Scrive di: Yakup Kadri Karaosmanoğlu
Nur Baba (1995)
Nur Baba (1995)
© Mario Biondi
Divieto di riproduzione integrale
e obbligo di citazione (per cortesia...)
Nel cuore dell’Anatolia, al margine settentrionale delle fascinose erosioni della Cappadocia, sorge uno tra i santuari religiosi più venerati del mondo ottomano e turco moderno, il convento costruito circa sette secoli or sono attorno alla tomba del sufi di orgine persiana Hagi (Viaggiatore alla Mecca) Bektash, fondatore dell’ordine derviscio dei bektashi. Singolare ordine — oscuro, sempre ribelle e basato su un confuso ma appariscente sincretismo musulmano-cristiano —, che ha avuto un grosso ruolo nelle vicende ottomane e che sembra continuare ad averne, rinnovate e inquietanti, nella Turchia di oggi.
Il sincretismo in nuce ne fece l’ordine spirituale dei giannizzeri (giovani cristiani trasformati nelle fedelissime truppe personali del sultano), a cui esso rimase legato fino alla distruzione del corpo, decretata nel XIX secolo dal rinnovatore Mahmut II. Evento in seguito al quale i bektashi parvero perdere d’importanza, almeno in superficie, trasformandosi tuttavia in una potente organizzazione semi-segreta, fino alla definitiva messa al bando di tutti gli ordini religiosi decretata da Kemal Atatürk. Sopravvissero con forte struttura organizzata soprattutto nella remota provincia albanese, dove ebbero probabilmente un forte ruolo nella testarda (e non poco “mistica”) rivoluzione comunista di Hoxha, lui stesso di famiglia bektashi come il suo entourage. Da più parti, nella Turchia di oggi, all’ordine (tollerato) si attribuisce una presenza determinante prima nella formazione della disperata sinistra ultrarivoluzionaria di qualche anno fa e adesso (al capo opposto dello spettro politico-culturale) nel rinfocolarsi dell’integralismo islamico (si veda al proposito l’importante, acclamato e oscurissimo romanzo Kara Kitab del giovane Orhan Pamuk).
Nulla di tutto ciò compare tuttavia (né per le vicende più recenti potrebbe) in Nur Baba, novella dello scrittore e uomo politico kemalista Yakup Kadri Karaosmaoglu, pubblicata nel 1922, ovvero nel momento cruciale della battaglia di Atatürk. La vicenda è ambientata al tramonto del sultanato e calata appunto in un convento bektashi “moderno”, raffigurato come una pura e semplice sentina di vizi, gozzoviglie e maneggi di bassa lega. Poco importava all’autore, fortemente impegnato nel rinnovamento della società turca, raccontare la storia passata dei bektashi: erano nemici dello stato e soprattutto di ogni modernizzazione — chi fossero (chi siano) veramente, ogni turco lo sa sulla (sotto la) propria pelle —: gli interessava caso mai raffigurarli nel loro aspetto più deteriore. Sfuggono pertanto alla narrazione le vicende del multisecolare passato dell’ordine (e il suo inquietante presente di azione e pensiero), ma esse vengono illustrate al lettore dalle note e soprattutto dalla preziosa postfazione di Elémire Zolla.
Così, lungi dall’essere un fascinoso racconto calato nella memoria e nella nostalgia, Nur Baba è la livida vicenda di una giovane donna dell’alta società tardo-ottomana, travolta dalla passione amorosa per un ambiguo “baba” (papà, capo comunità) derviscio istanbulino, a poco a poco attirata in una spirale precipite da cui non le è possibile sfuggire, depredata dei beni, spogliata degli affetti personali e famigliari, avviluppata in un fatale reticolo di elucubrazioni mistiche, erotismo, alcol e droghe fino alla rinuncia alla dignità e al vero e proprio annullamento della persona, letterariamente simboleggiato dalla perdita della parola. Interessante corollario dell’opera, lo squarcio di vita femminile ottomana (e poi turco-moderna), con la sua poco conosciuta miscela di solidarietà, intrigo e, in fondo, liberazione, direttamente derivata dalla cultura di autodifesa dell’harem.
Yakup Kadri Karaosmanoglu, Nur Baba, Adelphi. (Pubblicato su "Corriere della sera ", ottobre/novembre 1995)
L’ordine mistico dei dervisci bektashi, per quanto molto meno noto fuori dell’universo musulmano di quello — per esempio — dei mevlevi o “roteanti” (fondato dal poeta Celaladdin Rumi), ha avuto un formidabile rilievo nella società ottomana e sembra averlo ancora oggi in quella turca contemporanea. Basato su un confuso ma appariscente sincretismo islamico-cristiano (la costante presenza del dodici, per esempio, che è il numero degli imam della shia ma anche quello degli apostoli), divenne quasi naturalmente la guida spirituale dei giannizzeri (giovani delle province cristiane trasformati nelle truppe personali del sultano di Costantinopoli), seguendoli costantemente in battaglia e incitandoli alle continue rivolte contro il palazzo. Nella Turchia moderna — ridotto a struttura semi-segreta — si sostiene che abbia avuto grossa parte prima nella formazione della sinistra ultrarivoluzionaria e poi nella rinascita dell’integralismo islamico. Occorrerebbero volumi per raccontarne anche soltanto sommariamente le vicende e gli influssi. In un “convento” (non si pensi all’accezione cristiana) di dervisci bektashi di Istanbul, al tramonto del sultanato, è ambientata la novella Nur Baba dell’importante scrittore e uomo politico kemalista Yakup Kadri Karaosmanoğlu, pubblicata nel 1922. Fortemente impegnato nella battaglia per la repubblica e la modernizzazione della Turchia uscita dal medioevo dei sultani, Karaosmanoğlu offre un ritratto tutto in negativo del reazionarissimo ordine, che invece fu — e probabilmente è — qualcosa di assai più sottile e interessante, per non dire inquietante. Ma la livida ambientazione serve all’autore per raccontare il cadere senza ritorno di una giovane donna dell’alta società fine-ottomana nelle spire dell’organizzazione bektashi. Presa da amore per il “baba” (babbo, capo) della comunità istanbulina, la donna precipita in un’abbrutente spirale di elucubrazioni mistiche, erotismo, alcol e droga che a poco a poco la spoglia di tutto, beni, affetti e dignità, fino al totale annullamento della personalità, alla vera e propria morte civile.
(Pubblicato su "Letture", fine 1995.)
Il sincretismo in nuce ne fece l’ordine spirituale dei giannizzeri (giovani cristiani trasformati nelle fedelissime truppe personali del sultano), a cui esso rimase legato fino alla distruzione del corpo, decretata nel XIX secolo dal rinnovatore Mahmut II. Evento in seguito al quale i bektashi parvero perdere d’importanza, almeno in superficie, trasformandosi tuttavia in una potente organizzazione semi-segreta, fino alla definitiva messa al bando di tutti gli ordini religiosi decretata da Kemal Atatürk. Sopravvissero con forte struttura organizzata soprattutto nella remota provincia albanese, dove ebbero probabilmente un forte ruolo nella testarda (e non poco “mistica”) rivoluzione comunista di Hoxha, lui stesso di famiglia bektashi come il suo entourage. Da più parti, nella Turchia di oggi, all’ordine (tollerato) si attribuisce una presenza determinante prima nella formazione della disperata sinistra ultrarivoluzionaria di qualche anno fa e adesso (al capo opposto dello spettro politico-culturale) nel rinfocolarsi dell’integralismo islamico (si veda al proposito l’importante, acclamato e oscurissimo romanzo Kara Kitab del giovane Orhan Pamuk).
Nulla di tutto ciò compare tuttavia (né per le vicende più recenti potrebbe) in Nur Baba, novella dello scrittore e uomo politico kemalista Yakup Kadri Karaosmaoglu, pubblicata nel 1922, ovvero nel momento cruciale della battaglia di Atatürk. La vicenda è ambientata al tramonto del sultanato e calata appunto in un convento bektashi “moderno”, raffigurato come una pura e semplice sentina di vizi, gozzoviglie e maneggi di bassa lega. Poco importava all’autore, fortemente impegnato nel rinnovamento della società turca, raccontare la storia passata dei bektashi: erano nemici dello stato e soprattutto di ogni modernizzazione — chi fossero (chi siano) veramente, ogni turco lo sa sulla (sotto la) propria pelle —: gli interessava caso mai raffigurarli nel loro aspetto più deteriore. Sfuggono pertanto alla narrazione le vicende del multisecolare passato dell’ordine (e il suo inquietante presente di azione e pensiero), ma esse vengono illustrate al lettore dalle note e soprattutto dalla preziosa postfazione di Elémire Zolla.
Così, lungi dall’essere un fascinoso racconto calato nella memoria e nella nostalgia, Nur Baba è la livida vicenda di una giovane donna dell’alta società tardo-ottomana, travolta dalla passione amorosa per un ambiguo “baba” (papà, capo comunità) derviscio istanbulino, a poco a poco attirata in una spirale precipite da cui non le è possibile sfuggire, depredata dei beni, spogliata degli affetti personali e famigliari, avviluppata in un fatale reticolo di elucubrazioni mistiche, erotismo, alcol e droghe fino alla rinuncia alla dignità e al vero e proprio annullamento della persona, letterariamente simboleggiato dalla perdita della parola. Interessante corollario dell’opera, lo squarcio di vita femminile ottomana (e poi turco-moderna), con la sua poco conosciuta miscela di solidarietà, intrigo e, in fondo, liberazione, direttamente derivata dalla cultura di autodifesa dell’harem.
Yakup Kadri Karaosmanoglu, Nur Baba, Adelphi. (Pubblicato su "Corriere della sera ", ottobre/novembre 1995)
L’ordine mistico dei dervisci bektashi, per quanto molto meno noto fuori dell’universo musulmano di quello — per esempio — dei mevlevi o “roteanti” (fondato dal poeta Celaladdin Rumi), ha avuto un formidabile rilievo nella società ottomana e sembra averlo ancora oggi in quella turca contemporanea. Basato su un confuso ma appariscente sincretismo islamico-cristiano (la costante presenza del dodici, per esempio, che è il numero degli imam della shia ma anche quello degli apostoli), divenne quasi naturalmente la guida spirituale dei giannizzeri (giovani delle province cristiane trasformati nelle truppe personali del sultano di Costantinopoli), seguendoli costantemente in battaglia e incitandoli alle continue rivolte contro il palazzo. Nella Turchia moderna — ridotto a struttura semi-segreta — si sostiene che abbia avuto grossa parte prima nella formazione della sinistra ultrarivoluzionaria e poi nella rinascita dell’integralismo islamico. Occorrerebbero volumi per raccontarne anche soltanto sommariamente le vicende e gli influssi. In un “convento” (non si pensi all’accezione cristiana) di dervisci bektashi di Istanbul, al tramonto del sultanato, è ambientata la novella Nur Baba dell’importante scrittore e uomo politico kemalista Yakup Kadri Karaosmanoğlu, pubblicata nel 1922. Fortemente impegnato nella battaglia per la repubblica e la modernizzazione della Turchia uscita dal medioevo dei sultani, Karaosmanoğlu offre un ritratto tutto in negativo del reazionarissimo ordine, che invece fu — e probabilmente è — qualcosa di assai più sottile e interessante, per non dire inquietante. Ma la livida ambientazione serve all’autore per raccontare il cadere senza ritorno di una giovane donna dell’alta società fine-ottomana nelle spire dell’organizzazione bektashi. Presa da amore per il “baba” (babbo, capo) della comunità istanbulina, la donna precipita in un’abbrutente spirale di elucubrazioni mistiche, erotismo, alcol e droga che a poco a poco la spoglia di tutto, beni, affetti e dignità, fino al totale annullamento della personalità, alla vera e propria morte civile.
(Pubblicato su "Letture", fine 1995.)