Ai primordi dell’epopea dei “pionieri” western

John Fenimore Cooper, Zane Grey e Willa Cather. Senza dimenticare Walt Whitman…

(aprile 2024)

© Mario Biondi
Divieto di riproduzione integrale
e obbligo di citazione (per cortesia...)

Un mattino di Marzo 1976 salivo per la prima volta da dipendente, con passo titubante, alle redazioni della Longanesi & C. nella sede storica di Via Borghetto 5, a Milano. Perché “titubante”? Perché non ero affatto convinto di aver fatto bene ad accettare quell’offerta d’impiego. Ma la situazione economica generale era tutt’altro che rosea e, dopo la messa in liquidazione della gloriosa Sansoni di Firenze — con cui il mio rinomato ruolo di Responsabile dell’Ufficio Stampa e Comunicazioni era svanito nel nulla, lasciandomi a fronteggiare alcuni mesi di disoccupazione, più il corollario di un trasloco a ritroso da Firenze a Milano —, non avevo molta scelta.

Nelle mie ottimistiche visioni del futuro c’era caso mai la gloriosa Bompiani, ormai non più del conte Valentino se non pro forma, dove un amico — Leo Paolazzi, in arte il poeta Antonio Porta — aveva cercato di far da tramite, ma la risposta, in un primo tempo positiva, si era inopinatamente trasformata in negativa. «Filippini preferisce avere all’Ufficio Stampa una donna», mi aveva frettolosamente, e con grande imbarazzo, spiegato Leo, lasciandomi di sasso (e gravemente preoccupato oltre che sempre disoccupato). Insomma, avevo bisogno di un posto di lavoro con relativo stipendio, e c’era poco da fare lo schizzinoso.

Però davanti al marchio Longanesi titubavo: le notizie sulla solvibilità generale dell’azienda erano tutt’altro che rassicuranti, e un nuovo salto nel buio dopo quello appena fatto quasi sei anni prima lasciando Einaudi per Sansoni… Ma soprattutto io ero alla perenne caccia di romanzieri: promuovendo i loro libri e incontrandoli anelavo a imparare. A onta dei cervellotici ukase di Gruppo Sessantatré e accoliti vari, governati con mano militare dal pesce lesso Balestrini e dalla feroce proboscide umana denominata Manganelli, il romanzo era la mia fissazione. Alla Sansoni latitavano, se non in forma di super classici tradotti così così, ma ce n’erano nel catalogo Longanesi? Italiani non mi sembrava proprio, o perlomeno non nell’ambito delle mie fissazioni. E americani? Quali?

L’ufficio cui fui introdotto in Via Borghetto, abbandonato da alcuni anni a impolverarsi, era stato del bislacco Nico Naldini e brulicava di suoi ricordi: cartoline Ottocento con danzatrici del ventre, stampe di dubbi lupanari orientalisti, foto con autografi (in genere lascivamente allusivi e apocrifi) di Comisso (e anche, mi par di ricordare, di Henry Furst, “il Cardinale”, in falso abito talare), una discinta Comtesse de Noaille spacciata per Goffredo Parise… E negli scaffali erano rimasti i libri Longanesi da lui promossi e poi lasciati lì, da John Barth in su o giù. 

John Barth, L’opera galleggiante… Va be’. Ah, ecco, guarda, anche Damon Runyon. E Ring Lardner. Quanto ridere, da ragazzino, ma preistoria: ginnasio o giù di lì. Poi un bel po’ di Henry Miller. Un mio idolo, certo — altro che Bukowski —, ma, a parte certi irrefrenabili pruriti adolescenziali indotti da Plexus, per me il suo insuperabile capolavoro era Paradiso perduto, con l’iconico scroccone Moricand, di cui scopiazzavo senza vergogna gli atteggiamenti. Ma Moricand lo aveva pubblicato Einaudi… Ah, perché ero andato via nell’ormai remoto 1969? Lo stesso dolorosissimo giorno della strage di Piazza Fontana, tra l’altro…

Inutile e addirittura malsano rivangare: accanto a questi autori, negli scaffali longanesiani di Nico Naldini c’erano prima di tutto Willa Cather ed Eudora Wealthy. Mai sentite. Oltre a una sfilza di guerrafondai, giallisti e western, ovvero la passione di Mario Monti, signorilissimo ed evanescente editore e proprietario, guai a toccarglieli… Ho sempre detestato la guerra (l’ho  vissuta…) e avuto una discreta  idiosincrasia per i gialli, anche prima che per cromatica ispirazione si transustanziassero in “noir”, sapevo a stento chi fossero Dashiell Hammett e Raymond Chandler, figurarsi gli autori western. Zane Grey, Louis L’Amour? Bah.

Comunque, insomma, a parte gli obblighi di consultazione imposti dalla serietà professionale, i romanzieri c’erano. Difficile capitasse ancora di promuoverli, ma era d’obbligo leggerli. Cominciai con Willa Cather, La mia Antonia. Nell’ufficio di Naldini c’era la traduzione in italiano, sicuramente ottima, di Gabriele Baldini, ma io ho sempre avuto le mie fisse: dove trovare un originale My Ántonia, a quei tempi? Mi informai con cautela presso la signora Perotti Bollani, minuscola, onnisciente, cortesissima, splendida cariatide dell’Eretteo longanesiano. 

Mi guardò dal giù in sù sopra gli occhialetti: naturale che c’era un archivio degli originali, purché garantissi di restituire il venerando libro e lo tenessi per breve tempo. Non ne era del tutto fiduciosa. Ma quanto mi sarebbe stata preziosa, in seguito, nei quattro anni circa fino a quando venne a salutarmi in lacrime, pensionata d’ufficio a causa del disastro aziendale non certamente provocato dal suo certosino lavoro. Garantii mettendomi una mano sul cuore, portai a casa il romanzo e cominciai a leggerlo. Proprio “Ántonia” con l’iniziale accentata, scoprii subito, essendo la protagonista una tenace ma poverissima migrante boema.

E l’immagine di questa famiglia priva di quasi tutto, a parte figli e Vangelo cattolico, che si istalla, anzi praticamente si scava la tana nel riarso suolo del MidWest nordamericano mi richiamò subito alla mente altre immagini. Altri migranti privi di tutto, a parte figli e Bibbia protestante, aiutati, quella volta, non da un ragazzino vicino di casa, ricco di immaginazione e buona volontà, ma da un anzianissimo e incallito uomo della frontiera, il trapper Natty Bumppo. Sissignori, l’ormai coriaceo Calzadicuoio nella sua ultima, iconica avventura di esploratore della frontiera, prima di lasciarci ottantenne.

Fatte le debite proporzioni e modifiche, ecco lì sulla pagina i personaggi di un  romanzo di Fenimore Cooper trasferiti in una nuova avventura: da The Prairie (1827) a My Ántonia (1918).  Ovvero, nelle due vicende, dagli eroici inizi dell’Ottocento agli stenti della fine dello stesso secolo. Pur nelle differenze di territorio (non rilevanti), religione, cultura e lingua (gigantesche, epocali), i boemi di Willa Cather sono gli eredi diretti degli anglofoni Bush-Wade-White di Fenimore Cooper.

Mentre per converso la famiglia del coprotagonista Jim Burden, così perbene e politicamente corretta, addirittura salvifica nei confronti dei nuovi venuti boemi, discende quasi direttamente da un’altra benevola e benestante famiglia dello stesso Fenimore Cooper: quella del giudice Temple e di sua figlia Elizabeth (The Pioneers). Alle cui vicende assiste e presiede Natty Bumppo, padre di tutti i “cavalieri solitari” del selvatico West, da appunto Calzadicuoio a Conagher a Shane (Jack Schaefer) al malinconico, sfortunato John Grady di McCarthy (All the Pretty Horses e poi Cities of the Plain). Per inciso, la traduzione in italiano del titolo Conagher (Louis L’Amour) è stata resa come Il vento cade a Ladder Five, laddove Ladder Five non è affatto un luogo ma la banda di cinque gangster (five) contro cui l’onesto Conagher combatte strenuamente. Pazienza…

I mormoni, infine. Diversi studiosi rimandano alle similarità tra il pensiero (e anche gli scritti) di John Fenimore Copper e quelli del fondatore del movimento mormone, Jospeh Smith. Si fa addirittura notare che sia The Spy (1821) sia The Pioneers (1823) sono ambientati dalle parti di Otsego, non lontano dalla dimora del fondatore del movimento e divulgatore del suo testo fondamentale, il Book of Mormon, a suo dire una trascrizione del testo autentico in cui l’antico profeta-storico Mormon avrebbe trasmesso ai posteri le vicende di un’antica civiltà nord americana scomparsa. Aveva avuto una visione, Joseph Smith, in cui gli era stato rivelato il nascondiglio delle preziose tavole d’oro su cui era inciso il testo di Mormon. Visione manifestatasi pochi mesi dopo l’uscita di The Pioneers.

Smith aveva letto questi libri? A ispirarlo era stata la visione che Cooper aveva dei locali indigeni, visti come “nobili selvaggi”: erano questi ultimi i discendenti del popolo raccontato su lastre d’oro dal profeta Mormon? E che dire, se non proprio del disprezzo, almeno della scarsa considerazione manifestata in genere nei confronti delle donne dai rudi personaggi maschili di Cooper, e in particolare appunto da Natty Bumppo? Chi, nei cinque romanzi della sua saga ha mai il benché minimo sospetto che, non diciamo addirittura si accoppi con una femmina, ma se non altro le si accosti? L’unica volta che sembra veramente fatta, alla fine di The Pathfinder, l’incrollabile trapper scappa a gambe levate in preda a terror panico. 

I mormoni lui non li conosce nemmeno, muore un ventennio prima che essi compaiano, ma anche per lui le donne servono precisamente a quello che dicono quei santoni, a generare figli (non sono neanche particolarmente brave a cucinare). Ma nella letteratura del West nordamericano i mormoni continueranno a fare capolino, profumati di leggenda secondo Willa Cather (quei mirabili girasoli che ne avrebbero tracciato la via dell’esilio) o visti come puramente perfidi da Zane Grey (Riders of the Purple Sage), giù giù fino al ragazzo Bill, stupefatto sulla via del ritorno dal Messico davanti alle elucubrazioni mistico-gnostiche dell’ex mormone poi prete poi “se stesso” inventato da Cormac McCarthy in The Crossing.

Willa Cather pubblica O Pioneers! nel 1913. James Fenimore Cooper aveva pubblicato The Pioneers nel 1823. Quasi precisamente in mezzo, 1865, c’era stato Walt Whitman con il suo “Pioneers! O pioneers! O you, youths, western youths…

P.S.
Discettando sui rapporti tra i "pionieri western" della grande Willa Cather e quelli del grandissimo James Fenimore Cooper, credevo di aver fatto una scoperta interessante. Dopo qualche giorno, della stessa autrice mi sono messo a leggere Death Comes for the Archbishop (La morte viene per l'arcivescovo). Ed ecco che cosa dice già nelle prime pagine il cardinale spagnolo incaricato di mandare in Nuovo Messico (per lui Nuova Spagna) quell'Arcivescovo…
“My knowledge of your country is chiefly drawn from the romances of Fenimore Cooper”…

Molto interessante, inoltre, gli occhi con cui il vescovo raccontato dalla Cather (personaggio storico autentico) vede Nuovo Messico e Messico mentre li attraversa in sella. Non può non venire in mente Cormac McCarthy, che viene sessant'anni dopo…
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