Scrive di: Wilfred Thesiger

1. Recensione: “Sabbie arabe” (2003)
2. Recensione: “Quando gli arabi vivevano sull’acqua” (2004)

© Mario Biondi
Divieto di riproduzione integrale
e obbligo di citazione (per cortesia...)

Due celebri autori britannici a cui ho chiesto se i loro viaggi li avevano in qualche modo cambiati — la serafica (e incrollabile) Freya Stark e il problematico Colin Thubron — mi hanno risposto "no", sia pure con intonazioni diverse. Non sembra invece essere dello stesso parere un altro grandissimo esploratore di deserti e località scomodo-islamiche, Wilfred Thesiger, che, nel Prologo al suo affascinante Sabbie arabe, scrive: «Nessun uomo può vivere questa vita [quella dei bedù] e rimanere immutato. Egli porterà l'impronta, per quanto tenue, del deserto, il marchio del nomade…»

Se ne intendeva, Thesiger. Nato nel 1910 ad Addis Abeba da famiglia diplomatica britannica e poi educato a Eton, porta su di sé indelebile (a 93 anni) il marchio del nomade, smerigliato dalla coazione ad affrontare i deserti. È stato il primo, tra l'altro, ad attraversare più volte lo Empty Quarter, la sterminata distesa di sabbie senza vita (e in parte mobili) del Sud della penisola arabica, tra Arabia Saudita, Yemen, Emirati e Oman. Lo attraversò più volte negli Anni Quaranta in compagnia di fedelissimi adolescenti bedù, rimastigli anch'essi nel sangue. Si estenuava con loro in groppa a cammelli o a piedi nudi su pietraie intrise di sale, dormiva con loro sulla sabbia, mangiava (meglio: digiunava) con loro. E i bedù lo consideravano uno di loro. Tanto, appunto, da non consentirgli di "rimanere immutato".

Lasciata finalmente la penisola arabica si trasferì lì di fronte, a non grande distanza, nelle paludi di canne formate dal congiungersi di Tigri ed Eufrate, nell'estremo sud della Mesopotamia, detta Iraq. E non è improbabile che le truppe britanniche inviate a "portare la democrazia" agli ex sudditi di Saddam Hussein, si siano giovate nella loro avanzata proprio delle informazioni a suo tempo raccolte da Thesiger, della sua "mappatura" di quel territorio. Mappatura senza dubbio accurata quanto quella dello Empty Quarter e delle zone limitrofe.

Gli "scrittori di viaggio" britannici si ritengono gli unici al mondo, ma questi sono, in definitiva, la loro natura e il loro destino (o perlomeno lo sono stati nel passato): fare, consapevoli o meno, da avanguardia all'imperialismo del loro paese. Tuttavia postulare l'ipotesi dell'inconsapevolezza è una pura cortesia, visto che sapevano tutti benissimo di lavorare per il Foreign Office. Per questo, per esempio, quando Freya Stark si trovò in difficoltà nello Yemen del Sud (Le porte dell'Arabia) arrivò immediatamente alla riscossa un impavido pilota della Raf con il suo aeroplano.

Dal canto suo Thesiger attraversava deserti forte più o meno dello stesso imprimatur: era ufficialmente incaricato di cercare la misteriosa zona dove si riproducono le locuste, per cercare di sterminarle alla fonte. La trovò, questa zona? Non saprei. Di sicuro fu però di straordinaria diligenza nel rilevare picchi, tracciare uadi, mappare piste eccetera. Sapeva benissimo quello che faceva.

Sapeva benissimo, cioè, che tutto questo impervio viaggiare con i suoi ragazzi bedù aveva fondamentalmente uno scopo non dichiarato: aprire la strada alle compagnie britanniche del petrolio. Prospettiva che lo inorridisce, che esecra, contro cui non cessa mai di scagliarsi, ma tant'è. Partito lui dalla penisola arabica (e anche mentre era lì) ecco subito fare capolino i petrolieri. Lo sapeva lui e lo sapevano gli sceicchi locali, che, complicandogli il passaggio e minacciandolo di morte, tiravano astutamente sul prezzo delle future concessioni.

Sdegnato, Thesiger se ne andò per sempre dalla penisola. Non voleva assistere al degradarsi della purezza bedù, asfissiata dagli effluvi dei tubi di scappamento. Esecrava le automobili; come mezzo di trasporto nel deserto ammetteva soltanto il cammello. Scriveva: «la velocità e la facilità dei trasporti meccanici dovevano spogliare il mondo di ogni diversità». Ma in più di un'occasione, urgendogli la presenza al suo fianco di questo o quello dei ragazzi bedù, non esitò un solo istante a chiedere l'assistenza dei locali funzionari del Foreign Office britannico sotto forma appunto di auto, se non addirittura di aereo. Assistenza che gli fu puntualmente e prontamente fornita. Per cercare meglio le locuste, naturalmente. E i ragazzi bedù, meno schizzinosi di lui, erano beati di viaggiare su velocissime macchine a propulsione petroliera.

Andatosene lui, questi ragazzi sono invecchiati, si sono inurbati e naturalmente vivono tra automobili, frigo, tv e forni a microonde, come tutto il mondo. Ma portano di sicuro con sé il ricordo di questo singolare individuo allampanato, dal naso devastato (a Eton aveva praticato come d'obbligo la boxe) e dallo sguardo di fuoco, ascetico come uno dei loro santi e quasi più forte dei loro cammelli, capace di guidarli in spedizioni e scoperte che da soli non avrebbero forse affrontato. «Sei una vera guida!» gli gridarono una volta, pieni di ammirazione, riempiendolo di giusto orgoglio.

Che il suo fine non fosse in definitiva cristallino ma piuttosto torbido come l'acqua di cui doveva fare tesoro insieme ai suoi ragazzi e alle sue navi del deserto, sembra del tutto evidente. Ma la cronaca delle traversate desertiche che ci regala con Sabbie arabe è sensazionale, un libro palpitante, che si divora più di un romanzo d'avventura. Semplicemente preziosa la prefazione di Stefano Malatesta, da leggere prima del testo e rileggere dopo.

2. “Quando gli arabi vivevano sull’acqua”

Quasi esattamente un anno fa, il 24 agosto 2003, moriva a 93 anni in una casa di riposo britannica Wilfred Thesiger, dopo aver combattuto contro il più subdolo dei suoi nemici, il morbo di Parkinson. Singolarissimo personaggio. Nato in Etiopia, vissuto un po’ dappertutto purché fossero posti complicati, studi a Eton e Oxford. Come definirlo? Un viaggiatore? È veramente troppo poco. Era, caso mai, un esploratore. Di più: un esploratore di terre particolarmente inquiete e di qualcosa di forse ancora più inquieto: il suo stesso spirito, di cui probabilmente non ebbe mai ragione.

Era un avventuriero? Una spia? Definizioni inadeguate anche queste. Certo, nella sua lunghissima vita Thesiger affrontò avventure ai limiti dell’incredibile, sembrava non poterne fare a meno, e ne riportò una preziosa messe di informazioni per le autorità politico-militari del suo paese. Ma non era l’avventura in sé ad attirarlo quanto il mondo di coloro che in questa avventura ("di" questa avventura) vivevano. E le notizie che riferiva su di loro e sui loro territori, per lui erano anzitutto un modo per far capire quanto li amasse. Così andò a vivere da bedù in mezzo ai bedù dell’Arabia. E poi da arabo delle paludi tra gli arabi che vivevano (vivono tuttora) nelle paludi formate dal congiungersi di Eufrate e Tigri nel deserto in fondo all’Iraq, poco prima del Golfo Persico.

Due — assai più che avventure — esperienze di vita raccontate in altrettanti suoi libri. L’anno scorso, poco prima della sua morte, ho reso conto dell’edizione italiana di Sabbie arabe, affascinante cronaca delle sue traversate (e misurazioni, e mappature) del Rub ‘al Khali, la meno nota, la più infernale delle zone desertiche della penisola araba. Adesso sono reduce dalla lettura di Quando gli arabi vivevano sull’acqua, racconto degli anni trascorsi nel profondo Sud dell’Iraq, aggirandosi in canoa nei meandri di quell’incredibile e fradicio mondo lagunare per conoscerne la gente e farne conoscere durezze e nobiltà. Se Conrad ci fosse ancora, lo userebbe quasi di sicuro per creare un alter ego del suo "Mistah" Kurz.

Ecco che cos’era piuttosto Wilfred Thesiger: un missionario. Un missionario non spinto dall’imperativo di diffondere una religione ma di informare su particolari situazioni antropologiche a rischio di distruzione. Quanto più particolari e quanto più a rischio, tanto meglio. Chissà quale poteva poi essere davvero la molla che — non essendo lui medico – lo spinse fino a imparare a circoncidere decine di ragazzi per il puro e semplice fatto che avevano bisogno dell’operazione. Un’operazione che la religione islamica imponeva loro, trascurando però l’aspetto delicato della questione: l’assenza di medici. Operazione barbara, checché se ne possa dire e pensare. Soprattutto se praticata con grave ritardo da fattucchieri-barbieri-cerusici analfabeti (quando andava bene) su ragazzi ormai grandicelli, se non addirittura già adolescenti o giovani uomini (sempre a causa dell’assenza o perlomeno scarsità locale di chi potesse praticarla).

Poi, una volta proceduto ad autentiche circoncisioni di gruppo, o «di villaggio», se non «di clan», Thesiger metteva tutti questi ragazzi in fila, seduti con il tagliuzzato piffero quasi in vista, e li fotografava. Documento antropologico? Documento di caccia? Chissà. La "sunnet" (cerimonia e festa della circoncisione) è fatta così. Una volta subita la dolorosissima asportazione del pezzetto di pelle, il ragazzo (in genere più di uno, con un fratello, un cugino) viene piazzato in bella vista a esibire tutto bendato e impacchettato il frutto del suo virile coraggio, e può succedere che le zie gli girino attorno soffiandoci sopra per rinfrescarlo. Scena per lo meno singolare. Non di rado, ai tempi di Thesiger ma forse ancora oggi, foriera di setticemia e impotenza.

Circoncidendo di qua e di là, e intanto andando a caccia in canoa di volatili migratori e di cinghiali assassini, vivendo in quelle singolari capanne di giunchi che, se dimore di sceicchi, potevano arrivare alle dimensioni di palazzi, combattendo con loro i flagelli delle alluvioni e soprattutto degli incendi — e bevendo l’acqua putrida delle paludi in cui tutti facevano pipì e pupù dai bordi degli isolotti galleggianti —, Thesiger visse circa sette anni, dal 1951 al ’57. Gli arabi delle paludi lo avevano accolto come un fratello, e lui li amava, dividendo non di rado «la coperta» con qualche adolescente, quando di notte faceva freddo. Le popolazioni arretrate, se si è capaci di proporsi loro come amici, sono le più ospitali, le più generose. In cambio, in genere vengono poi bombardate o gasate, quando nei loro territori, prima trattati con disprezzo, il «mondo civile» scopre qualcosa di prezioso da arraffare.

Chissà se i militari britannici che di questi tempi pattugliano con le loro armatissime imbarcazioni quelle paludi irachene, nominalmente per tenere a bada il terrorismo ma molto di più per difendere poco puliti interessi petroliferi, si servono delle misurazioni e rilevazioni fatte allora da Wilfred Thesiger? Nel libro non ne parla, ma non è pensabile che non ne abbia fatte. Apparteneva alla sua stessa natura. Lo faceva probabilmente senza nemmeno accorgersene. Ma i discendenti di quegli «arabi delle paludi» non sembrano amare i discendenti di Thesiger quanto i loro antenati amavano questo strano nobile britannico dal naso da boxeur che raccontava al mondo la loro vita e li circoncideva.

Come si era stufato di botto delle sabbie arabe, sentendovi un intollerabile fetore di modernità ma soprattutto di petrolio, un bel giorno, forse per gli stessi motivi, Thesiger si stufò anche delle paludi irachene e se ne andò. Adesso se n’è andato del tutto, sicuramente stufo di questo mondo moderno sempre più maleodorante di petrolio, ma a ricordarlo rimangono e rimarranno a lungo i libri (e le foto) in cui ha raccontato in tutti i dettagli le sue straordinarie esperienze. Definirli — derubricarli a — «libri di viaggio», a mio modo di vedere sfiora l’ingiuria.

Wilfred Thesiger: “Sabbie arabe”, Neri Pozza
Wilfred Thesiger: “Quando gli arabi vivevano sull’acqua”, Neri Pozza
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