RACCONTA
Tom Clancy
Ritratto (1995)
Ritratto (1995)
© Mario Biondi
Divieto di riproduzione integrale
e obbligo di citazione (per cortesia...)
Anche i presidenti degli Stati Uniti hanno un cuore. Si penserebbe di no, immaginandoli perennemente alle prese con i monumentali problemi materiali di tutta l’umanità, sempre lì con il Telefono Rosso infilato tra orecchio e spalla, l’indice che freme nella deprecata eventualità di doversi spostare sul Pulsante Rosso. Mentre dal cielo, magari, gli piomba sulla testa un aeroplano che chissà come è riuscito a violare lo spazio aereo della Casa Bianca, o mentre un pazzoide lo prende di mira con un fucile di precisione dalla cancellata esterna. Insomma, una vita da cani, che si penserebbe possa lasciare molto poco spazio ai nutrimenti spirituali. Invece no.
Il Presidente sa di essere il primo cittadino di un paese che ha i più alti indici di lettura del mondo e quindi sente il dovere di far sapere al suo popolo che legge anche lui. Che cosa? Be’, si dice che Lyndon Johnson fosse un accanito lettore dei bollettini delle imprese dell’FBI e di nient’altro. Ma è altrettanto largamente nota la passione di Eisenhower per Zane Grey e di John Kennedy per James Bond. Il presidente Clinton, tra un aereo e l’altro che gli casca sulla testa, non si è dimenticato di invitare alla Casa Bianca uno dei suoi due scrittori preferiti, il re del "romanzo di avvocati", John Grisham, per vedere in anteprima con lui il film tratto da Il rapporto Pelican. E non si stanca mai di ricordare che l’altro suo scrittore amatissimo è Walter Mosley, bollente autore di gialli hard-boiled, uscito dal crogiolo di minoranze e culture che è la Los Angelse suburbana. Pensate: è al tempo stesso nero ed ebreo, e nei suoi libri si sente come se fosse piombo fuso. Clinton lo adora.
Quanto ai due predecessori di Bill, Donald Reagan e George Bush, be’, non hanno mai avuto dubbi. L’assoluto Number 1 per loro è sempre stato Tom Clancy. Lo hanno invitato da loro almeno sette volte.
Singolare la carriera di questo modesto (e miopissimo) agente provinciale delle assicurazioni, trasformatosi nel giro di pochi anni (una decina) in un’inarrestabile macchina per la produzione di best seller e miliardi. Quante copie abbia venduto, in giro per il mondo, e quanti soldi abbia fatto, nessuno sta nemmeno più a contarlo. Già nel ’90, come anticipo per il suo sesto romanzo, Paura senza limite, si diceva avesse ricevuto l’interessante cifretta di lire 16 miliardi (10 milioni di dollari). Salute. Siccome non c’è da pensare che dopo di allora sia andato in discesa, né che per i libri precedenti avesse guadagnato meno (perché, altrimenti, la sua casa editrice gliene avrebbe offerti così tanti pur di non perderlo?), e visto che questi libri sono stati otto di strepitoso successo più un paio di contorno (una visita guidata a un sottomarino nucleare e a un reggimento corazzato), cade giusta a questo punto una domanda: quanto fa 15 per, diciamo, otto e mezzo? Risposta: 127,5 miliardi. Bravino il nostro miope agente delle assicurazioni con ufficiolo nell’area rurale di Baltimora, no?
La moglie lo sgridava moltissimo, la sera, quando tornava a casa da questo ufficiolo e, senza nemmeno togliersi gli occhiali scuri, si sedeva immediatamente al tavolo della sala da pranzo a mitragliare su una macchina per scrivere. Perché non ti preoccupi di fare un po’ più di contratti di assicurazione? pare gli chiedesse. Qui c’è da pagare il conto del lattaio, l’apparecchio per i denti della maggiore, l’idraulico, la bolletta della CNN. Le figlie, seppure ancora piccole, imperversavano. Papà, protestavano a gran voce, papà: siamo stufe di cenare su un vecchio carrello della tv. Quand’è che lasci libero il tavolo in sala? Ma lui, forse con i tappi negli orecchi oltre che con gli occhiali neri sul naso, non mollava, implacabile. E aveva ragione, donne di poca fede. Sotto i suoi sdruciti panni di maldestro venditore di contratti di assicurazione, miope e forse sordo, batteva infatti nientemeno che il cuore di un uomo che di lì a poco sarebbe stato acclamato come uno dei re del best seller.
Adesso, lussuosamente assestato sulla vendita complessiva di circa sessanta milioni di copie dei suoi romanzi (siamo sempre lì: quanto fa sessanta milioni per, diciamo, 1500, più i diritti per i film?), Tom Clancy vive in disincantata quiete nella proprietà di campagna che possiede vicino a Baltimora (e quindi non lontano dalla Washington dei suoi amici Presidenti). Ha a disposizione un’ampia vista sulla Chesapeake Bay, otto camere da letto, un tavolo da biliardo e un attrezzato poligono sotterraneo per tiro a segno con pistola. Si fa proteggere da una selva di marchingegni elettronici, che sono la sua passione. Esibisce una collezione di pistole, ottanta berretti-ricordo militari e cinque seggiole da regista portate via dal set di Ottobre Rosso, il tutto sistemato in un ordine maniacale (ha studiato dai gesuiti, alla Loyola High School). Lo conforta, naturalmente, la costante compagnia di un modernissimo computer sulla cui tastiera tempesta i suoi libri: «Perché, dannazione, non si può stare lì a guardare lo schermo vuoto senza fare niente».
Quattro ore al giorno, di mattino, per realizzare nel giro di mezzo anno ciascuno (o meno) un’ininterrotta serie di successi mastodontici. Non per nulla è stato definito il "maestro del techno-thriller" e poi (tutto si evolve) del "romanzo high-tech", ovvero del romanzo d’azione composto secondo precisi criteri di tecnologia della narrazione. Conoscenza minuziosa di luoghi, ambienti, strumenti, apparecchiature, armi. Scrittura secca e funzionale. Elaborazione del plot narrativo per sapienti tasselli che a poco a poco (ma con un ritmo che si fa via via travolgente) portano il lettore a emergere da una sorta di nebulosa dell’intreccio narrativo per essere letteralmente scaraventato verso il fuoco d’artificio della soluzione. Criteri che per altro lui dichiara di non avere affatto chiari. Sostiene, al contrario, di scrivere d’istinto, nel perenne timore, giorno dopo giorno, di non sapere dove andrà a finire. Sarà.
Nei suoi romanzi il maestro del techno-thriller ha organizzato la diserzione di un sofisticatissimo sommergibile sovietico, evitato la Terza guerra mondiale (per un pelo ma senza sparare un colpo), salvato la corte d’Inghilterra, riportato a casa una vecchia talpa infilata nel Cremlino, sconfitto il cartello colombiano della droga, messo a posto i temibili terroristi medio orientali eccetera. Nell’ultimo, Debito d’onore, mette in scena ancora una volta un best seller galattico non soltanto nelle dimensioni commerciali ma anche in quelle materiali (996 pagine), in cui appunto il lettore prima sembra attirato nell’abisso della tecnologia, a metà tra l’affascinato e l’annoiato, e poi ne emerge come sparato da una catapulta per non fermarsi più fino all’ultima pagina. L’assunto generale è che il nuovo ordine mondiale ha portato con sé una nuova, meno decifrabile e più pericolosa, attività di sovversione internazionale. Precipitato nel caos il vecchio orso sovietico, il nemico torna piano piano e subdolamente quello di una volta. I dannati musi gialli "giap", maestri di trappole come il "crackeraggio" dei sistemi informatici e lo sconvolgimento delle borse internazionali.
A sistemare tutto, come sempre, è l’ormai "storico" Jack Ryan (ricordate? al cinema ha la faccia di Harrison Ford), che, sebbene disilluso, sessualmente un po’ frusto e non alieno dalla bottiglia, sventa un intrigo diabolico e poi, nel giro di pochi minuti, mentre gli uffici presidenziali di Washington sono in preda alle fiamme, riesce a diventare (pieno di scrupoli di coscienza, per altro) prima Vice Presidente e poi che cosa? Nientemeno che Presidente degli Stati Uniti, cari signori. Che cosa combinerà ancora? Staremo a vedere nei prossimi "romanzi high-tech" che sfornerà Tom Clancy. A meno che non diventi presidente anche lui. Non si sa mai. Lui lo nega con puntiglio, ma sono in moltissimi a sostenere che nel personaggio di Jack Ryan non rifletterebbe altro che le proprie aspirazioni. Si è diplomato come lui presso la Loyola High School. Dunque...
Adesso che Jack Ryan è addirittura Mister President, chissà quale scrittore inviterà a cena, per primo, lo stesso Jack Ryan. E quale collega inviterà Tom Clancy, se mai arriverà alla Casa Bianca sulla scia del suo alter-ego baronetto?
(Class n. 2/1995)
Il Presidente sa di essere il primo cittadino di un paese che ha i più alti indici di lettura del mondo e quindi sente il dovere di far sapere al suo popolo che legge anche lui. Che cosa? Be’, si dice che Lyndon Johnson fosse un accanito lettore dei bollettini delle imprese dell’FBI e di nient’altro. Ma è altrettanto largamente nota la passione di Eisenhower per Zane Grey e di John Kennedy per James Bond. Il presidente Clinton, tra un aereo e l’altro che gli casca sulla testa, non si è dimenticato di invitare alla Casa Bianca uno dei suoi due scrittori preferiti, il re del "romanzo di avvocati", John Grisham, per vedere in anteprima con lui il film tratto da Il rapporto Pelican. E non si stanca mai di ricordare che l’altro suo scrittore amatissimo è Walter Mosley, bollente autore di gialli hard-boiled, uscito dal crogiolo di minoranze e culture che è la Los Angelse suburbana. Pensate: è al tempo stesso nero ed ebreo, e nei suoi libri si sente come se fosse piombo fuso. Clinton lo adora.
Quanto ai due predecessori di Bill, Donald Reagan e George Bush, be’, non hanno mai avuto dubbi. L’assoluto Number 1 per loro è sempre stato Tom Clancy. Lo hanno invitato da loro almeno sette volte.
Singolare la carriera di questo modesto (e miopissimo) agente provinciale delle assicurazioni, trasformatosi nel giro di pochi anni (una decina) in un’inarrestabile macchina per la produzione di best seller e miliardi. Quante copie abbia venduto, in giro per il mondo, e quanti soldi abbia fatto, nessuno sta nemmeno più a contarlo. Già nel ’90, come anticipo per il suo sesto romanzo, Paura senza limite, si diceva avesse ricevuto l’interessante cifretta di lire 16 miliardi (10 milioni di dollari). Salute. Siccome non c’è da pensare che dopo di allora sia andato in discesa, né che per i libri precedenti avesse guadagnato meno (perché, altrimenti, la sua casa editrice gliene avrebbe offerti così tanti pur di non perderlo?), e visto che questi libri sono stati otto di strepitoso successo più un paio di contorno (una visita guidata a un sottomarino nucleare e a un reggimento corazzato), cade giusta a questo punto una domanda: quanto fa 15 per, diciamo, otto e mezzo? Risposta: 127,5 miliardi. Bravino il nostro miope agente delle assicurazioni con ufficiolo nell’area rurale di Baltimora, no?
La moglie lo sgridava moltissimo, la sera, quando tornava a casa da questo ufficiolo e, senza nemmeno togliersi gli occhiali scuri, si sedeva immediatamente al tavolo della sala da pranzo a mitragliare su una macchina per scrivere. Perché non ti preoccupi di fare un po’ più di contratti di assicurazione? pare gli chiedesse. Qui c’è da pagare il conto del lattaio, l’apparecchio per i denti della maggiore, l’idraulico, la bolletta della CNN. Le figlie, seppure ancora piccole, imperversavano. Papà, protestavano a gran voce, papà: siamo stufe di cenare su un vecchio carrello della tv. Quand’è che lasci libero il tavolo in sala? Ma lui, forse con i tappi negli orecchi oltre che con gli occhiali neri sul naso, non mollava, implacabile. E aveva ragione, donne di poca fede. Sotto i suoi sdruciti panni di maldestro venditore di contratti di assicurazione, miope e forse sordo, batteva infatti nientemeno che il cuore di un uomo che di lì a poco sarebbe stato acclamato come uno dei re del best seller.
Adesso, lussuosamente assestato sulla vendita complessiva di circa sessanta milioni di copie dei suoi romanzi (siamo sempre lì: quanto fa sessanta milioni per, diciamo, 1500, più i diritti per i film?), Tom Clancy vive in disincantata quiete nella proprietà di campagna che possiede vicino a Baltimora (e quindi non lontano dalla Washington dei suoi amici Presidenti). Ha a disposizione un’ampia vista sulla Chesapeake Bay, otto camere da letto, un tavolo da biliardo e un attrezzato poligono sotterraneo per tiro a segno con pistola. Si fa proteggere da una selva di marchingegni elettronici, che sono la sua passione. Esibisce una collezione di pistole, ottanta berretti-ricordo militari e cinque seggiole da regista portate via dal set di Ottobre Rosso, il tutto sistemato in un ordine maniacale (ha studiato dai gesuiti, alla Loyola High School). Lo conforta, naturalmente, la costante compagnia di un modernissimo computer sulla cui tastiera tempesta i suoi libri: «Perché, dannazione, non si può stare lì a guardare lo schermo vuoto senza fare niente».
Quattro ore al giorno, di mattino, per realizzare nel giro di mezzo anno ciascuno (o meno) un’ininterrotta serie di successi mastodontici. Non per nulla è stato definito il "maestro del techno-thriller" e poi (tutto si evolve) del "romanzo high-tech", ovvero del romanzo d’azione composto secondo precisi criteri di tecnologia della narrazione. Conoscenza minuziosa di luoghi, ambienti, strumenti, apparecchiature, armi. Scrittura secca e funzionale. Elaborazione del plot narrativo per sapienti tasselli che a poco a poco (ma con un ritmo che si fa via via travolgente) portano il lettore a emergere da una sorta di nebulosa dell’intreccio narrativo per essere letteralmente scaraventato verso il fuoco d’artificio della soluzione. Criteri che per altro lui dichiara di non avere affatto chiari. Sostiene, al contrario, di scrivere d’istinto, nel perenne timore, giorno dopo giorno, di non sapere dove andrà a finire. Sarà.
Nei suoi romanzi il maestro del techno-thriller ha organizzato la diserzione di un sofisticatissimo sommergibile sovietico, evitato la Terza guerra mondiale (per un pelo ma senza sparare un colpo), salvato la corte d’Inghilterra, riportato a casa una vecchia talpa infilata nel Cremlino, sconfitto il cartello colombiano della droga, messo a posto i temibili terroristi medio orientali eccetera. Nell’ultimo, Debito d’onore, mette in scena ancora una volta un best seller galattico non soltanto nelle dimensioni commerciali ma anche in quelle materiali (996 pagine), in cui appunto il lettore prima sembra attirato nell’abisso della tecnologia, a metà tra l’affascinato e l’annoiato, e poi ne emerge come sparato da una catapulta per non fermarsi più fino all’ultima pagina. L’assunto generale è che il nuovo ordine mondiale ha portato con sé una nuova, meno decifrabile e più pericolosa, attività di sovversione internazionale. Precipitato nel caos il vecchio orso sovietico, il nemico torna piano piano e subdolamente quello di una volta. I dannati musi gialli "giap", maestri di trappole come il "crackeraggio" dei sistemi informatici e lo sconvolgimento delle borse internazionali.
A sistemare tutto, come sempre, è l’ormai "storico" Jack Ryan (ricordate? al cinema ha la faccia di Harrison Ford), che, sebbene disilluso, sessualmente un po’ frusto e non alieno dalla bottiglia, sventa un intrigo diabolico e poi, nel giro di pochi minuti, mentre gli uffici presidenziali di Washington sono in preda alle fiamme, riesce a diventare (pieno di scrupoli di coscienza, per altro) prima Vice Presidente e poi che cosa? Nientemeno che Presidente degli Stati Uniti, cari signori. Che cosa combinerà ancora? Staremo a vedere nei prossimi "romanzi high-tech" che sfornerà Tom Clancy. A meno che non diventi presidente anche lui. Non si sa mai. Lui lo nega con puntiglio, ma sono in moltissimi a sostenere che nel personaggio di Jack Ryan non rifletterebbe altro che le proprie aspirazioni. Si è diplomato come lui presso la Loyola High School. Dunque...
Adesso che Jack Ryan è addirittura Mister President, chissà quale scrittore inviterà a cena, per primo, lo stesso Jack Ryan. E quale collega inviterà Tom Clancy, se mai arriverà alla Casa Bianca sulla scia del suo alter-ego baronetto?
(Class n. 2/1995)