© Mario Biondi
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e obbligo di citazione (per cortesia...)

Scoppierà anche in Italia il «ciclone Bukowski»? Pare proprio di si, a giudicare dall’enorme successo avuto lo scorso anno dalla ristampa tascabile (Feltrinelli) della sua opera più nota, quelle Storie di ordinaria follia passate quasi del tutto inosservate nell’edizione del 1975. Ma procediamo con ordine e diciamo chi è Charles Bukowski. Anzitutto non lo si confonda con l’altro, Vladimir, che milita nelle file della dissidenza sovietica. Charles Bukowski, nato un po’ meno di sessant’anni fa in Germania, è uno scrittore targato California.

California: culla del movimento beat e di tutto ciò che, in letteratura come nel costume, ne è conseguito. A Big Sur abita Henry Miller, grande padre di tutti i beat del mondo, e ci è stato anche Jack Kerouac; a San Francisco, Lawrence Ferlinghetti ha aperto la sua libreria e casa editrice «City Lights» per pubblicare se stesso e Ginsberg e Corso ecc. Charles Bukowski asserisce di avere cominciato a scrivere a 35 anni e da allora ha messo assieme una trentina di titoli, tra prosa e poesia, che dopo essere passati molto inosservati dentro gli Usa come fuori pare siano esplosi di colpo, regalando all’autore una notorietà imprevista insieme a cospicui redditi che c’è da pensare verranno convertiti in un'altrettanto cospicua quantità di liquori vari e assortiti.

Almeno, a giudicare da quanto scrive il Nostro e da una sua esilarante o terrificante esibizione, qualche tempo fa, alla Tv francese, dove si è presentato brandendo un certo numero di contenitori di vino che si è scolato in diretta, coprendo nel frattempo di insulti il moderatore, i presenti, gli spettatori, la letteratura, il mondo e non so cosa altro.

Comunque: successo tardo ma clamoroso in tutto il mondo e gara per tradurlo e pubblicarlo. Fu vera gloria? Chi lo sa? Personalmente ho dei dubbi. Ampie riserve le ho già espresse a proposito delle Storie di ordinaria follia e ancora più ampie le devo esprimere dopo avere letto le prose del Taccuino di un vecchio sporcaccione, splendidamente tradotto e ottimamente introdotto da Carlo A. Corsi.

Un tripudio di alcool, sesso, follia, autobiografia, rabbia, crudeltà, nella prosa funambolica di Bukowski. Anche tanto divertimento e slanci di straordinaria invenzione. Ma anche parecchia noia, molti autentici crolli nel già visto (e già letto). Troppa nostalgia di Hemingway, troppo Kerouac e Burroughs (che lui dice di detestare), e soprattutto troppo Henry Miller, da cui attinge a piene mani. C’è tanto di quel Miller in Bukowski che persino le loro biografie si assomigliano. Miller ha fatto l’impiegato di una compagnia di telegrafi e Bukowski l’impiegato delle poste. E trattandosi in entrambi i casi di scrittori eminentemente autobiografici... (Ma, ragazzi, Miller le sue cose le scriveva nei «roaring ’20s», quarant’anni prima!).

Chi ha letto con cura tutto Hemingway e tutto Miller a partire dai nostri dolci ’50, e poi tutto Kerouac e tanto Burroughs a cavallo tra i ’50 e i ’60, e poi una sequela di Ferlinghetti, Corso, Ginsberg eccetera, a leggere Bukowski ha senza dubbio dei momenti di grande divertimento, ma di rado prova l’eccitazione del veramente nuovo. Gli altri pare si divertano moltissimo, a caldo, senza preoccuparsi di risalire a maestri e fonti. Allora il recensore è costretto a consigliargli di andare subito a leggersi almeno i Tropici e Plexus e Nexus e Paradiso perduto di nonno H. Miller.

Charles Bukowski, Taccuino di un vecchio sporcaccione, Guanda

Corriere d'informazione, 17 marzo 1979
Scoppierà anche in Italia il «ciclone Bukowski»? Pare proprio di si, a giudicare dall’enorme successo avuto lo scorso anno dalla ristampa tascabile (Feltrinelli) della sua opera più nota, quelle Storie di ordinaria follia passate quasi del tutto inosservate nell’edizione del 1975. Ma procediamo con ordine e diciamo chi è Charles Bukowski. Anzitutto non lo si confonda con l’altro, Vladimir, che milita nelle file della dissidenza sovietica. Charles Bukowski, nato un po’ meno di sessant’anni fa in Germania, è uno scrittore targato California.

California: culla del movimento beat e di tutto ciò che, in letteratura come nel costume, ne è conseguito. A Big Sur abita Henry Miller, grande padre di tutti i beat del mondo, e ci è stato anche Jack Kerouac; a San Francisco, Lawrence Ferlinghetti ha aperto la sua libreria e casa editrice «City Lights» per pubblicare se stesso e Ginsberg e Corso ecc. Charles Bukowski asserisce di avere cominciato a scrivere a 35 anni e da allora ha messo assieme una trentina di titoli, tra prosa e poesia, che dopo essere passati molto inosservati dentro gli Usa come fuori pare siano esplosi di colpo, regalando all’autore una notorietà imprevista insieme a cospicui redditi che c’è da pensare verranno convertiti in un'altrettanto cospicua quantità di liquori vari e assortiti.

Almeno, a giudicare da quanto scrive il Nostro e da una sua esilarante o terrificante esibizione, qualche tempo fa, alla Tv francese, dove si è presentato brandendo un certo numero di contenitori di vino che si è scolato in diretta, coprendo nel frattempo di insulti il moderatore, i presenti, gli spettatori, la letteratura, il mondo e non so cosa altro.

Comunque: successo tardo ma clamoroso in tutto il mondo e gara per tradurlo e pubblicarlo. Fu vera gloria? Chi lo sa? Personalmente ho dei dubbi. Ampie riserve le ho già espresse a proposito delle Storie di ordinaria follia e ancora più ampie le devo esprimere dopo avere letto le prose del Taccuino di un vecchio sporcaccione, splendidamente tradotto e ottimamente introdotto da Carlo A. Corsi.

Un tripudio di alcool, sesso, follia, autobiografia, rabbia, crudeltà, nella prosa funambolica di Bukowski. Anche tanto divertimento e slanci di straordinaria invenzione. Ma anche parecchia noia, molti autentici crolli nel già visto (e già letto). Troppa nostalgia di Hemingway, troppo Kerouac e Burroughs (che lui dice di detestare), e soprattutto troppo Henry Miller, da cui attinge a piene mani. C’è tanto di quel Miller in Bukowski che persino le loro biografie si assomigliano. Miller ha fatto l’impiegato di una compagnia di telegrafi e Bukowski l’impiegato delle poste. E trattandosi in entrambi i casi di scrittori eminentemente autobiografici... (Ma, ragazzi, Miller le sue cose le scriveva nei «roaring ’20s», quarant’anni prima!).

Chi ha letto con cura tutto Hemingway e tutto Miller a partire dai nostri dolci ’50, e poi tutto Kerouac e tanto Burroughs a cavallo tra i ’50 e i ’60, e poi una sequela di Ferlinghetti, Corso, Ginsberg eccetera, a leggere Bukowski ha senza dubbio dei momenti di grande divertimento, ma di rado prova l’eccitazione del veramente nuovo. Gli altri pare si divertano moltissimo, a caldo, senza preoccuparsi di risalire a maestri e fonti. Allora il recensore è costretto a consigliargli di andare subito a leggersi almeno i Tropici e Plexus e Nexus e Paradiso perduto di nonno H. Miller.

Charles Bukowski, Taccuino di un vecchio sporcaccione, Guanda

Corriere d'informazione, 17 marzo 1979
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Scrive di: Charles Bukowski

Recensione di “Taccuino di un vecchio sporcaccione” (1979)

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