere e combinando il tutto in modo che la colpa vada sempre a ricadere su teste altrui, arrivando infine addirittura a far eliminare tra di loro due delle tre dame, in modo di poter godere in pace della terza, la quale per, a sua volta...

Eh be', il lettore arrivi da solo fino in fondo. E scoprirà molte cose. Tra le quali, per prima, la qualità della scrittura di Jim Thompson, che ha fatto parlare di Celine, ma che invece, essendo cugina di quella di Henry Miller, rimanda a Damon Runyon, e per la struttura delle sue storie, per la quale si tirano in ballo Chandler e Hammett (giustamente), ma si dimentica (ingiustamente) Ring Lardner. Un'esplosione di invenzioni linguistiche, di corruzioni, di stravolgimenti, che va di pari passo con quelli che rendono incandescente la storia raccontata. Comicità formidabile, come nella soluzione dei vari inghippi in cui Nick si è andato a ficcare, o nello stratagemma per il cui tramite fa eliminare un cesso pubblico sotto casa che dà molto fastidio alle sue narici, o nel modo in cui si libera del concorrente alla carica di sceriffo, quella carica che, in definitiva gli impedisce di essere poeta. Gag impagabili, come l'apologo che spiega come mai i cani si annusano il didietro, oppure le spiegazioni fornite da Nick a proposito di una certa canna da pesca, che potrebbe servire a tutto — come per esempio a grattarsi il sedere mentre si è appollaiati su un albero, e dunque da terra non ci si arriva, oppure ad agganciare un po’ di cacca volante —, tranne che a pescare. E così via.

Ma anche tanta filosofia amara, spruzzata qua e là tra le pagine, senza parere, per il lettore serio, quello che non pratica la lettura trasversale. Tante considerazioni su chi comanda e su chi è comandato, su chi è bianco e su chi è nero, su chi lavora e su chi fa lavorare. «Chiunque infrange la legge d'ora in poi avrà a che fare con me», dichiara infatti a un certo punto, tutto impegolato nel suo gioco delle parti. «Ammesso, naturalmente, che sia o un tipo di colore o un povero bianco disgraziato che non è in grado di pagare le tasse.»

E, ciliegina sulla torta, altri autentici sprazzi di micro-poesia. Come nella descrizione della sera che si legge a pagina 80. Cantano i grilli e li accompagna una serie di rumori magistralmente resi con altrettanti suoni onomatopeici. Il rospo, la pompa dell'acqua. Una madre chiama il figlio. «E nell'aria c'era l'odore della terra bagnata di fresco, più o meno l'odore più bello che ci sia.»

(Europeo, 1 agosto 1987)
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